il mistero del manoscritto buddista su Issa al monastero di Himis in Ladakh – Jeshuu in India? 3 – 380

a proposito di quella specie di vangelo pubblicato da Notovitch nel 1894 sulla vita di Jeshuu, per 17 anni svoltasi in India secondo questa narrazione, credo che possa essere considerata valida la conclusione tratta nel post precedente: le storie sulla presenza di Jesuus, che col nome di Issa, sarebbe stato in India per alcuni anni, prima della sua cosiddetta vita pubblica tra Galilea e Giudea nella prima metà del I secolo, devono essere considerate leggende createsi fra l’VIII e il X secolo in ambiente buddista, ma rielaborate anche in seguito, e il loro scopo era di dimostrare la superiorità morale del buddismo sull’induismo e sulla religione zoroastriana, visto che anche il fondatore del cristianesimo condivideva i loro punti fondamentali.

ma, per quanto possa sembrare strano, questo non chiude affatto tutte le questioni e anzi, per lungo tempo ci si è dovuti interrogare se queste leggende siano davvero esistite in epoca così antica, a partire dalla discussione se siano esistiti davvero gli antichi manoscritti da cui Notovitch aveva scritto di averli ricavati

è indubbiamente una questione particolare, di interesse molto minore, ma mi sembra un ottimo caso per indagare i meccanismi di trasmissione delle notizie ed i modi nei quali si formano le tradizioni: aspetti sempre centrali in uno studio sulle origini del cristianesimo.

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Nicolas Notovitch raccontò dunque, come abbiamo già visto, della sua scoperta di manoscritti buddisti, in un monastero del Ladack in India settentrionale, con notizie sparse di un soggiorno in India di Jeshuu, lì chiamato Issa, che davano una versione alternativa della sua morte, ma NON della sua resurrezione; e nella Prefazione del suo libro La vita sconosciuta di Gesù Cristo, del 1884 disse che, prima di pubblicarlo, si era rivolto per dei pareri sia ad un monsignore ortodosso di Kiev, sia ad un cardinale a Roma, di cui non fece il nome, sia a Renan, il famosissimo autore della Vita di Gesù, del 1863, che lo presentava in una rivoluzionaria chiave prettamente umana.

i primi due lo sconsigliarono dal pubblicare il testo; il cardinale gli anticipò che si sarebbe procurato soltanto dei guai e gli propose anche un aiuto economico (per comperare il suo silenzio?); Renan invece gli chiese di affidargli il manoscritto, che intendeva presentare una relazione all’Accademia di Francia, ma Notovitch rifiutò, con tipica arroganza giovanile, ritenendosi in grado di provvedere da solo alla pubblicazione, e scrive addirittura che propose a Renan un rinvio, per non rifiutare esplicitamente la sua offerta, considerando le sue precarie condizioni di salute (ma Renan poi morì effettivamente soltanto nel 1892 e scrivere queste cose nel 1894, a Renan morto, non rende poi particolarmente simpatica la figura di Notovitch).

ma che cosa gli successe dopo avere scontentato sia il clero sia la critica laica e pubblicato per suo conto?

i fatti sono veramente un indice demoralizzante della situazione della libera ricerca, in particolare in quei tempi.

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qualcuno dirà che l’era andata a cercare, considerando la scarsa accuratezza della sua edizione: una traduzione estemporanea di passi letti a lui da un lama e tradotti da un interprete, che poi lui aveva riorganizzato in modo che assumessero l’aspetto di una narrazione continuata, quasi di un vangelo alternativo; cosa aggravata dal suo avere confermato come credibile l’informazione del lama che il testo era stato composto tre o quattro anni dopo la morte di Issa, da testimoni oculari, il che ne avrebbe fatto in assoluto la testimonianza più antica ed attendibile sulla vicenda personale di Jeshuu; e in quel tempo certamente suscitavano altrettanta indignazione le idee che gli erano attribuite: una specie di sintesi inter-confessionale tra cristianesimo e buddismo, che alla fine facevano di Gesù una specie di maestro buddista itinerante nell’Asia tra diverse religioni e culture.

ma la cosa sconcertante è che le aspre critiche che subito si levarono contro il suo lavoro non presero affatto di mira questi aspetti; per la verità questo avvenne solo all’inizio, sulla spinta di un successo editoriale clamoroso: nelle loro recensioni il New York Times e il Times scrissero che il racconto di Notovitch sembrava attendibile, ma questo non significava che anche il testo lo fosse o potesse smentire le versioni cristiane; il primo però si spinse a dire che una commissione di inchiesta inglese che si era proposta di verificare i documenti originali, avrebbe solo perso tempo.

