mi scrive l’amico Gianfranco Nuzzo:
Caro Mauro, – evidentemente non sono riuscito a spiegarmi bene, e perciò ritengo opportuno fare qualche precisazione […] sul problema delle cosiddette “fonti”. […] : in verità io non parlavo di «critica delle fonti» (in cui “critica” vale “vaglio”, “disamina”) ma di «critica alle (tue) fonti» (in cui “critica” ha il senso oggi più comune di “valutazione negativa”). […] Vorrei farti una “critica” riguardo a un esempio collaterale che tu citi nella risposta alle mie osservazioni, per dimostrarti che le fonti (primarie o secondarie) vanno vagliate sempre sui testi originali, per non correre il rischio di dar credito a traduzioni inesatte o – peggio – a fake news talmente ripetute da essere scambiate per verità.
Ecco il tuo passo ‘incriminato’, relativo alla cosiddetta Lapide di Cesarea: è dunque evidente che ad essa possiamo fare direttamente riferimento per dire: siccome questa lapide chiarisce che la carica di Pilato era quella di Praefectus e non quella di Procurator, che gli viene attribuita nei vangeli [il neretto è mio], e che era data ai governatori romani della Palestina vent’anni dopo, questa fonte incrementa il dubbio che il processo subito da Jeshuu davanti a Pilato sia una invenzione successiva; e l’identificazione di Jeshuu col profeta egiziano che si era accampato con i suoi seguaci sul Monte degli Ulivi nel 52 circa, di cui parla Giuseppe Flavio, ne esce rafforzata.
Siamo alle solite: si parte da una premessa particolare per arrivare a una conclusione di carattere più generale, che con quella ha ben poco a che vedere. Per di più in questo caso la premessa è assolutamente falsa. Infatti dei quattro evangelisti soltanto Matteo attribuisce a Pilato una carica, mentre gli altri tre si limitano a menzionarne solo il nome. Tale carica nel testo greco è hegemon, vocabolo tradotto nel testo latino con praeses, vocabolo generico che non indica nessuna delle note cariche istituzionali ma designa solo «chi è a capo» (qui praesidet), sebbene in certi casi possa anche essere riferita al governatore di una provincia, come in Tacito (Ann. 6, 41, 19) a proposito di Vitellio.
1 Non so se sul tuo computer il greco si legge: in ogni caso ti allego uno dei font più comuni (SSuperGreek) che puoi installarti e che, in ogni caso, potrebbe tornarti utile.
E allora da dove è venuto fuori il procurator che tu (o la tua falsa fonte) attribuisci agli evangelisti? Proprio da Tacito, che in un celebre passo degli stessi Annales (15, 44, 3) lo usa proprio per Pilato e che non può essere certo tacciato di simpatie per il cristianesimo, da lui subito dopo definito exitiabilis superstitio. Ora, può anche darsi che Tacito fosse un tantino ignorante di istituzioni romane (!?), ma in ogni caso è a lui, e non agli evangelisti, da attribuirsi l’errore che – peraltro con un ragionamento davvero equilibristico – tu porti a fondamento della tesi secondo cui il processo a Gesù sarebbe solo un’invenzione e che Jeshuu sarebbe stato il guerrigliero accampato coi suoi sul monte degli Ulivi, di cui parla Giuseppe Flavio. In realtà, in difesa del povero Tacito, c’è da osservare che talvolta i due termini praefectus e procurator finiscono col sovrapporsi, come in un’epigrafe risalente all’imperatore Claudio (che regnò dal 41 al 54 d.C.), in cui si legge l’espressione praefectus et procurator provinciae Sardiniae. Lo stesso vale per il vocabolo italiano “governatore”, talvolta attribuito a Pilato, ma anche ad altri personaggi storici come Verre (in realtà propretore della Sicilia) e Cornelio Gallo (praefectus Aegypti).
Ovviamente è lontano da me l’intento di aver voluto tenere una lezione di filologia (non mi sono mai atteggiato a “cattedratico” e tanto meno a “barone”), ma solo quello di darti qualche modesto consiglio di prudenza nel condurre le tue peraltro appassionate ricerche. Per quelle ‘evangeliche’ ti suggerirei di acquistare il classico A. Merk, Novum Testamentum Graece et Latine, Romae 1964 (con apparato critico).
Un affettuoso abbraccio – Gianfranco
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caro Gianfranco,
grazie per il duplice contributo critico […], uno sulla faccenda di Pilato, al quale vorrei dare rilievo a parte.
[…] l’ipotesi che identifica Jeshuu col profeta egiziano di Giuseppe Flavio, che sta muovendo i suoi primi passi incerti – e anche molto maldestri talvolta – nel campo degli studi ed incontrerà resistenze […] feroci. io stesso, se dovessi quantificare allo stato attuale la sua attendibilità, la quantificherei in un 40% di probabilità che sia vera: percentuale del resto giustificabile in base all’entropia informativa di quasi due millenni.
ma allora perché ci insisto su? tu hai le tue ipotesi, non troppo lusinghiere per me :-); io dico soltanto che nessuna altra ipotesi diversa supera tale percentuale di credibilità; e quanto alla versione evangelica, sinottica o no, la probabilità che ci descriva i fatti come sono avvenuti è pari allo 0%, ma questo lo riconosce la stragrande maggioranza stessa degli studiosi di impronta cattolica.
