risposta a Gianfranco Nuzzo, Dante e dintorni, Novissima epistula – 140 bis

rispondo alle osservazioni di Gianfranco pubblicate qui: https://corpus2020.wordpress.com/2021/04/03/gianfranco-nuzzo-dante-e-dintorni-novissima-epistula-140/

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caro Gianfranco, non vorrei deluderti, ma le tue osservazioni non suscitano in me quel dissenso acuto che in qualche modo ti aspetti; evidentemente, al di sotto di qualche vistosa distinzione e perfino separazione e contrapposizione delle idee, giace, come un magma etneo, un qualche fuoco simile – il che del resto ci aiuta a spiegare le consonanze della nostra risorta amicizia.

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la domanda più interessante che poni è quella che nasce dall’intreccio delle prime due tue questioni, ed è una lezione di metodo importante su come va impostata una discussione:

che cos’è un reazionario? che cos’è un conservatore? e che differenza esiste fra loro?

io direi che si tratta prima di tutto di definizioni politiche, che poi hanno un uso estensivo; e dunque, vistosamente, come premessa, si può dire che la differenza fra un conservatore e un reazionario è che politicamente il primo agisce per conservare il potere che ha (oppure che crede di avere ancora), mentre il secondo è consapevole di averlo perduto (oppure pensa che questo gli sia successo) e cerca di riconquistarlo; per il resto i loro sistemi di valori e il loro programma politico potrebbero essere anche assolutamente identici.

e quando parlo di potere, mi riferisco non soltanto al potere politico strettamente inteso, ma anche al potere sociale o all’egemonia culturale, come la chiamava Gramsci.

come giustamente dici anche tu, il reazionario si identifica in relazione alla capacità di “reagire”; è dunque una figura culturalmente subalterna, che esiste soltanto in contrapposizione a qualche processo rivoluzionario; il reazionario non esiste di per sé, esiste soltanto in quanto esiste qualcosa di rivoluzionario a cui si oppone.

invece il conservatore ha dalla sua parte tutta la potenza di un assetto esistente, politico o sociale.

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come vedi, sto ribaltando la tua scala di valori: per me la figura fondamentale è quello del conservatore, che crede in una tradizione, politica o culturale, e lotta per conservarla; se poi gli avviene di perdere questa sua battaglia, allora può diventare anche un reazionario, cioè qualcuno che condivide col rivoluzionario la disponibilità ad usare anche metodi violenti per ripristinare una condizione che sente perduta.

insomma, ecco che introduco un secondo elemento di distinzione tra reazionario e conservatore, ed è la disponibilità all’uso della violenza per ripristinare una condizione perduta, che il reazionario ha, ma il conservatore per sua natura no, anche se ci sono dei conservatori così accesi da essere disponibili a forme di conservazione anche violenta se si vedono nella prospettiva di perdere il potere, e dunque sono in una specie di zona di confine che comprende i conservatori pronti a diventare reazionari.

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non credo che condividerai molto queste distinzioni, e tuttavia qualche esempio storico potrà aiutarci a verificare se queste distinzioni concettuali funzionano.

se le applichiamo al contesto storico nel quale questi concetti sono nati, alla fine del Settecento, non ci creano grandi difficoltà: nella rivoluzione francese era ben chiaro chi erano i rivoluzionari e dove stavano i reazionari; i primi distrussero l’ancien regime e il potere di nobiltà e clero, i secondi volevano ripristinarlo.

i primi vinsero per un quarto di secolo, ma alla fine persero la guerra e la restaurazione ci fu.

qui si introduce storicamente una ulteriore questione, apparentemente marginale, che accenno appena, perché dovremo riprenderla: ci fu restaurazione, una specie di restauro della situazione precedente, come dice il nome, ma non una reazione vera, cioè un suo ripristino integrale; cosa molto importante, ma non anticipiamo troppo.

la distinzione tra rivoluzione e reazione fu molto chiara per tutto l’Ottocento e anche all’inizio del Novecento fino alla prima guerra mondiale: rivoluzioni furono il Quarantotto, la Comune di Parigi, la rivoluzione russa, per citare soltanto gli episodi più importanti; reazione furono la repressione violenta e sanguinosa del Quarantotto, della Comune di Parigi, la guerra civile contro la rivoluzione russa.

ma, come era avvenuto per la rivoluzione americana o per quella francese, anche la rivoluzione russa vinse e per sconfiggerla non bastò un venticinquennio, come era stato tra 1789 e 1814, ce ne vollero quasi tre, tra il 1917 e il 1991.