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ma il tono cambiò ben presto quando entrò in scena il pastore di una chiesa protestante, Edward Everett Hale, personaggio di spicco del tempo, protagonista della lotta contro lo schiavismo, per il pacifismo, per la tolleranza religiosa (!) e a favore dei diritti dei lavoratori:

fece subito l’ipotesi che Notovitch si fosse inventato di sana pianta la cosa: gli sembrava strano che gli fosse stata raccontata una cosa mai detta ad altri viaggiatori; scrisse addirittura che il convento di Himis, dove Notovitch aveva detto che gli erano stati letti quei passi, era mitico e non risultava nel registro dei conventi buddisti vicino a Leh (ma i miei lettori ne hanno visto una foto nel post precedente); trovò inverosimile anche la storia della frattura della gamba e dell’ospitalità nel monastero.

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Hale era stato duro, ma moderato, tutto sommato, ma scatenò Friedrich Max Mueller, docente di filologia comparativa all’Università di Oxford e addirittura fondatore della disciplina della religione comparata; quindi una specie di autorità indiscutibile del tempo (in una lettera del 1876 si augurava di poter andare in India per distruggere l’antica infame religione indiana e aprire le porte a quella cristiana).

Mueller, che scriveva nel mese di ottobre, quindi pochi mesi dopo la pubblicazione del libro, disse di avere interpellato gente che era passata da quelle parti, missionari moravi e ufficiali inglesi, e avevano riferito che nessun russo era passato da Leh; anche ammettendo che Notovitch fosse un gentiluomo e cioè non un bugiardo, come insinuava, forse era stato raggirato dal lama: E’ più umoristico pensare che i monaci buddisti possano essere a volte dei burloni, piuttosto che mr. Notovitch sia una canaglia.

poi Mueller si concentrò, giustamente, sull’affermazione che la storia era confermata sia da mercanti ebrei sia da indiani che avevano conosciuto Issa nell’Orissa o a Benares: come era possibile che questi si fossero conosciuti fra loro? e chi lo aveva incontrato come semplice studente, come aveva fatto a capire che era proprio lui che 15 anni dopo sarebbe stato crocifisso sotto Ponzio Pilato?

del resto questi manoscritti, presunti secondo lui, non si trovavano nei cataloghi ufficiali dei testi buddisti; in un velenosissimo poscritto Mueller aggiungeva la lettera di una signora inglese rimasta anonima, che diceva di vivere a Leh: Non c’è una parola di verità in tutta questa storia! Qui non c’è stato nessun russo negli ultimi cinquant’anni (ma il monastero in questione era poi a Himis, non a Leh: 25 km di distanza).

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Notovitch replicò nelle edizioni successive: citò un certo dottor Karl Marx (un caso di omonimia), dipendente del governo inglese, che lo aveva curato; disse che i cataloghi dei manoscritti buddisti non erano completi e che proprio in questo stava il valore della sua scoperta; che i lama buddisti tendono normalmente ad occultare quello che hanno di prezioso nei loro monasteri, nel dubbio che gli venga portato via.

ma poi si incaponì a cercare di replicare all’unica critica davvero centrata che gli aveva fatto Mueller e confuse del tutto l’argomentazione dicendo che le frasi attribuite a Issa in quei passaggi potevano provenire da Tommaso, quando era stato in India qualche anno dopo, ed esattamente nel 52 d.C., secondo le tradizioni locali; gli Atti di Tommaso, del III secolo, citano peraltro un re, in relazione al suo viaggio, Gondophernes, che era ancora in carica nel 46 d.C., quando morì, come risulta da un’iscrizione, e che Tommaso avrebbe convertito: quel nome, che divenne Gaspare nella tradizione occidentale, era comunque un titolo che veniva attribuito a tutti i sovrani di quella dinastia; per cui è probabile che l’interlocutore di Tommaso fosse un suo discendente, Sases, che regnò alla metà del I secolo.

moneta di Sases Gondophernes

Notovitch sfidò comunque ad andare al monastero di Himis a verificare se quei testi esistevano oppure no.

