Jeshuu, un agitatore politico-religioso? Gianfranco Nuzzo, un critico attento dei miei studi su Jeshuu. un dibattito via mail 3 – 536

nel quadro della discussione via mail svoltasi nelle settimane scorse con l’amico G.F., che sto qui riportando a puntate, si arriva ad un punto cruciale per la definizione della figura storica di Jeshuu, colui che venne successivamente identificato come il fondatore del cristianesimo.

ma vediamo le obiezioni del mio amico ed interlocutore sulla questione evidenziata nel titolo di questo post.

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G. N. mail, 10 giugno 2020

7o argomento: tu dici: «Jeshuu era un agitatore politico, a capo di un movimento che sognava l’avvento di un nuovo regno di Israele, libero dal protettorato romano e dal dominio dei ‘collaborazionisti’ membri del Sinedrio: è questo il “regno” di cui lui stesso parla, e non quello “dei Cieli”, frutto di una successiva manipolazione del Cristianesimo istituzionale». Sperando di aver reso in forma veritiera il tuo pensiero, che peraltro si basa su numerosi e complessi elementi, ti avverto che mi limiterò solo ad una breve considerazione riguardante una fase cruciale del processo dinanzi a Pilato così come è riferito in Gv. 18, 33 ss. e nel pap. Ryland 457. Per maggiore chiarezza riporto il testo di Giovanni a partire da 33:
33 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». 34 Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?». 35 Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». 36 Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37 Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38 Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa».
Ho evidenziato in neretto la parte che tu consideri interpolata forse già anche nel Papiro Ryland 457 (dove comunque manca), basandoti sulla ripetizione della domanda di Pilato al v. 37, che ritieni un indizio della stessa interpolazione; tuttavia ammetti (se non ho capito male) che lo stato di conservazione del papiro, mutilo alla fine del recto e all’inizio del verso, non dà certezze assolute di nessun tipo. In effetti la frase incriminata potrebbe essere stata contenuta nella parte mancante, ma io penso che un’attenta analisi delle sequenze di questo interrogatorio nel testo giovanneo potrebbe smentire la tesi dell’interpolazione. Ecco quella che a mio avviso è una successione logica delle stesse sequenze.
33 Pilato pone per la prima volta a Gesù la domanda «Tu sei il re dei Giudei?».
34 Gesù piuttosto che rispondere alla domanda, chiede a sua volta a Pilato da dove abbia attinto la notizia.
35 Pilato si spazientisce (ne è un indizio lo sprezzante «Sono io forse Giudeo?») e riformula la domanda in modo più generale («che cosa hai fatto?»). Se non ci fosse questa sequenza – assente nel Papiro Ryland – Pilato formulerebbe per due volte di seguito la stessa domanda, che nel papiro si trova alla fine del recto e all’inizio del verso, variata solo dalla presenza di oykoyn – nella mail originale in alfabeto greco – la seconda volta (tu ritieni appunto che ciò riveli la mano dell’interpolatore, ma su questo torneremo).
36 Percependo la reazione stizzita del suo interlocutore, stavolta Gesù risponde in senso affermativo alla domanda iniziale, chiarendo però qual è il carattere ultraterreno del suo regno.
37 Adesso Pilato si sente preso in giro: che vuol dire «il mio regno non è di (veramente il testo greco dice ek cioè da) questo mondo»? Allora gli chiede per l’ultima volta «Insomma (è questo a mio avviso il senso di oykoyn di solito tradotto con “dunque”) sei re o non sei re?». Gesù risponde di nuovo affermativamente, ma anche stavolta sottolinea il carattere particolare della propria ‘regalità’, chiarendo che la sua missione terrena è quella di «rendere testimonianza alla verità», missione che mi pare più adatta a un filosofo o a un profeta che a un sovrano.
38 A questo punto Pilato, che era certamente un uomo colto, forse seguace di quello Scetticismo piuttosto in voga presso certa intellighentsia romana (penso a Cicerone, che pur ne adotta la forma moderata detta ‘probabilismo’), in tono pensoso gli chiede (e si chiede) «Quid est veritas?» e riferisce al Sinedrio il suo verdetto di non colpevolezza.
A conclusione della mia analisi aggiungo una considerazione che mi pare decisiva. Se Gesù si fosse proclamato re dei Giudei nel significato politico del termine e Pilato avesse inteso in questo senso le sue parole, non lo avrebbe certamente giudicato senza colpa: si sarebbe trattato di un’aperta sovversione contro l’autorità romana, prima ancora che contro quella del Sinedrio, e l’avrebbe sicuramente condannato a morte senza chiedere il parere della folla (scena che – forse hai ragione tu – è un’aggiunta posteriore al testo evangelico, fatta con intento antisemita).

M., mail 25 giu 2020, 22:40

l’ultimo argomento tuo, che trovo più interessante, è quello della sequenza narrativa Giov. 18, 33-38. siamo in ambito filologico, cioè congetturale, e tu trovi non risolutiva la mia osservazione che la ripetizione della stessa domanda in 33 e 37 segnali una intrusione successiva di 34-36 + 37a; ti segnalo allora un’altra incongruenza nel testo attuale: se tu ometti l’inizio di 37: Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re, allora ti puoi accorgere che il resto del discorso fila in modo molto più lineare.
è più che evidente che abbiamo l’intersecazione di due testi diversi.
il primo: 33 Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». 34a Gesù rispose: […] 37 b «Tu lo dici; io sono re».
il secondo è la premessa necessaria dell’episodio successivo che anche tu ammetti possa essere interpolato ed è costantemente volto ad evidenziare le responsabilità dei Giudei e a sminuire quelle dei romani 34 [Gesù rispose:] «Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?». 35 Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?». 36 Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù. […] 37 c Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38 Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa».
tralascio l’affermazione di essere venuto nel mondo, che appartiene palesemente ad una fase successiva di rielaborazione in chiave teologica, ma questa parte è caratterizzata dallo stesso anti-semitismo di tutto il racconto che segue: afferma che Jeshuu è stato consegnato a Pilato dai Giudei, quando nel racconto precedente si è parlato esplicitamente, invece del ruolo fondamentale di una coorte romana nel suo arresto. da notare anche 36, dove nega che i suoi servitori (!!! dice proprio così) abbiano combattuto contro i Giudei (!!!) ed è di nuovo smentito dal resoconto precedente, dove si racconta del ferimento di un servo del sommo sacerdote, cioè raccontando di un tentativo di resistenza che ci fu.
la manipolazione successiva, evidente, tende a sminuire l’azione anti-romana ed appartiene ad una fase successiva rispetto al racconto originario, che cerca di correggere.
non trascurabile, infine, in questa manipolazione, l’influenza del racconto che fa Giuseppe Flavio del processo ad un tale Jeshuu, esaltato profeta della distruzione di Gerusalemme poco prima dell’assedio romano, che viene lasciato libero dal prefetto romano perché giudicato un mentecatto inoffensivo.