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ma questo lungo periodo in cui una rivoluzione vittoriosa rimase al potere ha creato qualche sconcertante corto circuito nei concetti che sembravano così chiaramente definiti nel secolo precedente.

la cosa è ancora più chiara oggi che abbiamo tuttora al potere regimi nati da processi rivoluzionari: la Repubblica Popolare Cinese, in vita da 72 anni, dal 1949; la Repubblica Popolare Democratica di Corea, addirittura da qualche anno prima, dal 1945-48; la Repubblica Socialista del Vietnam, dal 1954; la Repubblica Socialista di Cuba, nata dalla rivoluzione del 1959; la Repubblica Islamica dell’Iran, nata con la rivoluzione del 1979; la Repubblica Bolivariana del Venezuela, sorta in modo più pacifico, dalla riforma costituzionale del 1999 e dal referendum che la approvò; dovrei aggiungere lo stato di Israele, nato da un analogo processo rivoluzionario e da una guerra nel 1948.

in tutti questi stati, dunque, dove le forme attuali del potere sono nate da una rivoluzione, non è chiaro se quelli che cercano di mantenerle sono ancora rivoluzionari oppure se sono conservatori; però è chiaro che chi cerca di abbatterle è reazionario, perché intende ripristinare forme di potere precedenti.

l’ultimo esempio che ho portato, peraltro, Israele, ci confonde molto le idee, perché dovremmo considerare rivoluzionaria l’originaria minoranza di immigrati ebrei che ha prima preso il potere in larga parte della Palestina e poi l’ha occupata tutta, e reazionarie le organizzazioni politiche della originaria maggioranza araba palestinese che lottano per recuperare le loro terre.

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una confusione simile si riflette anche nella valutazione di alcuni movimenti politici del secolo scorso: il fascismo, ad esempio, fu rivoluzionario o reazionario?

tu lo definisci una terza via rivoluzionaria fra capitalismo e collettivismo, e la definizione merita di essere approfondita.

se sto alle definizioni che ho provato a dare finora, non dovrebbero esserci dubbi che il fascismo fu un movimento rivoluzionario, come del resto esso stesso si definì: rivoluzione fascista; del resto fu effettivamente una distruzione in forma violenta delle precedenti strutture politiche dello stato democratico parlamentare.

molto meno chiara è la prospettiva di terza via, come tu la definisci, perché il fascismo non mise in discussione in nessun modo la struttura economica capitalistica dell’Italia, nonostante quello che stava scritto nei programmi ampiamente civetta dei Fasci di Combattimento, e, se introdusse forme di controllo statale parziale dell’economia, questo avvenne soltanto negli anni Trenta, per la spinta oggettiva della grande crisi, con la creazione dell’IRI, che fu la base concreta di una economia mista durata in Italia come egemone fino alle privatizzazioni degli anni Novanta.

viceversa non ebbe alcun carattere rivoluzionario il nazismo, andato al potere per via puramente parlamentare e alieno da ogni forma di socializzazione dell’economia: non vorrei sorprendere nessuno, ma il nazismo fu un movimento essenzialmente conservatore.

viceversa fu atrocemente reazionario il franchismo, andato al potere sull’onda di una guerra civile costata un milione di morti e combattuta per abbattere la repubblica democratica.

potrebbe restare un mistero che cosa produsse l’alleanza stretta, fra il 1935 e il 1939, fra un movimento almeno politicamente rivoluzionario come il fascismo, uno pesantemente e cupamente conservatore come il nazismo ed uno sanguinosamente reazionario come il franchismo.

ma che dire poi dello stalinismo, nato dalla rivoluzione russa, che a sua volta si alleò a questo schieramento nel 1939, essendo Stalin divenuto un conservatore del nuovo potere che era stato rivoluzionario e non aveva smesso del tutto di esserlo? e ne sarebbe anche rimasto parte senza l’improvvida decisione di Hitler di attaccarlo.

oppure che dire del Giappone conservatore che prese il posto del franchismo nell’Asse reazionario della seconda guerra mondiale?

si potrebbe dire che il fascismo rinnegò se stesso e il suo passato rivoluzionario entrando stupidamente in questa alleanza?

eppure no, perché occorre ancora distinguere fra carattere rivoluzionario politico da un lato e sociale e culturale dall’altro, e il fascismo fu conservazione sociale e culturale.

