in tempo di bilanci esistenziali rifletto su una costante della mia vita, una caratteristica personale, che gli anni stanno contribuendo a rendere sempre più forte, quella che qui chiamo l’arte della fuga.
nella mia vita pubblica, cioè soprattutto nel mio lavoro, mi sono fatto l’immagine e la fama di un uomo intransigente, duro, portato allo scontro; non nego che questa idea di me fosse giustificata, ma come conciliarla però col fatto che so benissimo, invece, di essere per carattere, portato ad evitare ogni forma di confronto diretto?
a volte, addirittura questa mancanza di gusto per la vittoria nello scontro personale mi è stata perfino rinfacciata, quasi con sorpresa, da chi combatteva con me: non ho il gusto della coltellata finale al nemico, non conosco il piacere del sangue; e qui si notava perfino qualcosa di poco virile.
direi che combattevo quando mi sentivo inchiodato alla posizione, come un soldato che non dovesse abbandonare il pezzo (e probabilmente il paragone che affiora alla mia mente non è casuale nel figlio di un ufficiale dell’artiglieria di montagna), ma, almeno nella vita e nelle relazioni private, questa linea di comportamento non era la mia.
insomma, sono sempre stato un duro per forza, imprigionato nel ruolo.
ora che sono vecchio, posso serenamente dire addio ai conflitti e scegliere quello che ho sempre preferito in cuor mio e che nel tempo è sempre di più diventata la caratteristica centrale del mio modo di agire: evitarli.
mi viene in mente, con un sorriso sarcastico, la sceneggiatura – preferita per me – delle liti familiari che hanno costellato il mio matrimonio soprattutto nei suoi anni finali: io che al momento in cui le urla si facevano più forti mi andavo a chiudere in una stanza e lei che tempestava la porta con i pugni per entrare; più tardi, in un paio di occasioni, decisi che anche quel rumore era troppo e colsi l’occasione che il caso mi offriva, per andarmene di casa per qualche tempo; e alla fine me ne andai proprio definitivamente.
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non nego però che mi comportavo e mi comporto così anche per paura della mia aggressività e per evitare eccessi fisici.
per qualche motivo che non so spiegare oggi collego la volontà di litigare alla prepotenza con cui si è convinti di poter cambiare gli altri, che sono invece da accettare per quel che sono, senza l’obiettivo impossibile di farne delle persone diverse.
per qualche altro oscuro motivo trovo che questo obiettivo abbia molto a che fare con le idee cristiane di anima e di peccato e perfino con quella dell’idea della lotta necessaria all’eresia, al pensiero sbagliato.
ecco come la religione dell’amore si trasforma in culto della prepotenza e della volontà di dominio.
invece, dove il conflitto rivela personalità incompatibili, meglio separare le strade e andarsene da un’altra parte: una scelta che direi molto più buddista, se gli eremiti non esistessero anche nel mondo cristiano.
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di fuga in fuga, la vita mi ha portato a vivere questi miei ultimi anni in un piccolo mondo abbastanza isolato da lasciarmi la mia tranquillità, ma non fino al punto da rendermi la vita veramente così pacifica come vorrei.
per qualche motivo che non so spiegare, ho sempre diviso le persone con cui entro in contatto in due gruppi: da un lato ci sono quelle che mi odiano con tutte le loro forze, anche senza motivi specifici per farlo; non ho mai capito bene perché, ma sembra che il mio solo fatto di esistere li irriti e li destabilizzi; dall’altro trovo persone che mi vogliono bene, di solito una minoranza.
quanto agli indifferenti, che semplicemente non si danno pena di come sono e gestiscono i rapporti con me secondo le regole comuni della convivenza senza particolari reazioni emotive, indubbiamente sono forse la maggioranza, come in fondo è normale; ma è come se non li vedessi.
vivo in un mondo di contrasti acuti, o mi si odia o mi si ama; ma probabilmente non è vero: sono io, soltanto, che sono abituato a vedere la vita in questa chiave di contrapposizione netta.
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e so anche che molto spesso deludo chi mi ama.
la conoscenza, qualche anno fa, di un ragazzo autistico, capace a sua volta di irritare molto le persone con i suoi comportamenti bizzarri di cui non si rendeva conto, mi ha portato a chiedermi, molto avanti negli anni, se anche io non potessi rientrare nel gruppo.
una analisi abbastanza obiettiva, spero, mi ha portato a concludere di no, ma ciò non toglie che alcuni tratti particolari di quella sindrome me li posso riconoscere:
insomma, probabilmente sono un Asperger almeno un po’, un poco troppo originale e bizzarro per le persone viceversa un po’ troppo comuni.
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e adesso non chiedetevi il perché di questa autoanalisi condotta in pubblico, in modo abbastanza impudico, di nessun interesse per nessun altro che non sia io.
è che questa riflessione ha molto a che fare con una critica della democrazia.
provo a spiegarmi, ma sono sicuro di non riuscirci, perché l’idea non è ancora del tutto chiara neppure per me.