ma non è evidente che nel resto finale arrivato a noi vengono fuse assieme due narrazioni dal significato opposto? nella prima Jeshuu conferma di essere re di Israele, nella seconda lo nega dicendo che il suo regno non è di questo mondo: ecco l’esempio delle stratificazioni del testo di cui parlo.

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la discussione non ha avuto altri sviluppi, ed è un vero peccato; e soprattutto non ha affrontato che marginalmente il tema centrale posto nel titolo del post.

cerco di farlo ora, anche se purtroppo mi mancherà l’interlocutore.

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l’obiezione fatta da G.N. è stata molto utile per me, perché dopo tanti anni che mi occupo del carattere storico della figura di Jeshuu, l’affermazione che fosse un agitatore politico-religioso è per me diventata quasi scontata e G.N. mi ha ricordato che per moltissimi non è così, anzi che questa idea per me ovvia può risultare sconcertante, per non dire assurda, a chi si attiene strettamente alla tradizione senza sottoporla ad analisi critica.

va precisato comunque che, nella cultura ebraica del tempo, è impossibile separare nettamente la dimensione politica da quella religiosa, ma questo vale forse in realtà per qualunque cultura, in fondo (basterà ammettere che anche l’ateismo e l’agnosticismo sono atteggiamenti religiosi per averne la prova conclusiva).

proverò allora a giustificare perché ritengo appunto che Jeshuu storicamente sia stato un agitatore politico-religioso; e per farlo partirò da una premessa di metodo.

mi è stato rinfacciato il rischio di partire da una ipotesi per confermarla attraverso altre ipotesi e in sostanza non fare alcun vero passo avanti nella ricerca: ma si può fare un’ipotesi iniziale e raccogliere tutti gli indizi che la confermano (meglio ancora se ci sono le prove!); se se ne trovano in maniera che si giudica sufficiente a confermare almeno la probabilità dell’ipotesi, questa potrà essere riproposta sotto forma di ragionevole scenario interpretativo; certo l’affermazione probabile finale è la stessa che prima, all’inizio, era un’ipotesi di lavoro: ma questo non vuol dire che si tornati al punto di partenza, quella che era un’ipotesi, ha cambiato natura!

volendo, si può fare anche una controprova: formulare l’ipotesi inversa, e raccogliere in questo caso tutti gli elementi che la contraddicono o la rendono improbabile; se anche questi sono in numero sufficiente, avremo la smentita dell’ipotesi opposta e dunque una probabilità ulteriore di avere azzeccato l’interpretazione giusta, anche se in questo caso l’ipotesi iniziale sarà andata a vuoto; altrimenti, se le smentite sono insufficienti o deboli, avremo una ulteriore conferma indiretta.

quindi ora faremo due ipotesi: la prima che Jeshuu fosse un agitatore politico-religioso, avesse degli obiettivi ed un programma e compisse delle azioni dal significato politico; la seconda è che fosse soltanto un riformatore religioso in senso stretto e non avesse altra idea che di suscitare un rinnovamento morale e di fede in coloro che lo seguivano.

ed ora verifichiamo le due ipotesi.

ma l’affermazione che nella Palestina del tempo non potesse esserci una sensibilità di massa per un messaggio esclusivamente religioso la lasceremo per il momento in disparte, perché non sembri una petizione di principio.

faremo però anche una scelta di metodo fondamentale: non risponderemo a domande di natura storica ricorrendo a testi di natura religiosa, visto che hanno natura e finalità differenti; tratteremo della storia basandoci primariamente su opere storiche e solo in via secondaria andremo a riscontrare i risultati sui testi della tradizione cristiana.

e nell’esaminare questi, non perderemo mai di vista che la loro finalità non è di raccontare la verità storica, ma di trasmettere messaggi di fede e morali, il che ne limita l’attendibilità sul piano dell’accertamento dei fatti.

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la Palestina della prima metà del I secolo d.C. è un paese che, conclusa la fase del regno di Erode il Grande, morto verso il 4 a.C., e suddiviso tra i suoi figli, non riesce a raggiungere un equilibrio politico stabile, per la loro incapacità politica, e ritorna sotto il dominio diretto di Roma nelle regioni della Giudea e della Samaria, come parte della Provincia di Siria a partire dall’anno 6 d.C. sotto il prefetto Coponio.

la cosa, unitamente all’avvio di un censimento da parte dei romani ad opera del proconsole Quirinio che governava la provincia di Siria a cui faceva capo anche questa parte della Palestina, provoca l’intensificarsi di proteste, tumulti, violente forme di opposizione al potere romano, che sfociano in una grande rivolta sotto la guida di Giuda il Galileo, un autorevole personaggio figlio di Ezechia (il padre già aveva contrastato il potere di Erode ed era stato ucciso nel 37 a.C.), ma questa rivolta viene soffocata nel sangue e anche Giuda a sua volta ucciso.

le agitazioni non cessarono con i diversi successori romani nell’incarico di governare il tumultuoso paese: dal primo, Coponio, che ebbe il titolo di procuratore che stabiliva un rapporto di dipendenza diretta dall’imperatore, a Pilato, che tornò ad essere prefetto.