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mi concentro allora adesso su questi aspetti; le forme di rivoluzione politica potrebbero essere epifenomeni in fondo marginali, e forse occorre guardare a questi valori profondi per distinguere rivoluzionari, che cercano di cambiarli, conservatori, che cercano di mantenerli, e reazionari che cercano di ripristinare quelli sopraffatti dall’evoluzione sociale?

ma allora chi oggi combatte culturalmente contro il femminismo fanatico del me-too, la cancel culture anglo-sassone, l’americanizzazione culturale, la globalizzazione, la subordinazione della cultura e della scuola al mercato, l’Europa senz’anima, è un conservatore o un reazionario?

tornando alla mia distinzione originaria, di nuovo la distinzione dovrebbe prendere in esame quale di questi fenomeni si è di fatto affermato e quale no.

è un conservatore chi si oppone al femminismo fanatico, alla cancel culture, alla subordinazione della scuola al mercato in Italia, perché sono processi ben lungi dall’essersi affermati; è un reazionario chi si oppone all’americanizzazione culturale, alla globalizzazione, all’Unione Europea, che sono fenomeni invece vincenti, ma lo fa per tornare alle situazioni precedenti.

ma chi si oppone a questi stessi fenomeni in nome di nuove prospettive future? in poche parole, chi è rivoluzionario?

ecco lo strano confuso terreno dove il rivoluzionario e il reazionario pascolano insieme, e – per fare il più stupido degli esempi – un semi-sconosciuto Fassina chi?, come lo chiamà Renzi, può formare un movimento politico fantasma dal nome Patria e Costituzione (e mi piacerebbe sapere quale patria e di quale costituzione parla).

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insomma, eccomi alla conclusione su questo punto: le tre categorie di rivoluzionario, conservatore e reazionario, storicamente si intersecano fra loro e acquistano valori diversi a seconda che le si consideri categorie politiche, sociali o culturali.

in sostanza dobbiamo adoperano tre categorie su tre diversi livelli almeno e questo condanna ad una certa predisposizione cronica alla confusione dei piani.

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ma, se proviamo a limitarci al piano culturale, ecco che dei reazionari della cultura come Pound o Pasolini (oppure Dante, per citare colui che ha dato origine a questa discussione) possono trovare dei sorprendenti punti di aggancio con la cultura rivoluzionaria.

e si potrebbe fare anche un altro esempio, opposto ma simile: quello di Leopardi, chiaramente un rivoluzionario della nostra cultura, ma proprio sulla base del suo suo strettissimo rapporto con la tradizione.

(piccoli incisi marginali: non amo Neruda, non amo Ungaretti, non amo Heidegger; Pasolini fu emarginato per avere rivendicato la sua omosessualità, ma fu espulso per avere corrotto dei minorenni; non se la caverebbe troppo bene neppure oggi, anzi forse subirebbe di peggio in nome del politically correct).

ma insomma, è vero che è la grande cultura reazionaria a porre le basi di ogni futura cultura rivoluzionaria?

io direi di no: Platone, Dante e Pound (strano e sconosciuto vicino quasi di casa dei miei anni infantili a Merano) forniscono spunti importanti al pensiero del futuro, ma possono diventare parte di un pensiero rivoluzionario soltanto se ridotti appunto a questo e rifiutati nel loro assetto culturale complessivo.

Dante ha creato l’indimenticabile modello dell’uomo dei secoli futuri col suo Ulisse, ma sbaglia chi si fa travolgere dalla potente suggestione artistica e dimentica che lo fa per condannarlo in uno dei gironi più profondi dell’Inferno: per Dante Ulisse è un modello umano negativo e lo descrive per stigmatizzarlo.

poi lo ha fatto così bene che noi stravolgiamo il senso del suo messaggio e ne facciamo il simbolo stesso entusiasmante di quell’uomo moderno, che Dante invece guardava con orrore.

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Dante è un reazionario politicamente: si batte per ripristinare il potere imperiale, definitivamente tramontato, oramai, donchisciotte di una causa persa.