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la democrazia si fonda su una fortissima semplificazione dei rapporti sociali e psicologici, crea il modello astratto dell’uomo consapevole, capace di valutare razionalmente i problemi e di scegliere quel che è meglio per se stessi.
ma non basta che questa astrazione immagini un elettorato consapevole e informato che non solo non c’è, ma che il sistema sociale dell’informazione fa di tutto per distruggere anche quando soltanto prova a delinearsi.
non tiene neppure conto delle concrete relazioni psicologiche degli esseri umani tra loro, che sono guidate da simpatie ed entusiasmi, tanto radicati quanto irragionevoli.
insomma, gli esseri umani che si amano e si odiano spesso senza una precisa ragione, che si attraggono o si respingono per motivi che non sono chiari neppure a loro, non possono prescindere da questo loro modo di essere neppure quando devono pensare alla loro vita collettiva.
ed è evidente che molti sono guidati in questa piuttosto dal cieco e immotivato odio per qualche categoria di persone (i comunisti, gli immigrati, gli omosessuali, qualche gruppo straniero) che dalla capacità di comprendere gli effettivi bisogni sociali.
ha un senso allora parlare di democrazia in queste condizioni?
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ma a questa domanda se ne collega un’altra, altrettanto fondamentale.
nella vita individuale l’arte della fuga dai conflitti insanabili è diventata per me la risposta via via più adatta alla mia personalità, anche se alla fine mi ha condotto ad una vita che tende sempre di più a farsi eremitica; ma credo che possa essere proposta come modello possibile di comportamento per rendersi la vita migliore.
ma nella vita sociale esiste un’arte della fuga che ci permetta di vivere serenamente in mezzo agli altri, senza essere le vittime di scelte dettate dall’odio?
lascio la domanda aperta, perché non so rispondere.
Provo, solo per sport in quanto ti conosco solo via blog, a darti qualche indicazione.
Indubbiamente hai una mente che gira forte, incapace di riposo e bisognosa di esternare il suo elaborato e questo risulta irritante a molte persone che vivono a regimi piu bassi e non c’è nulla di strano. Se questo non ti sembra strano, fermati un’attimo e cerca qualche esempio.
La fuga fisica da quello che abbiamo dentro non esiste, esiste solo l’autoinganno e non è una soluzione da condannare a priori. E’ universalmente adottata con successo dalla maggioranza delle persone.
Adesso che ho buttato li 2-3 frasi ti propongo un esperimento di una certa difficoltà. Non rispondere a questo mio commento qui sopra, ne ora ne mai, ne a me ne ad altri, e prova a vedere come ti senti.
PS BWV 1030, l’arte della fuga, del mio autore preferito. Ho colto la tua citazione ed ora la riascoltando. Mi piacerebbe raccontare del mio conflitto con la musica, gioie e sofferenze, ma non è questa la sede.
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posso solo dire – se questa NON è una risposta – che mi sento molto sgarbato.
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Articolo impegnativo, spazi da esperienze molto personali a riflessioni generali sul cristianesimo (e ti pareva) e la democrazia…
Non si può piacere a tutti, evidentemente, forse bisogna accontentarsi di piacere o almeno non dispiacere troppo a chi teniamo davvero; la democrazia dovrebbe (forse, ma più andiamo avanti più ne sono meno convinto) essere il sistema meno peggiore di governo, ma le manipolazioni sono tali e tante che più che altro siamo in una finzione, fingiamo di crederci (come con la religione? Ma qui puoi sbizzarrirti tu…).
Più ci si espone e più si è soggetti a critiche, chi non fa non sbaglia: si può risultare antipatici anche per troppa generosità, se invece di scegliere il quieto vivere ci si tuffa nella lotta (nella vita?).
Comunque io ti conosco da poco e sul fatto che sei un bel rompiballe non ci piove 🙂 Asperger non credo, non dare colpe a malattie che non c’entrano!
Ah, ah, scusa se mi prendo questa confidenza, ma per essere uno che va in giro per l’India da solo e ci fa divertire e incuriosire un sacco non mi pare ancora tempo di bilanci… 😉
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be’, e il tuo commento non è forse impegnativo? solo che, come al solito, riesci a dire cose profonde senza tirarsela, e io quest’arte non l’ho ancora imparata.
non bisogna tirarla troppo in là con i bilanci: farli fino a che ci si sente ancora capaci di farli, più tardi potrebbe essere troppo tardi. anche considerando che sta maledetta pandemia rende sempre più improbabili nuove sortite alla scoperta del mondo…
lascio cadere gli accenni che fai ai temi più generali e alla finzione di credere che (forse) accomuna cristianesimo e democrazia: non è il caso che io continui a rigirare il coltello nella piaga della ideologia. 😉
dicendo che si può risultare antipatici per troppa generosità mi hai gettato una bella ancora di salvataggio, ma mi hai incuriosito quando dici che sul fatto che sono un bel rompiballe perfino qui non ci piove; spiegami perché, please, perché non me ne rendo conto, e non sarebbe mai troppo tardi per capire questo punto fondamentale…
ciao, e grazie.
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L’ha ripubblicato su cor-pus 15.
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