dopo una relativa tregua di queste agitazioni sotto di lui, che governò con pugno di ferro, tanto da essere alla fine rimosso nel 36 d.C. perché diventato insopportabile per gli ebrei, le azioni di vera e propria guerriglia, mai del tutto interrotte, ripresero intensificate negli anni successivi.

vi fu un tentativo di riportare la pace ricostituendo nel 39 d.C. un regno vassallo di Roma, assegnato ad Agrippa, ebreo zelante, che riuscì anche a spodestare Erode Antipa, che era re della Galilea, riunificando per breve tempo la Palestina; in questo quadro attorno alla Pasqua del 44 furono catturati e messi a morte due figli di Giuda il Galileo, Giacomo e Simone; ma nello stesso anno la morte improvvisa di Agrippa costrinse i romani ad assumere di nuovo il controllo diretto del paese.

questo tornò ad essere senza pace, attraversato ancora, come in precedenza, da movimenti messianici di diversi personaggi che si definivano re legittimi del paese e dalle azioni terroristiche dei sicari, che facevano capo al movimento integralistico degli zeloti, interpreti ortodossi delle tradizioni ebraiche.

a questi ambienti sembra possa essere ricondotta anche una figura come quella di Teuda, che aveva raccolto i suoi seguaci sul Giordano, ma venne catturato e decapitato dai romani nel 46 circa d.C.. e tra questi spicca l’azione tentata su Gerusalemme alcuni anni dopo, nel 52 d.C., dall’esponente di un’ala meno incline alla violenza degli zeloti, guidati da un profeta, ovviamente ebreo, ma noto come l’Egiziano, per essere vissuto in quel paese.

questi condusse i suoi seguaci sul Monte degli Ulivi, di fronte alle mura di Gerusalemme, ma tutti furono sgominati e massacrati dai romani, mentre di lui si persero le tracce.

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inutile seguire nei dettagli gli ulteriori episodi di diversi altri presunti messia, di insurrezioni e rivolte regolarmente spente dall’occupante romano, fino alla grande rivolta finale contro i romani che produsse una guerra durata 7 anni, dal 66 al 73 d.C., nel corso della quale fu per qualche mese nominato re un certo Menahim, discendente di Giuda il Galileo, prima di essere ucciso per contrasti fra gli insorti stessi e fino alla morte dell’ultimo leader della rivolta, Eleazar.

questo è il quadro storico nel quale dovremmo pensare che suscitasse entusiasmi morali di massa un profeta che predicava di porgere l’altra guancia, mentre sicari armati mescolati alla folla compivano azioni fulminee omicide, veri e propri attentati, contro i più ricchi esponenti del collaborazionismo con Roma.

in questo quadro storico dobbiamo pensare che un predicatore che diceva che il suo regno non era di questo mondo suscitasse gli entusiasmi di quelle masse oppure questo tipo di racconto è inverosimile?

ma forse le masse lo seguivano perché faceva dei miracoli e non erano molto interessate al resto del suo messaggio?

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però, se entriamo in una discussione di questo tipo, stiamo cominciando a dare valore storico ai racconti leggendari che i cristiani tracciarono sulle loro origini.

ma questi racconti, anche se ambientati nella prima parte del I secolo a.C., non sono compatibili con quel momento storico, quella cultura, quel quadro degli avvenimenti.

se i vangeli e gli Atti degli apostoli fossero dei resoconti storici sia pure immaginari (ma non hanno mai voluto esserlo!), sarebbe come se i loro autori avessero ambientato le loro storie in una realtà che non conoscevano; insomma se mi è lecito il paragone un po’ troppo dissacrante, sono come i film in costume degli anni Sessanta ambientati in un mondo romano immaginario; e ogni tanto si scopre che qualche attore ha dimenticato l’orologio al polso.

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ma una discussione sul cristianesimo storico che muove dalla premessa che il cristianesimo si ricostruisce a partire dalla storia e non dalle leggende che ha inventato su di sé, si trova subito ad uno snodo importante: che nessuno storico del periodo parla esplicitamente di Jeshuu, né Giuseppe Flavio, di cui le opere ci sono arrivate, né Giusto di Tiberiade, la cui opera è andata perduta (peccato, perché era più vicina ai movimenti rivoluzionari dell’epoca di quelle di Giuseppe Flavio, che rappresentano il punto di vista dell’èlite di potere); però dall’ambiente dei cristiani sappiamo che neppure questa citava Jeshuu.

do per scontato che il Testimonium Flavianum contenuto nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio sia un falso prodotto da Eusebio di Cesarea nel IV secolo, essendo totalmente incompatibile con le idee che lo scrittore esprime in tutta la sua opera, e che sia inattendibile come fonte storica (in via di ipotesi si potrebbe al limite pensare che Eusebio abbia riutilizzato qualche spunto offertogli appunto da Giusto di Tiberiade).

l’assenza di riferimenti storici a Jeshuu, totalmente sconosciuto anche a Filone di Alessandria, morto nel 40 d.C., potrebbe dunque farci pensare che si sia in un vicolo cieco, oppure che la figura di Jeshuu, che ha dato origine al cristianesimo, sia totalmente leggendaria, come è capitato di pensare e a volte ancora capita ad alcuni studiosi di formazione laica.

il mio punto di vista è invece ben diverso: ho impiegato degli anni ad arrivarci, ma ora la cosa mi pare di una assoluta evidenza.