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non che fosse facile, ma apparentemente qualcuno raccolse la sfida: due anni dopo, nel 1896, J. Archibald Douglas, di cui poco altro si sa, ma che si definiva docente dell’Università di Agra, in India, scrisse di essere andato a Himis l’anno prima, di avere avuto un incontro col lama superiore del convento, di avergli letto alcuni passi del libro di Notovitch, con un interprete – gli mostrò perfino una fotografia del russo -, ma il lama disse di non averlo mai conosciuto, che il manoscritto non esisteva, e aveva esclamato Sun sun, manna mi dog: bugie, bugie, nient’altro che bugie (parole che peraltro non esistono in tibetano né in alcuna altra lingua) e chiesto addirittura se Notovitch poteva essere processato per avere scritto quelle falsità; poi, sì, Notovitch era stato davvero in cura dal dott. Karl Marx, ma per un banale mal di denti: questa è una delle pochissime cose certe di questa storia, perché se l’era annotato sul suo diario, e questo diario esiste ancora; ma niente si era annotato della ben più grave frattura della gamba.

allora anche Mueller tornò alla carica sul New York Times: aveva sempre saputo che quel testo era un falso e si scusava con i monaci per avere fatto l’ipotesi che avessero ingannato Notovitch.

la credibilità di questi era distrutta, il libro sparì dal mercato e tutto sembrò finire lì: ma la questione sembra avere una capacità quasi medianica di risvegliare l’interesse delle persone più strane.

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forse il lama aveva mentito a Douglas e non a Notovitch?

un conoscente di Mueller, Abhenananda, l’attivista hindu di cui ho parlato nel post precedente, nel 1922 partì a sua volta per il monastero di Himis e qui ebbe la conferma che Notovitch non aveva mentito; anzi, secondo lui, gli venne addirittura mostrato un manoscritto che riportava la vita di Issa in India (mentre Notovitch non aveva visto niente di simile; diceva di averne visti due!); ma forse Abhenananda fu favorito al fatto di essere a sua volta un religioso; tuttavia la sua testimonianza resta debole, anche perché non fotografò il testo.

in ogni caso, più si accumulano le testimonianze, più aumenta la confusione: sembra una regola costante in questa storia.

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toccò a Nichola Roerich, un artista e intellettuale di inzio Novecento, affascinato dall’Oriente, tornare in quei luoghi nel corso di una grandiosa spedizione nell’Asia centrale, che durò quattro anni e mezzo, dal 1923 al 1927; e in questa sua lunga esplorazione di quei luoghi magici trovò ampie tracce delle tradizioni di un lungo periodo passato in India da questo santo Issa; e pubblicò anche detti a lui attribuiti, dicendo di averli presi da un antico manoscritto di 1.500 anni prima; ma non precisò dove fosse questo manoscritto e questi detti sono sostanzialmente semplici varianti di quelli che aveva pubblicato Notovitch.

Roerich raccontò della sua visita al monastero di Himis, di cui riporta una pessima impressione: strana atmosfera di oscurità e tristezza; i lama sono semianalfabeti; qui è evidente il pregiudizio e la cupidigia; i manoscritti sono tenuti negli scantinati, fuori di vista, probabilmente in pasto ai topi; ai lama tantrici non interessano.

all’inizio ci fu un completo diniego dell’esistenza di un manoscritto su Gesù, poi invece gli venne confermata; però non sembra che gli venne mostrato, lui almeno non lo scrive; riporta invece le numerose notizie che da varie parti gli riportano questa leggenda; del resto anche di Apollonio di Tiana, quasi l’alter ego pagano di Cristo, si narra che venne in India; e non manca neppure un musulmano, che gli parla della tomba di Yuzasaf (Jeshuu?) a Srinagar e di quella di Maria a Kashgar.

ma Yuzasaf significa semplicemente Bodhisattva, cioè persona destinata a raggiungere l’illuminazione e a diventare un buddha, secondo Groenbold – ma questa è un’altra storia, anche se evidentemente collegata https://corpus15.wordpress.com/2017/04/08/lislampacifico-di-ahmad-151/): ed ecco un’altra tradizione, questa volta islamica, che lo fa sopravvivere alla cattura e alla condanna a morte, per rifugiarsi e venire a morire qui; ma almeno stavolta la tomba esiste, anche se ultimamente è stata chiusa ai turisti.

