avevo concluso con un impegno la mia analisi delle confuse tradizioni buddiste, induiste ed islamiche su un soggiorno in India del Gesù della tradizione cristiana, che lì avrebbe attinto da quelle religioni degli aspetti fondamentali della sua predicazione, naturalmente (secondo loro), ed anzi, secondo alcune, lì sarebbe addirittura tornato a morire: ed era quello di dedicare un’appendice ai rapporti tra i filosofi itineranti cinici del primo impero e il pensiero religioso indiano.
tema meno peregrino di quel che sembra dato che i filosofi itineranti cinici del II secolo, avevano tra l’altro strettissimi punti di contatto con i primi cristiani, tanto che a volte venivano perfino confusi con loro, come componenti di movimenti di opposizione simili all’impero (vedi ad esempio Luciano, La morte di Peregrino detto anche Proteo, filosofo cinico che prima era stato cristiano e che si era bruciato vivo alle Olimpiadi del 165 d.C., per protesta contro l’impero.
la conoscenza del pensiero induista da parte dei cinici, contemporanei del cristianesimo nascente, rende evidente che questa era condivisa anche negli ambienti cristiani; si è aggiunta la sorprendente constatazione che lo storico ebreo Giuseppe Flavio nel I secolo attribuiva addirittura l’idea indiana della reincarnazione anche a Eleazar (Lazzaro), il seguace di Jeshuu che affermava di essere il suo prediletto, che produsse il primo Evanghelion, cioè Annuncio del Nuovo Regno, e fu poi l’animatore forse principale della rivolta ebraica contro i romani.
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un papiro della metà del II secolo circa, edito per la prima volta nel 1959 (Pap. Gen. 271) – quello su cui feci la mia tesi di laurea nel 1971 – contiene un interessante documento, rappresentato da una lettera non si sa bene a chi di Dandamis, a nome di un gruppo di bramini, detti anche gimnosofisti, cioè filosofi nudi.
il testo è chiaramente una invenzione letteraria; ma racconta un incontro di Alessandro con questo bramino o guru indiano, che aveva una base storica reale ed era già noto da tempo: era entrato, oltre che nelle cronache, nelle narrazioni a volte semi-leggendarie che si erano sviluppate attorno alla straordinaria impresa del giovane re macedone.
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il protagonista di parte indiana fu chiamato dai greci Dandamis, che era una trascrizione presumibilmente del nome Dandi-Svami: Svāmin è un sostantivo maschile sanscrito che indica un insegnante spirituale, un brahmano particolarmente istruito, un paṇḍit, e spesso veniva inserito come suffisso alla fine del nome vero e proprio.
Dandi-Svami, chiamato anche Mandanes, era un gimnosofo, che Alessandro, nel 326 a. C., quando tentò l’invasione dell’India, incontrò nei boschi vicino a Taxila, come chiamarono gli storici greci questa città; probabilmente si tratta della Takasoma di Tolomeo.
Taxila o Tassila (sanscrito: तक्षशिला, Takṣaśilā) è oggi un sito archeologico, incluso nella lista dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, della provincia del Punjab in Pakistan, a oriente dell’Indo; gli scavi svolti lì fanno pensare ad una città cresciuta senza un piano apparente, fatta di case costruite con materiali scadenti ma dotata di un sistema fognario; sono stati anche ritrovate più di mille monete greche, tra le quali due tetradracme di Alessandro il Grande.

Alessandro la conquistò appunto nel 326 a.C., e vi lasciò una guarnigione di Macedoni che però perdettero la città nel 317 a.C., pochi anni dopo la sua morte, a beneficio di Chandragupta Maurya, che conquistò tutto il Punjab, e dei suoi successori, tra i quali il nipote Aśoka vi avrebbe svolto i suoi studi: Asoka fu l’imperatore che, salito al trono nel 268 a.C., introdusse il buddismo in India, pur se sostenne sempre il rispetto inter-religioso: si veda il suo Editto n. 12: Sua Maestà il re santo e grazioso rispetta tutte le confessioni religiose, e desidera che gli adepti di ciascuna di esse si astengano dal denigrarsi a vicenda. Tutte le confessioni religiose vanno rispettate per una ragione o per l’altra. Chi disprezza l’altrui credo, abbassa il proprio credendo d’esaltarlo.