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nelle due opere di Giuseppe Flavio si parla, come appena ricordato, di un personaggio che: 1) era egiziano, cioè vissuto in Egitto; 2) portò i suoi seguaci sul Monte degli Ulivi per dare l’attacco a Gerusalemme; 3) venne attaccato dai romani, i suoi seguaci massacrati e riuscì a sfuggire alla morte.

le consonanze con alcuni punti dei racconti cristiani su Gesù sono stringenti per due aspetti: 1. il rapporto con l’Egitto di questo personaggio; anche Celso, nella sua opera critica verso il cristianesimo, il Discorso sulla verità, un testo che ha natura storica, pur nella polemica, e non apertamente leggendaria, dice che Gesù veniva dall’Egitto, dove aveva appreso le arti magiche che gli permettevano di fare i miracoli; 2. il ruolo centrale del Monte degli Olivi nella conclusione della sua vicenda terrena.

ora, quante possibilità ci sono che due diversi personaggi si recassero con i seguaci proprio sul monte degli Ulivi, venissero dispersi dai romani, e soprattutto che in entrambi i casi il protagonista avesse uno stretto rapporto con l’Egitto? assolutamente nessuna.

ma anche ammettendo che questa storia fosse avvenuta due volte, allora perché Giuseppe Flavio ne parla una volta sola? se racconta l’impresa di quello che definisce il profeta egiziano, perché non parla anche dell’impresa molto simile compiuta da Gesù secondo i vangeli?

insomma, il criterio della verosimiglianza storica ci dice che Jeshuu era davvero il profeta egiziano di cui ci parla Giuseppe Flavio e che non vi è nessun altro personaggio storico a noi conosciuto col quale lui possa essere identificato.

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ma l’obiezione inevitabile è che vi sono delle differenze significative molto marcate tra quello che raccontano i vangeli e quello che riferisce Giuseppe Flavio.

vero! ma Giuseppe Flavio sta scrivendo un’opera storica, i vangeli stano raccontando leggende; non si possono usare delle leggende per smentire un’opera storica; la vera ed unica domanda è perché i vangeli stanno modificando la verità storica.

1) la prima e principale differenza riguarda la cronologia dell’episodio, che i vangeli collocano all’inizio degli anni 30 d.C., sotto il prefetto Pilato (26-36 d.C.), che però loro chiamano procuratore, e nel sommo sacerdozio di Caifa (18-36 a.C.), anche se nella storia poi compare anche il suocero Anna, che lo aveva preceduto nella carica; invece Giuseppe Flavio lo colloca nel 52-53 d.C. sotto il prefetto Felice e al tempo di un sommo sacerdote che si chiamava pure Anna (Anania ben – figlio di – Nebedeo), e fu in carica dal 46 al 52.

ma, allora, perché i vangeli anticipano di una ventina d’anni la vicenda?

se ne possono indicare, in via di ipotesi, tre motivi:

1) il principale motivo che si può ipotizzare è la volontà di far coincidere la vicenda di Jeshuu con i tempi allora calcolati della profezia di Daniele, che aveva previsto l’avvento di un messia, cioè di un nuovo re di Israele, settanta settimane di anni, cioè 490 anni, dopo l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme: fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane: il comando di restaurare e ricostruire Gerusalemme fu dato da re Artaserse I di Persia nel 445 a.C. circa; quindi il periodo previsto veniva a concludersi verso il 35 a.C.; naturalmente i conteggi esatti potevano contenere alcune oscillazioni di data;

2) lo spostamento comportava la dissimulazione della vera identità di Jeshuu e questo poteva essere dovuto anche a motivi di prudenza politica: era estremamente utile evitare che i romani identificassero con chiarezza a chi si richiamavano i suoi seguaci, visto che si trattava pur sempre di un sovversivo nemico dell’impero romano e da questo combattuto.

3) ma i suoi seguaci più tardi volevano proprio occultare, in un periodo successivo, la vera natura della loro figura di riferimento; dopo la tragica conclusione della guerra contro Roma, la dispersione della popolazione ebraica a stento sopravvissuta alla guerra, gli obiettivi di chi si richiamava a Jeshuu erano completamente cambiati e una identificazione stretta con la sua figura storica non era più utile né opportuna; Jeshuu cominciava quindi a passare nella leggenda in cui poi la sua figura si dilatò fino a dimensioni sovrannaturali. parte di queste stesse conseguenze è lo spostamento del campo d’azione dei suoi seguaci dalla Palestina, devastata e stravolta dagli avvenimenti, alla emigrazione ebraica dispersa nell’impero romano e di lì all’ambiente circostante: nessuna nozione precisa si poteva avere in tali nuove realtà dei dati esatti che riguardavano un paese oramai lontano e tempi di una o due generazioni precedenti. del resto, la maggior parte dei suoi seguaci vennero uccisi, prima nella repressione del prefetto Felice, nel 52 d.C., poi nella guerra giudaica per i sopravvissuti; ben pochi erano in grado di verificare l’esattezza delle notizie su di lui, ma ben pochi anche interessati fra loro a esaminare criticamente la fondatezza delle notizie che lo riguardavano nella loro dimensione storica.

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naturalmente queste considerazioni non esauriscono affatto il problema, e occorrono riscontri molto più puntuali e precisi sulle diverse altre testimonianze e inoltre vanno considerate altre obiezioni sostanziali.

ne riassumo due:

1) le Lettere di Paolo di Tarso e gli Atti degli Apostoli sono incompatibili con questa ricostruzione, dato che presentano una cronologia coerente con l’idea che Jeshuu sia morto all’inizio degli anni Trenta del i secolo d.C. e non sono integrabili con l’idea di uno Jeshuu vissuto vent’anni dopo; ma le Lettere di Paolo sono un’opera di Marcione, successivamente ampiamente rielaborata in varie direzioni, anche contraddittorie fra loro. ho sostenuto ampiamente questa tesi in uno studio specifico e sono abbastanza sicuro di questa affermazione, dato che oltretutto quella analisi fu sviluppata quando ero ancora lontano dall’identificazione di Jeshuu col profeta egiziano e unicamente sulla scorta di elementi interni all’opera; quanto agli Atti degli Apostoli, attribuiti allo stesso autore del Vangelo secondo Luca, sono stati scritti dopo le Lettere attribuite a Paolo, per correggerne la visione, e sono palesemente prive di ogni valore storico, nonostante i faticosi riferimenti a notizie desunte dall’opera di Giuseppe Flavio (cosa sufficiente a definire una loro datazione molto tarda): l’autore è privo di un quadro storico reale degli avvenimenti che racconta, non conosce neppure bene né il mondo ebraico né le istituzioni romane, e insomma traccia un racconto che sarebbe totalmente leggendario se non fosse abbellito qua e là da qualche incongruo riferimento storico, peraltro regolarmente fuori posto.