è un reazionario socialmente: vorrebbe rivedere al potere la nobiltà feudale e vive alle corti dei primi signori già quasi rinascimentali senza neppure capire che non si tratta di antichi nobili che resistono, ma di nuovi parvenu di forme di potere fino ad allora sconosciute, che avanzano.

e culturalmente? culturalmente è un coacervo di contraddizioni: è un rivoluzionario nell’uso del linguaggio, ma ricorre al volgare per cercare di latinizzarlo; Virgilio è la sua guida non per nulla; solo che Petrarca e Boccaccio ci riusciranno molto meglio di lui; ma quanto alla visione della vita è reazione pura, attraversata da lampi di contraddizione i ncoerente.

ma non riprendo questi temi.

la sua separazione fra potere temporale e potere spirituale non ha nulla a che fare con le teorie del liberalismo di compromesso confuso (la Libera Chiesa in libero stato), ovviamente.

e poche cose rimangono così aliene dal suo pensiero come l’idea di un libero esame condotto in coscienza, quella di Lutero che fonda l’Europa moderna, o di una lettura diretta dei testi sacri: vi sono sempre delle guide a tracciare la strada, siano esse Virgilio, Stazio, Francesco o Domenico.

in Dante l’uomo è per sua natura profonda sempre sottomesso a qualche autorità; e su questa base non si apre a nessun mondo futuro.

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e ho toccato con questo anche la tua terza questione: Dante anti-conformista, sì, ma come Pound nel secolo scorso; e solo la distanza e i secoli intercorsi ci impediscono di vedere che richiamarsi a lui è come richiamarsi a Pound.

e il fatto che esista oggi una riveritissima Società Dante Alighieri dovrebbe provocare qualche moto di indignazione simile a quello che suscita oggi Casa Pound, se soltanto sapessimo storicizzarlo davvero.

(ma è destino comune dei grandi: non successe perfino di peggio, o di meglio, all’oscuro profeta di una corrente essenica di minoranza, autore di un tentativo di rivolta profetica per la restaurazione in Israele di una monarchia teocratica, che venne stroncato sul nascere, mentre lui è finito addirittura divinizzato sugli altari dell’Europa intera?)

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ed eccomi al tuo ultimo e più intrigante punto: quello sull’identità.

ma mi sento esausto dalla troppo lunga trattazione e penso che sia altrettanto provato ogni lettore coraggioso che vi si sia avventurato: mi limito quindi quasi soltanto a lanciare una specie di slogan.

credere nella propria ‘identità e sentire di averla? io mi sento veneto, per l’origine familiare, ma anche sudtirolese per la formazione infantile, un poco tedesco per gli anni trascorsi in Germania, ma poi cittadino del mondo per i viaggi nel pianeta, compiuti fino a che ho potuto.

ma dall’esempio potrai capire che io non credo che nessuno di noi abbia una sola identità culturale.

non solo, ma anche l’identità culturale è una fra le tante: abbiamo anche altre forme di identità: comunicativa (io non sono per gli altri che una persona, nel senso latino del termine, cioè una maschera, e non sono lo stesso che sono per me stesso), espressiva o artistica, per chi si pone anche in questa dimensione, affettiva e anche sessuale, politica e sociale, professionale o altro.

l’identitario dunque non è colui che crede alle identità: è chi ne sceglie una sola e crede solo a quella e nega tutte le altre.

l’identitario è un nemico delle identità, o meglio un falso amico che le nega nel loro complesso intreccio, sacrificandole tutte ad una sola, che sopravvaluta e contrappone alle altre, che le vengono sacrificate tutte.

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aggiungo e chiudo che, se l’identitario è anche un conservatore, si vota anche ad una causa persa.

perché la lege dell’universo, della natura su questo pianeta e della società umana è la trasformazione e chi si oppone alla trasformazione in nome di una identità sola, andrà solamente a sbattere e a farsi male.

nelle identità crede davvero solo chi le vive nella consapevole trasformazione.

anche il reazionario scoprirà di avere perso anche quando crederà di avere vinto, perché una totale reazione e ricostruzione del passato non sarà mai possibile, come accennato sopra a proposito della Restaurazione; non si inverte la freccia del tempo, lo nega una delle leggi fondamentali dell’energia.

ma al reazionario, che è comunque aperto a questa dimensione di rottura nella vita collettiva, potrà succedere di incrociare il futuro in qualche modo e in qualche suo frammento identitario; al conservatore questo non è concesso, è condannato alla sterilità.