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ma chi erano i gimnosofi, o gimnosofisti, così chiamati dai greci?
ne parlò per primo Megastene (senza chiamarli ancora così), inviato in India appunto presso il re indiano Sandrokottos, ossia Chandragupta, fondatore dell’Impero Maurya, come ambasciatore per trattare la pace, da parte di Seleuco I, uno dei successori di Alessandro Magno; Megastene compose, verso il 310 a.C., un’opera intitolata Ἰνδικά, Indikà, Notizie sull’India, in 4 libri, di cui possediamo ampi frammenti; in questo contesto Megastene rappresentò l’India come una sorta di utopia cinica.
le notizie di Megastene furono riprese da Strabone, vissuto tra il 60 a.C. e il 21 o 24 d.C. e autore di una Geografia in 17 libri; nel XV divide i filosofi indiani in bramini e sarmani, cioè Śramaṇas, sanscrito: श्रमण, cioè asceti; questi li divide a sua volta in Hylobioi, eremiti della foresta, che risalgono alla tradizione degli Aranyaka, testi religiosi segreti indiani composti in sanscrito intorno al XI-IX secolo a.C , e medici.
I più onorevoli, dice, sono gli Hylobii, che vivono nelle foreste e si nutrono di foglie e frutti selvatici: sono vestiti con vesti di corteccia di alberi e si astengono dal commercio con le donne e dal vino. Dei Sarmani (…) i medici sono secondi in onore agli Hylobii, perché applicano la filosofia allo studio della natura dell’uomo. Hanno abitudini frugali, ma non vivono nei campi e si nutrono di riso e farina, che ognuno dà quando gli viene chiesto, e li riceve in modo ospitale. (…) Sia questa che l’altra classe di persone praticano la fortezza, sia nel sostenere il lavoro attivo che nel sopportare la sofferenza, in modo da continuare un’intera giornata nella stessa posizione, senza movimento. Strabone XV, I, 60

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ma ancora più interessante per noi è che a questi eremiti indiani dedica una precisa attenzione il principale intellettuale ebreo dell’inizio del I secolo d.C., Filone di Alessandria, vissuto nella metropoli egiziana alla foce del Nilo tra il 20 a.C. e il 45 d.C.: e sono giusto gli anni della formazione in Egitto di Jeshuu, il profeta egiziano.
Filone ne parla nell’opera Quod omnis probus liber, Che ogni uomo buono è anche libero; qualcuno ne contesta l’autenticità; tuttavia anche in questo caso resta importante che circolasse sotto il suo nome.
E tra gli indiani c’è la classe dei gimnosofi, i quali, oltre alla filosofia naturale, si danno molto da fare anche nello studio della scienza morale, e così fanno della loro intera esistenza una sorta di lezione di virtù. Quod omnis probus liber 74
Ma è necessario per noi […] portare avanti come testimonianze corroboranti le vite di alcuni uomini particolarmente buoni che sono le prove più innegabili della libertà. Calanus era un indiano di nascita, uno dei gimnosofisti; lui, considerato l’uomo che possedeva la più grande fortezza di tutti i suoi contemporanei, e anche questo, non solo dai suoi stessi connazionali, ma anche dagli stranieri, che è il più raro di tutte le cose, fu molto ammirato da alcuni re di paesi ostili, perché aveva combinato azioni virtuose con un linguaggio lodevole. Quod omnis probus, 92-93.
con questa seconda citazione siamo all’interno di una presunta Lettera di Càlanos che Filone (o chi per lui) riporta nella sua opera.
quindi per un ebreo vissuto in Egitto negli anni di Filone era impossibile non conoscere queste tradizioni sull’India e su questi particolari asceti anche attraverso di lui; del resto nel post precedente ho ricordato come si sono trovate ad Alessandria tracce della presenza di qualche piccolo gruppo dedito ai culti buddisti.
e mi rendo ben conto che sto completamente rivoluzionando, alla luce delle testimonianze storiche, l’immagine falsa e melensa del semi-analfabeta falegname Gesù di Nazaret, sostituendola con quella di un uomo formatosi in Egitto, in un ambiente multi-culturale, aperto anche all’India: ed è ovviamente questo il segreto delle precise risonanze col mondo indiano e perfino con certi suoi stili espressivi che ritroviamo nella testimonianza più antica sulle sue parole e sui suoi detti, quella del fratello gemello Giuda il Gemello.