2) seconda obiezione sostanziale: ma ci sono stati dei testimoni oculari. Papia di Hierapolis all’inizio del II secolo afferma di avere raccolto le testimonianza di chi li ha conosciuti: possibile che tutti mentissero sul punto?

no, sarebbe effettivamente molto improbabile una congiura generalizzata per spostare di vent’anni la vita del fondatore della loro religione; però il fatto è che da quel poco che sappiamo dell’opera di Papia, nulla ci autorizza a pensare che lui collocasse la vicenda di Jeshuu negli anni Trenta anziché negli anni Cinquanta.

lui dice di avere ascoltato le testimonianze di chi aveva ascoltato personalmente Jeshuu, e scriveva verso il 120-30 d.C.: “Non esiterò ad aggiungere alle [mie] spiegazioni ciò che un giorno appresi bene dai più anziani [presbiteri]. […] Che se in qualche luogo m’imbattevo in qualcuno che avesse convissuto con i più anziani, io cercavo di conoscere i discorsi dei più anziani, e di seguito elenca alcuni nomi di rilievo: Andrea, Pietro, Filippo, Tommaso, Giacomo, aggiungendo quelli di due discepoli da cui provengono due vangeli, Giovanni o Matteo o alcun altro dei discepoli del Signore.

quindi abbiamo due ipotesi possibili:

se Jeshuu era stato attivo fino al 30 d.C. circa e suoi seguaci erano sui trent’anni, nati quindi a inizio secolo, allora, considerando l’età media di allora, dovevano essere morti tra il 60 e l’80 d.C., cioè durante la guerra giudaica o poco dopo; i testimoni che avevano ascoltato i loro racconti dovevano avere avuto almeno vent’anni tra il 60 e l’80 d.C., se non prima, e quindi avere al minimo tra i 60-70 anni e gli 80-90, se non di più, quando Papia aveva raccolto le loro testimonianze verso il 120-130 d.C.; per quanto questa ricostruzione cronologica possa essere vaga e discutibile, fa sembrare piuttosto improbabile questa cronologia;

se invece pensiamo che la vicenda di Jeshu sia avvenuta vent’anni più tardi, allora i testimoni consultati da Papia attorno al 120-130 d.C. erano tra i 40 e i 70 anni, o più, e questa ipotesi è decisamente più convincente.

3) ma l’obiezione successiva è ancora più stringente, e me la sono andata cercare proprio io: se ci sono anche gli ispiratori di due vangeli tra i testimoni diretti della vita di Jeshuu, di cui Papia ha personalmente cercato chi li conosceva, come si spiega allora che entrambi questi vangeli, secondo Giovanni e secondo Matteo, sono concordi nell’attribuire i fatti all’epoca di Pilato e non a quella di Felice?

però l’analisi che ho condotto del Vangelo secondo Giovanni dimostra che questi riferimenti a Pilato sono un’aggiunta successiva; vedi https://corpus15.wordpress.com/2019/12/27/la-seconda-parte-della-decima-testimonianza-lannuncio-del-nuovo-regno-23-568/.

quanto al Vangelo secondo Matteo, quello di cui parla Papia, scritto in aramaico, non era quello che possediamo noi oggi, con lo stesso nome, ma scritto in greco, visto che lui lo definisce una raccolta di detti.

in sostanza, non possiamo dire che uno di questi testimoni citati da Papia, che era considerato l’origine di una tradizione evangelica attribuisse all’epoca di Pilato la vicenda di Jeshuu; anzi per l’Annuncio del Nuovo Regno, il nucleo originario del Vangelo secondo Giovanni, come l’ho ricostruito nel mio studio delle stratificazioni interne, possiamo dire che in origine non nominava Pilato; quindi abbiamo forti indizi che la figura di Pilato come autore della condanna a morte di Jeshuu è frutto di manipolazioni più tarde: lo conferma il fatto che in questa narrazione Pilato appare, piuttosto, favorevole a Gesù, cosa assolutamente inverosimile dal punto di vista storico e funzionale invece ad una polemica anti-ebraica che appartiene certamente ad una fase più tarda dello sviluppo del cristianesimo.

qui si potrebbe anzi arrivare ad una tesi estrema: che la centralità della figura di Pilato nella narrazione della “passione” di Gesù diventa il punto determinante della svolta anti-semita del cristianesimo, al punto tale da essere fissata come dogma di fede nel Credo del concilio di Nicea: a Pilato si ancora l’antisemitismo e questo è un punto saliente dell’identità cristiana da consegnare al Medioevo.

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indubbiamente il mio cortesissimo critico avrebbe delle obiezioni molto pesanti da farmi, e la mia ricostruzione deve combattere faticosamente contro troppi giudizi e convinzioni stratificate: però pensateci ancora un attimo:

1) i Vangeli sono leggende, non fonti storiche;

2) le fonti storiche del tempo conoscono solo un leader messianico che si accampa sul Monte degli Ulivi con i suoi seguaci e non conoscono alcun maestro di pura morale crocifisso;

3) Giuseppe Flavio dice che costui era un profeta egiziano; Celso dice che il Gesù dei cristiani era vissuto e si era formato in Egitto;

4) l’identificazione tra le due figure è praticamente certa: non è possibile che due personaggi diversi a distanza di vent’anni si siano accampati allo stesso modo sul Monte degli Ulivi per suscitare una ribellione contro i romani e i collaborazionisti ebrei;

5) obiezioni a questa identificazione reggono male ad una analisi accurata;

6) quindi Jeshuu era effettivamente il leader profetico di un movimento politico-religioso che aspirava al completo rinnovamento della società, della vita politica e ad una riforma della religione ebraica, come parti di uno stesso programma.

ma poi si preferì farlo passare per qualcos’altro.

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lo scenario diverso, che si vorrebbe storico, è quello del Gesù raccontato dai vangeli, maestro unicamente morale, che tuttavia viene celebrato dalle folle come figlio di Davide e dunque nuovo re, condannato a morte per pura viltà, perché già proclamato innocente perché il suo regno non è di questa terra, e crocifisso sotto una scritta che lo accusa di essersi proclamato Rex Iudaeorum.

questa narrazione è priva di ogni verosimiglianza interna e contrasta con tutto quello che sappiamo della storia e del clima interno della Palestina di quegli anni.