Roerich è completamente preso dalla bellezza di queste leggende ed, entusiasta, si spende a favore di questa religiosità profonda ed inter-confessionale che attraversa l’Asia, attraverso la figura del fondatore del cristianesimo, rivendicato come proprio maestro sia dal buddismo, sia dall’islam (per non parlare dell’induismo dove alcuni lo vedono come una delle reincarnazioni di Vishnu); ma era un pittore, un artista, un viaggiatore, non uno storico né un filologo.

altra confusione, e sembra impossibile non riuscire a venirne a capo; epppure…

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ma nel frattempo i manoscritti sono spariti, racconta l’accompagnatore del religioso indiano, sia ad Himis, sia gli originali in Tibet, e nessuno sa più dove sono: o così gli viene risposto quando chiede di consultarli ancora.

eppure questo non impedisce che qualcuno li ritrovi di nuovo…

nel 1931 ne parla in suo libro Henrietta Merrick, ma solo per sentito dire.

ma alla fine del 1937 Elisabeth Gétaz, coniugata Gaspari, una insegnante di musica, viene invitata da un’amica a partecipare ad un grande viaggio o pellegrinaggio in Oriente; non ci pensa due volte e accetta di far parte di un’altra favolosa spedizione; arrivarono anche al monastero di Himis due anni dopo, e vi si fermarono alcuni giorni; qui spontaneamente il bibliotecario le porta tre libri e gliene mette in mano uno dicendole: Il vostro Gesù era qui.

lei ci crede, naturalmente; conta poco che il monastero sia di molto successivo; del resto lei non sapeva nulla di questa storia, quindi non poteva essere prevenuta in alcun modo.

scoppiò intanto la seconda guerra mondiale e tutta la spedizione restò bloccata in India; lei ci visse nove anni e scrisse il resoconto di quel viaggio, dopo essere venuta a conoscenza dell’opera di Notovitch, e allora le tornò in mente l’episodio: aveva preso anche una foto del monaco buddista che mostra il libro e la pubblicò in quel resoconto, ma la traduzione italiana, stranamente, non la mostra.

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discorso chiuso, finalmente settant’anni dopo? direi di no.

basta tutto questo a dimostrare definitivamente che quel manoscritto o quei manoscritti sono quelli di cui Notovitch disse di avere tradotto delle parti? evidentemente no.

chi può stabilire con certezza che cosa aveva in mano il lama? altro che i racconti di Edgar Allan Poe…

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l’ultimo che io sappia che ha cercato ad Himis i famosi manoscritti con i versetti dedicati ad Issa è Holger Kersten, un docente tedesco di religione (ne parleremo ampiamente nel prossimo post), che ci arriva addirittura con una lettera di presentazione che si è fatto fare dal Dalai Lama nel 1973; ma il lama che alla fine lo riceve gli dice sorridendo che quelle scritture sono state cercate, ma non è stato trovato niente.

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lo scopo di questo post è di dimostrare come sia difficile ricavare dati storici dalle leggende e accertare perfino una verità molto semplice a distanza di meno di 70 anni, e in un’epoca in cui la tecnologia permetteva di documentare quasi tutto attraverso la fotografia, che era già nata: anche Notovitch aveva preso delle foto del suo viaggio, ma erano andate distrutte per una sfortunata esposizione alla luce solare, raccontò.

e adesso fate un salto nel tempo, tornate indietro col pensiero di quasi duemila anni, mettetevi in una società prevalentemente analfabeta e rurale e provate a pensare a quali fantasiose invenzioni potrà essere arrivata la innata capacità fabulatoria dell’essere umano; e dite voi se si può pensare di venirne a capo quasi duemila anni dopo, pur con tutta la buona volontà.

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anche le notizie su cui si basa questo post, come il precedente, sono tratte al libro di Elisabeth Clare Prophet, Gli anni perduti di Gesù. Prove documentate dei diciassette anni vissuti da Gesù in Oriente, 1999

eh sì, la Prophet scrive proprio prove documentate.