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per fortuna tu ti sei definito un reazionario, non un conservatore, e come vedi questo contribuisce a tenere aperto il dialogo tra noi.

questo potrebbe avere anche qualche riflesso su quel nostro dialogo sul cristianesimo che hai preferito concludere: Jeshuu fu un grande reazionario dei suoi tempi, e per questo anche un grande rivoluzionario: in lui la prima dimensione politica, che è quella storica reale, è sopraffatta dalla seconda, sociale e culturale.

per questo non possiamo non dirci cristiani (almeno la nostra generazione), sottoscrivo: ma nella formazione, soltanto.

siamo consapevoli che una delle nostre identità originarie è cristiana, ma che questa identità è il punto di partenza per crearcene una nuova.

purtroppo questa identità cristiana della civiltà occidentale è al tramonto.

la frase di Croce era da leggere forse meglio storicamente come Perché non possiamo non dirci [demo]cristiani), ma non potrebbe essere più sottoscritta dalle nuovissime generazioni che crescono oramai in un contesto culturale post-cristiano, fatto piuttosto di Harry Potter e di rivisitazioni della mitologia del mondo greco-romano, almeno a giudicare dalle letture dei miei nipoti.

nella centralità che noi due diamo a questa cultura cristiana, sia pure da punti di vista molto diversi e forse addirittura opposti, siamo uomini del passato entrambi, caro Gianfranco, tu ed io.

speriamo almeno di essere dei reazionari e non dei semplici opachi conservatori.

3 commenti

  1. da Gianfranco Nuzzo per mail:

    Caro Mauro,
    rispondo (per ora solo con qualche flash) alla
    […] risposta più lunga e circostanziata contenuta nel tuo post (che ho letto con un po’ di ritardo). […]
    Permettimi di farti osservare che il tuo ragionamento sul trinomio conservatore/reazionario/rivoluzionario è sì intellettualmente molto raffinato, ma anche un po’ contorto, come dimostrano le conseguenze paradossali cui approdi.

    A questo proposito mi sento di dissentire totalmente sul punto riguardante la cosiddetta ‘rivoluzione’ di Khomeini. Infatti non capisco come si possa definire “rivoluzionario” un movimento che ha abbattuto il regime dello Shah, il quale era certamente autocratico, ma aveva modernizzato l’Iran (alfabetizzazione, diritti concessi alle donne, limitazione dei poteri del clero sciita, riforma agraria).
    Forse fu meno autocratico il regime di Ataturk, che occidentalizzò la Turchia, oggi ripiombata nell’integralismo islamico a causa di un Erdogan eletto democraticamente da turbe di fanatici come a suo tempo Hitler?

    Quanto alla distinzione tra Fascismo e Nazismo, la condivido in toto, e perciò ho da sempre rifiutato l’ibrido (e comodo) termine “nazifascismo”, anche se riferito all’infausto periodo di Salò, che comunque – al di là dei suoi orrori – fu un tardivo tentativo di tornare alle origini rivoluzionarie dei Fasci di combattimento.
    Già Renzo De Felice (a suo tempo ‘scomunicato’ dalla Sinistra) aveva ben individuato tale differenza, quando nella sua celebre Intervista sul Fascismo aveva affermato che mentre il Nazismo voleva resuscitare l’uomo antico (Sigfrido, i Nibelunghi), il Fascismo voleva creare l’uomo nuovo (la romanità era solo una copertura propagandistica).
    Che poi non ci sia riuscito è un’altra storia, a mio avviso determinata dal fatto che non volle o non potè liquidare la Monarchia né attuare quello stato corporativo che tanto affascinò Pound, nemico dell’Usura capitalistica.

    Quanto alla cosiddetta “terza via”, a essa si richiamarono nel dopoguerra (anche se fra mille contraddizioni) regimi autoritari ma progressisti come quello di Peron in Argentina o quelli baathisti in Medio Oriente (Nasser e anche – horriibile dictu – i vituperati Gheddafi e Saddam Hussein, non a caso eliminati dai “democratici” Sarkozy e Bush).
    E allora come la mettiamo? Sedicenti democrazie che abbattono totalitarismi progressisti? Chi sono i conservatori e chi i rivoluzionari?

    Quanto al concetto di “identità”, mi limito a farti osservare – absit iniuria verbo – che clinicamente parlando chi crede di possederne più di una è definito “schizofrenico”!
    Del resto anch’io mi sento Italiano, Siciliano, Greco e Romano (e magari un po’ Ebreo), ma non Asiatico né Africano, per quanto conosca e rispetti queste culture ‘altre’.