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verrò accusato di avere costruito un’analisi che ritorna al punto di partenza, ma è colpa mia se mi sembra che i dati storici confermino l’ipotesi iniziale?

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12 commenti

  1. se le fonti storiche esistono oppure no non è un’opinione, almeno in linea generale e fatte salve le interpretazioni: è un fatto.

    però non so se mi hai letto bene, a proposito: perché io ho sostenuto nel post proprio il contrario di quello che mi attribuisci, e cioè che l’unica fonte storica antica che abbiamo sulla storia della Palestina parla di Jeshuu, ma non nel passo fatto aggiungere da Eusebio di Cesarea (assieme a quello su Giovanni Battista, ovviamente), bensì quando racconta del profeta egiziano.
    certo, il motivo per cui non si parla di cristianesimo negli storici romani fino all’inizio del secondo secolo è che appunto fino a quel momento un cristianesimo identificabile non esisteva ancora, come dici tu.
    la cosa non si concilia bene con i racconti fantastici degli Atti degli Apostoli, che devono appunto colmare questo stranissimo vuoto – dal punto di vista cristiano – che è l’assenza del cristianesimo nella storia fino alla guerra giudaica.
    ma anche subito dopo la fine di questa, i cristiani si confondevano con una delle tante sette ebraiche delle comunità disperse nel Mediterraneo. e giustamente dici che gli storici romani cominciano ad occuparsene, quando il cristianesimo comincia a sovvertire il loro mondo.
    del resto è incerto che una Palestina ebraica esistesse ancora dopo la fine della prima guerra giudaica: Gerusalemme, almeno, non esisteva più, era stata rasa al suolo completamente. solo molto più tardi l’imperatore Adriano decise di ricostruirla nel 130 d.C., come colonia di soldati romani, chiamata Elia Capitolina, con divieto assoluto agli ebrei di entrarci, pena la morte, e contemporaneo divieto della circoncisione in tutto l’impero – era appena finita la terza guerra giudaica, con la disfatta davvero finale di ogni aspirazione degli ebrei a tornare in Palestina per 1.800 anni.

    che la vita pubblica dello Jeshuu storico sia stata corta e durata tre anni (o uno solo?) come fai a dirlo? sempre in base alle leggende evangeliche?
    le fonti storiche ci fanno dubitare che non sia così: come Jeshuu va sicuramente identificato col profeta egiziano del 53 d.C., così l’unico riferimento storico alla figura del Giovanni Battista cristiano appare il predicatore Teuda sul Giordano, che venne decapitato dai romani (e non da Erode!) nel 44 d.C.
    se questa identificazione regge, tra il battesimo di Jeshuu ad opera di Teuda e il fallimento della sua impresa passò circa un decennio.
    ora io non dico che questo sia assolutamente certo, ma è meno improbabile dei racconti contraddittori dei vangeli tardi.

    poi non capisco bene da che cosa dovrei schiodarmi.
    vedi, se il mio amico mi dice che lui vuole credere alla resurrezione come fatto reale perché lo aiuta a superare la paura di morire e più ancora quella di vivere, io mi ritiro in punta di piedi, pieno di rispetto. però, se devo cercare una verità storica, come mi interessa fare, questo suo bisogno non posso considerarlo.
    ma devo dire che, a sentire lui ed anche te, capisco finalmente perché i cristiani osservanti non provano nessun interesse a capire chi sia stato davvero Jeshuu, che cosa abbia detto o che cosa abbiamo fatto: gli stiamo rompendo il giocattolino della fede di cui hanno bisogno e hanno paura di quello che potrebbero scoprire.
    basta dirlo, e ciascuno per conto suo: chi a occuparsi di leggende mistiche e chi di storia vera, non occorre mica pestarsi i piedi… 🙂

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    • Be’, ma è così: se io credo che Gesù è quello dei Vangeli non riuscirai mai a dimostrare che non è esistito, o era un agitatore egiziano o un sovversivo palestinese (anche se sovversivo per l’Impero Romano lo fu): semplicemente perché, nonostante gli sforzi, gli studi e le ricerche, non potrai mai dimostrare nemmeno tu il contrario, sono tue congetture ben elaborate ma sempre congetture.
      Sono d’accordo che sono pochi i cristiani disposti a seguirti su questi ragionamenti, perché dovrebbero farlo? Non è questione di giocattolino rassicurante, è questione di non porsi proprio il problema. C’è il Vangelo con i suoi insegnamenti, dunque c’è stato Gesù…
      Un conto è negare le religioni come superstizione, come oppio dei popoli, come risposta rassicurante alla caducità della vita, argomenti sui quali posso non essere d’accordo (e non è detto che lo sia) ma ti posso seguire, ma sul piano storico temo si possa dimostrare poco…
      A suo favore poi ci sono due millenni di cristianesimo, un po’ tanti per qualcuno che non è esistito; tra l’altro anche i musulmani non negano Gesù, lo considerano un profeta ma non dicono che non sia esistito…

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      • caro Giò, faccio fatica a seguirti.
        io sto forse dicendo che Jeshuu non è esisitito?
        è da alcuni secoli che si sta dibattendo il problema; diversi laicisti sostengono che la storia di Gesù è completamente inventata (in Italia da ultimo fece scalpore un personaggio poco serio come Cascioli); io no: io sono un pensatore laico che dice che invece è esistito un uomo che si chiamava Jeshuu nella sua lingua, che non è un semplice mito né una invenzione; solo che in seguito alla sua storia vera sono state aggiunte tante leggende da farne un personaggio semi-leggendario.
        in fondo i credenti dovrebbero farmi un monumento, dico io… 🙂 – se non ci fossero quelli come me, non resterebbe che pensare che la sua vita sia stata scritta da un gruppo di persone che si erano fumati il cervello – uno studioso dei Rotoli del Mar Morto negli anni Cinquanta scrisse anche questo: che i vangeli erano scritti da gente che si faceva coi funghi allucinogeni, per dire).