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ma la citazione di Filone ci fa conoscere anche un altro asceta indiano, entrato in contatto con Alessandro Magno e non posso trascurare di fare cenno anche a lui, dato che lo ritroveremo nei testi che riporterò più avanti: Kàlanos o Càlanos, che però secondo Plutarco si chiamava in realtà Sphínēs: anche lui era un gimnosofista di Taxila, ed è lui che aveva fatto conoscere ad Alessandro Magno Dandamis, come leader del loro gruppo e lo aveva accompagnato da lui: secondo alcune altre tradizioni, che non desidero approfondire adesso, i gimnosofisti di Taxila erano però gli animatori di una diffusa opposizione ad Alessandro, per cui il suo incontro con loro potrebbe essere visto anche come un tentativo politico di trovare un accordo.
Càlanos però, a differenza di Dandamis, decide di unirsi alla spedizione di Alessandro Magno che ritornava a Babilonia, accogliendo la sua richiesta di essergli maestro; ma, arrivato a Susa nel 324, sentendosi debilitato, a 73 anni, decise di auto-immolarsi, dicendo che preferiva morire piuttosto che vivere da invalido; si fece costruire una pira funebre e vi si fece bruciare vivo senza un sussulto; le sue ultime parole ad Alessandro furono: Ci rivedremo a Babilonia.
e a Babilonia, il 20 giugno, un anno esatto dopo la morte di Càlanos, anche Alessandro morì, a soli 32 anni.
fonte principale di queste notizie fu Onesicrito, seguace di Diogene, il filosofo cinico, che aveva accompagnato Alessandro nella sua spedizione ed era stato suo interlocutore appunto con i gimnosofisti; la sua opera, in almeno 4 libri, per noi perduta, era intitolata Come Alessandro fu educato, e rappresentava il re macedone come un filosofo cinico, trasfigurandolo in modo fantastico e leggendario, a volte con intenti adulatori, e diede origine al variegato ciclo di storie confluite nelle diverse versioni del Romanzo di Alessandro, che ebbe un successo enorme in tutta la cultura medievale, non solo occidentale.
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la voce dedicata a Damdamis su wikipedia, solo in inglese e scritta da un indiano, riferisce l’incontro tra Alessandro Magno e Dandamis così:
Quando Alessandro incontrò alcuni gimnosofi, che erano un problema per lui, venne a sapere che il loro capo era Dandamis, che viveva nella giungla, sdraiato nudo sulle foglie, vicino a una sorgente d’acqua. Quindi inviò Onesicrito per portare Dandamis da lui. Quando Onesicrito incontrò Dandamis nella foresta, gli diede il messaggio che Alessandro, il grande figlio di Zeus, gli aveva ordinato di venire da lui. Ti darà oro e altre ricompense, ma se rifiuti, potrebbe decapitarti. Quando Dandamis lo seppe, non alzò nemmeno la testa e rispose sdraiato nel suo letto di foglie: Dio, il Gran Re, non è una fonte di violenza ma fornitore di acqua, cibo, luce e vita. Il tuo re non può essere un Dio, che ama la violenza e che è mortale. Anche se mi togli la testa, non puoi togliermi l’anima, che partirà per il mio Dio e lascerà questo corpo come se gettassimo via una vecchia veste. Noi brahmani non amiamo l’oro né temiamo la morte. Quindi il tuo re non ha nulla da offrire, di cui potrei aver bisogno. Va’ a dire al tuo Re: Dandamis, quindi, non verrà da te. Se ha bisogno di Dandamis, deve venire da me. Quando Alessandro venne a sapere quale fosse la risposta di Dandamis, andò nella foresta per incontrarlo e rimase seduto davanti a lui nella foresta per più di un’ora. Quando Dandamis gli chiese perché era venuto da lui perché non aveva niente da offrirgli – poiché noi non pensiamo al piacere o all’oro, amiamo Dio e disprezziamo la morte, mentre tu ami il piacere, l’oro e uccidi le persone, temi la morte e disprezzi Dio -, Alessandro lo informò: Ho sentito il tuo nome da Calanos e sono venuto a imparare la saggezza da te. La conversazione che ne seguì è registrata dai greci come colloquio Alessandro-Dandamis.
però mi rendo conto che questo post ha raggiunto dimensioni improponibili, anche soltanto con questa parte di mera introduzione, e mi vedo costretto a rinviare la prosecuzione ad un post successivo.
a presto.