    Per ora basta così.
    Un caro abbraccio

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    • caro Gianfranco, mi attendo una critica più radicale, perché ancora una volta non mi sento in dissenso da te.

      critiche vagamente analoghe alle tue mi ha fatto anche un vecchio compagno di scuola che mi ha letto, dicendo che la mia capacità argomentativa è notevole, ma mettendomi in guardia dall’eccedere in virtuosismi.

      ma, come vedi, tu approdi come conclusione alla stessa premessa implicita della mia risposta: e cioè che conservatori, rivoluzionari o reazionari si è soltanto a seconda del punto di vista che si assume per la valutazione.
      e, per giudicare un avvenimento politico in un modo o nell’altro, determinante è il criterio politico, ossia queste definizioni possono risultare ampiamente soggettive.
      per questo ho tentato di dare delle definizioni molto asettiche, quasi legate alla dinamica politica astratta, in termini quasi di fisica dei movimenti politici, prescindendo da valutazioni soggettive sugli obiettivi che i vari movimenti politici si danno (che potrebbero essere visti come le forze che li muovono).

      ad esempio, quello che tu dici sulla rivoluzione iraniana (indubitabilmente tale, direi, come abbattimento di un regime e creazione di uno nuovo) è che fu una rivoluzione reazionaria perché limitò i diritti civili, in particolare delle donne, e interruppe la laicizzazione dello stato avviata dallo Scià – a prezzo di una efferata e sanguinaria dittatura, permettimi di dire.
      ma questo punto di vista è strettamente occidentale, non iraniano!
      quando sono stato in Iran nel 2008 fu una sorpresa anche per me scoprire che il velo islamico imposto alle donne, con formalismi addirittura grotteschi per noi (una docente universitaria italiana richiamata ufficialmente, mentre ero lì, perché distrattamente si era lasciata sfuggire una ciocca di capelli dal velo), era per le donne iraniane un simbolo di emancipazione, perché di fatto aveva consentito loro di uscire dalla case nelle quali erano relegate per costumi atavici sotto lo scià; che le donne iraniane, straordinariamente libere, oltre che belle, avevano una netta egemonia negli studi e nella vita civile, tanto che allora si discuteva di una legge per le quote azzurre, perché almeno ai maschi venisse riservato il 50% dei posti.
      e il sostegno popolare al regime era forte, nonostante già allora le misure ostili dell’Occidente creassero difficoltà economiche notevoli.
      mai come allora ho toccato con mano la falsità delle propaganda in cui viviamo immersi.

      e ti dico questo nonostante la casa museo di Khomeini, che visitai, meta di pellegrinaggi politico-religioso da tutto il mondo islamico, e dove fui accolto con enorme amicizia ed affetto, documentasse bene come quel pretaccio si fosse servito dei rivoluzionari di sinistra per salire al potere e poi nel giro di un paio d’anni li avesse atrocemente massacrati peggio di un Hitler o di uno Stalin.

      e allora? allora cerchiamo di usare questi aggettivi con molta prudenza e molta documentazione; questa è la morale ultima del mio post di commento.

      (se per caso ti venisse voglia di leggere i resoconti di quel viaggio e vedere come progressivamente cambiai le mie vedute sul paese, vai, per cominciare, su questo mio vecchio blog https://corpus0blog.wordpress.com/ e inseriscI nella voce CERCA: bortolindie 33; i post li trovi anche qui https://corpus0blog.wordpress.com/category/viaggi/page/39/ e https://corpus0blog.wordpress.com/category/viaggi/page/40/ , allo stesso modo, cercando bortolindie 33, 34, 35 e così via…)

      disapprovo totalmente Erdogan anche io e festeggerò il giorno in cui cadrà, che potrebbe non essere lontano,, ma non credo che sia eletto da turbe di fanatici, bensì da dei normalissimi “democristiani islamici”, se mi passi l’espressione…

      quanto alle identità, sorrido; perché dopo avermi rimproverato la pluralità delle mie, confessi la pluralità delle tue.
      però ti tranquillizzo, neppure io mi sento africano o cinese o indiano (questo però, magari, almeno un pochino, dopo sette viaggi in India…).
      però schizofrenico non è né rischia di essere chi ne è ben consapevole e gestisce il loro gioco di intrecci con equilibrio, ma chi ne sceglie una sola e respinge le altre, col rischio di trasformarle in voci di dentro, da sentire come estranee.

      grazie della discussione; ricambio l’abbraccio.

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