        sul piano storico le certezze assolute non esistono MAI, non solo per Jeshuu, ma perfino, per dire, per Hitler (è morto davvero? era un omosessuale vissuto facendo marchette da giovane?), per Roosevelt (sapeva in anticipo dell’attacco dei giapponesi a Pearl Harboor e li lasciò fare per portare gli americani un una guerra che non volevano?), Stalin (fu avvelenato?), per Kruscev (è vero che ad una seduta del Politburo tirò fuori un mitra dal cappotto e ammazzò sul posto Berija, l’erede designato di Stalin); e Kennedy? fu ucciso dalla CIA in un complotto organizzato dal vice-presidente, perché aveva deciso di ritirarsi dal Vietnam?
        figurati se parliamo di fatti di duemila anni fa. ma chi si occupa di storia sa bene che le regole del gioco sono queste: si lavora SEMPRE con congetture, e sono più o meno fondate e convincenti.
        ma certamente la ripetizione anche millenaria di storie inconsistenti non basta a smentire congetture anche solo un poco meno improbabili.
        qualcuno ha detto che la scienza non è democratica, e la frase non mi è mai piaciuta.
        però, neppure la storia è democratica, se intendiamo dire che la verità storica non si decide a maggioranza.
        c’è, come dire, sempre la possibilità di appellarsi da qualche parte ad una specie di Corte Suprema della ragionevolezza delle ipotesi.

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        • Il tuo lavoro è ammirevole per tenacia e costanza, per erudizione anche, ma perché un cristiano dovrebbe farsi convincere che Gesù è quello che dici tu invece di quello descritto nei Vangeli mi sfugge…

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          • forse perché è probabilmente vero? e invece quello dei Vangeli è sicuramente falso.
            e perché una fede fondata sulla mancanza di verità non è vera fede. ed è urgente riconciliare il cristianesimo con la verità.

            37 Rispose Gesù: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». Vangelo secondo Giovanni, 18

            chi recita la parte di Pilato qui?

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            • Per i cristiani Gesù è la via la verità e la vita…
              Il cristianesimo è un fatto storico che esiste da 2000 anni, almeno questo non si può cambiare; sul riconciliare il cristianesimo che è Gesù nei Vangeli sono anche d’accordo, ci sono tanti cristiani, tante sette anche, che fanno pensare spesso se è dello stesso Cristo che si sta parlando; ma dubito che con un gioco di prestigio si riesca a togliere di mezzo Gesù.
              Si fa prima a togliere di mezzo i cristiani, ma sono (ancora) tantini.
              Poi chi sa fra duemila anni a cosa crederanno i nostri discendenti, può darsi a niente, può darsi ad altri dei, o magari ancora a Gesù… Se ci fosse una macchina del tempo potresti andare a verificare, a dire: “Ecco, avevo ragione!” oppure “Cacchio, avevano ragione loro!”.

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              • ma io non ho nessuna voglia di togliere di mezzo i cristiani, né il cristianesimo, ci mancherebbe.

                non che abbia aspirazioni particolari, ma la mia ricostruzione delle origini del cristianesimo e del volto storico di Jeshuu (per quel tanto che si può fare, naturalmente) potrebbe essere la premessa di una reinterpretazione del messaggio cristiano, non per eliminarlo, ripeto, ma per viverlo in modo più consapevole.
                non ci sarebbe nulla di strano, il cristianesimo ha come propria caratteristica di evolversi nel tempo, di contraddirsi (senza dirlo, però); ed anche di dare vita a interpretazioni radicalmente nuove, come la riforma protestante, ad esempio; potrebbe anche esserci una trasformazione che metta al primo posto i valori autentici predicati dal quel grandioso folle che fu Jeshuu? e recuperi la storia contraddittoria di come furono interpretati attraverso i secoli, non esclusa Inquisizione e roghi di filosofi e streghe, con cui ogni cristianesimo attuale deve ancora fare i suoi conti.
                tu mi suggerisci addirittura che questa potrebbe essere la vera base per un superamento delle storiche fratture fra cattolicesimo, ortodossia e i vari gruppi riformati? non ci avevo pensato, ma sarebbe notevole.
                certo, per una trasformazione simile, occorrerebbe credere davvero nella forza dei valori morali del cristianesimo.

                tranquillo, non credo affatto che la macchina del tempo mi darà ragione, comunque… ho paura che fra duemila anni non troverebbe più nessuno, o al massimo qualche tribù imbarbarita avvinghiata ad una dura sopravvivenza attorno ai poli.

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  2. Tu dici spesso che non ci sono fonti storiche. Ma perché gli storici avrebbero dovuto riportare una vicenda fino ad un certo punto interna agli ebrei? Gesù sovvertiva l’ordine ebreo, non quello romano. Quello l’avrebbe sovvertito con il tempo, con la diffusione del cristianesimo, con i martiri, ma in quel momento era un gruppo tutto sommato ristretto. E di falsi profeti ce n’erano in giro diversi, così come di agitatori politici.
    Poi ricordiamo che la vita pubblica di Gesù è stata corta, tre anni più o meno, nemmeno il tempo di essere “notato” da questi storici, che magari puntavano su figure più guerresche, scegliendo anche loro Barabba… non può essere che la nonviolenza non facesse “audience”?
    Era totalmente fuori dalla loro ottica, si racconta la forza, il potere, non la mitezza.
    Comunque spero che il tuo amico ti risponda, anche se tanto tu non ti schiodi, ma almeno assistiamo a critiche motivate, e bene, mi pare…

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  3. Ben fatto, una bella sintesi del tuo pensiero, che in larga misura già conoscevo, ma che qui viene espressa con una spiegazione organica e lineare.
    A parte Luca e parzialmente Giovanni, non ti pronunci sulla datazione e sugli autori dei vangeli di Marco e Matteo o addirittura di quello perduto su cui anche Marco sarebbe basato.
    La datazione ed identificazione degli effettivi autori di questi vangeli potrebbe essere utile per comprendere bene il “taglio religioso” (porgere l’altra guancia, ma ancor più riconoscere il “dare a Cesare”, abbandonando così ogni idea rivoluzionaria) e non più sovversivo che essi hanno assunto.
    Quali sono le forze soggiacenti a tale svolta, quasi di 180 gradi, dei vangeli rispetto ai fatti che in qualche modo ne sono stati all’origine? Chi aveva interesse a fare e diffondere questa svolta? Chi aveva interesse a negare le tradizioni ebraiche (circoncisone, sabato, sacrifici al tempio) in favore di un nuovo universalismo?

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    • caro Roberto, mi fa molto piacere il tuo giudizio.
      devo dire che sostanzialmente ho concepito questo post come una specie di sintesi finale, con l’idea di smettere sostanzialmente di occuparmi del problema; del resto non credo di riuscire ad andare oltre. questo non significa che non ci sarà ancora qualche post residuo sull’argomento, ma giusto per chiudere tutte le pendenze…

      però tu mi hai messo davanti ESATTAMENTE – cosa sorprendente – alle questioni che so bene che restano aperte: sono questioni che ho bene in mente che dovrei affrontare, da alcuni anni, non esagero; e continuo a rinviarle; ha anche provato qualche volta ad entrarci, ma è un ginepraio.
      cerco di spiegare perché.

      il punto di partenza è l’osservazione di Celso, Discorso sulla verità, che i cristiani hanno continuato a modificare nel tempo i loro testi di riferimento: l’analisi del Vangelo secondo Giovanni, che ho quasi finito (e che avrebbe bisogno di una revisione) ha mostrato la presenza di 5 fasi almeno di rielaborazione, ma ovviamente ogni ricostruzione è fortemente congetturale. mi ero anche occupato di un punto specifico, la dottrina matrimoniale, qualche anno fa, riscoprendo storie parallele di rifacimenti nel tempo nei diversi vangeli, con interscambio di materiali fra loro.
      adesso dovrei occuparmi, oltre che di Giovanni già esaminato, della Fonte Q, di Tommaso, che certamente precede i canonici, a mio giudizio, di Filippo (che ho ripulito grossolanamente delle sovrapposizioni gnostiche tarde), di Marco – che possediamo in una seconda versione, ma di cui ben poco si può dire di quella più antica.
      ma le difficoltà si prospettano insuperabili: Q, Tommaso e Filippo sono raccolte di detti; per Tommaso già si vedono differenze tra la versione copta quasi integrale del IV secolo e i pochi frammenti di papiri del II secolo; ma mi sono perfino astenuto dal guardare in che cosa consistono: su un vangelo narrativo si possono fare illazioni più o meno ragionevoli alla luce delle contraddizioni del racconto finale, ma su una raccolta di detti? e poi che rapporto esiste tra il Giovanni originario e il Tommaso?
      lo stesso dicasi per i due vangeli più tardi, Matteo e Luca: Luca va ancorato a Marcione, che lo considerava l’unico ispirato (assieme ad un nucleo di Lettere di Paolo), ma sappiamo che usava una versione più ridotta: gli ortodossi dicevano che lo aveva “tagliato”. l’ipotesi più probabile, anzi quasi certa, è che noi invece ne abbiamo una versione successiva manipolata e ampliata dagli ortodossi, per correggerla. in generale Luca sembra successivo a Matteo, ma in qualche caso isolato sembra il contrario; ma Matteo è a sua volta rielaborazione del Matteo in aramaico, raccolta di detti, di cui parla Papia.
      quindi Ur-Matteo (= forse Q?), Ur-Luca, poi Matteo come antitesi a Luca e infine Luca rifatto? potrebbe essere: ma, se si deve scendere in tentativi di ricostruzione di dettaglio, temo che si tratti di un lavoro enorme e senza costrutto.

      scusa se mi dilungo: rispondo velocemente sul resto.
      il dare a Cesare è pesantemente equivocato alla luce del pensiero liberale moderno: la frase è invece il manifesto di una radicale opposizione politica, che si traduce in un separatismo completo in vista di una società alternativa. leggi bene Marco 12: 16 Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17 Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». la raffigurazione della figura umana è assolutamente vietata dalla legge mosaica; Jeshuu qui sta dicendo che quelle monete blasfeme non bisogna neppure toccarle e invece rifarsi a Dio.

      le tue ultime domande sono cruciali e colgo anche un possibile sottinteso; il momento di svolta drammatico, secondo me, è la terza guerra giudaica – come ricordavo anche sopra nel commento a Giomag59. i seguaci di Jeshuu assumono un atteggiamento di rifiuto dell’ultima rivolta, capiscono che è un suicidio e si separano definitivamente dal mondo ebraico ribelle; fino a quel momento continuavano a porsi come una specie di califfato ebraico, se mi passi la sintesi audace, e a lavorare per un potere politico alternativo all’impero; poi effettivamente non più, cominciano a lavorare per una conquista dell’impero dall’interno; gli imperatori in quella fase sono più tolleranti, perché vedono bene la divisione del fronte. ma con la peste antonina le cose cambiano completamente e il cristianesimo viene avvertito come nemico. ma una analisi più dettagliata che queste ipotesi generiche e di massima non posso farla.
      ma a suo tempo, in un post, ho sottolineato la straordinaria coincidenza di questi fatti con la divinizzazione di Antinoo, l’amante dell’imperatore Adriano morto giovanissimo, e ho fatto l’ipotesi che la divinizzazione di Gesù sia cominciata allora, in contrapposizione a quella pagana, ma pur sempre in dipendenza da questo modo di pensare.
      un altro snodo è la figura, più antica però di mezzo secolo, del filosofo o meglio santone pagano Apollonio di Tiana, la cui vita presenta analogie impressionanti con quella di Jeshuu (miracoli ed ascensione al cielo, per dirne una). insomma, la nascita del cristianesimo non si spiega in base al cristianesimo stesso, ma in base al clima culturale nel quale il cristianesimo è nato.

      so di avere lasciato molte questioni aperte e di non avere risposto del tutto, ma credo sia più onesto evidenziare i limiti di quel che mi sento di dire.

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