ed è questa situazione che ci condanna a mantenere aperta la ricerca.
ma la smetto con questa premessa che sembra il classico girare attorno al problema e vengo alle tue critiche puntuali ed azzeccate.
tutto quello che dici è vero: il Vangelo secondo Matteo attribuisce una carica a Pilato, e in greco lo chiama egemon, ed è vero che Girolamo nella Vulgata traduce il termine in questo passaggio con praesidem e praeses. il che rimanda più facilmente ad un Praefectus, che agisce autonomamente, una volta ricevuto l’incarico, che ad un Procurator, che agisce su mandato e per conto di volta in volta di chi gli dà l’incarico (mi pare).
però il testo base di riferimento della mia affermazione è il Vangelo secondo Luca al cap. 3, 1 che ti riporto nella traduzione della Vulgata di Girolamo:
Anno autem quinto decimo imperii Tiberii Caesaris, procurante Pontio Pilato Iudaeam, tetrarcha autem Galilaeae Herode, Philippo autem fratre eius tetrarcha Ituraeae et Trachonitidis regionis, et Lysania Abilinae tetrarcha, 2 sub principe sacerdotum Anna et Caipha, factum est verbum Dei super Ioannem Zachariae filium in deserto.
Ma nel quindicesimo anno d’impero, di Tiberio Cesare, mentre era procuratore sulla Giudea Ponzio Pilato, ma tetrarca della Galilea Erode, e suo fratello Filippo era tetrarca dell’Iturea e della regione della Traconitide, e Lisania era tetrarca dell’Abilina, sotto il sommo sacerdote Anna e Caifa, la voce di Dio fu detta sopra Giovanni, figlio ddi Zaccaria, nel deserto.
Procurante Pontio Pilato non lascia dubbi sul fatto che la carica che il Vangelo secondo Luca gli attribuisce – secondo Girolamo – sia quella di procurator. è vero che il testo greco ha una formula più generica: ἡγεμονεύοντος Ποντίου Πιλάτου τῆς Ἰουδαίας, ma questa formula veniva evidentemente interpretata come ha fatto anche Girolamo.
anche Tacito fa questo errore, come dici: vero; ma anche rifiutando l’idea che questa frase di Tacito sia una interpolazione cristiana – come faccio perché è troppo comodo liberarsi di ciò che dà fastidio accusando l’interpolazione, se non vi sono prove o almeno indizi molto solidi per farlo -, rimane il fatto pressoché certo, secondo me, che Tacito qui sta riportando non documenti ufficiali, ma proprio la tradizione cristiana e certamente non sta usando atti ufficiali – e quali? se il processo, come credo, non è mai avvenuto?
certo, avessimo l’opera completa di Tacito con la narrazione delle vicende dell’impero durante la prefettura di Pilato!
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tu citi una epigrafe risalente all’imperatore Claudio (che regnò dal 41 al 54 d.C.), in cui si legge l’espressione praefectus et procurator provinciae Sardiniae e sottolinei come i due termini praefectus e procurator finiscono col sovrapporsi, anche se io direi piuttosto che il termine di Procurator sostituisce quello precedente di Praefectus e questo avviene proprio sotto Claudio, a quanto ci è dato di capire; e siamo appunto a ridosso della vicenda del “profeta egiziano”.
è su questa base, credo, che si definisce la tradizione cristiana che univocamente definisce sempre Pilato come Procuratore, quando gli attribuisce una carica.
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a proposito del profeta egiziano devo peraltro fare una precisazione importante: io non lo definisco come guerrigliero; la raffigurazione, sia pure sintetica, che ne fa Giuseppe Flavio è molto calzante con la figura storica di Jeshuu: infatti lo distingue abbastanza nettamente dagli zeloti classici, dicendo che non praticava azioni sanguinarie di guerriglia, ma attendeva un intervento divino con la distruzione del tempio e delle mura di Gerusalemme; e lo definisce più pacifico, ma non meno pericoloso – cosa molto ovvia, del resto, se pensiamo che Giuseppe Flavio era uno dei più autorevoli esponenti di quella classe dirigente ebraica che Jeshuu contrastava con la sua predicazione.
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ma tornando al tema principale, quindi hai ragione nel dire che la carica di Procurator per Pilato non c’è nel testo di TUTTI i vangeli, e almeno in quello greco il significato del termine non è così chiaro; ma non ho neppure del tutto torto io nel riferirmi alla tradizione evangelica come legata alla figura storica inesistente di un Pilatus procurator.
o meglio, un torto ce l’ho e ne faccio autocritica: sono ricaduto anche io nel vizio radicale, che a parole contesto, di considerare questa tradizione un insieme omogeneo, come in effetti nei secoli è stata costruita, smussando angoli e contraddizioni per quel che si poteva, e dimentico io per primo, per inerzia nel conservare la tradizione introiettata, che questi testi, in origine, erano scritti per contrapporsi tra loro, e solo questo spiega perché abbiamo vangeli differenti nell’impostazione e nei resoconti dei fatti; si finisce col considerarli come capitoli di un unico racconto, quando sarebbe molto più interessante, invece, lavorare sulle loro differenze, e cercare di spiegarcene la ragione.
avrei quindi dovuto scrivere tradizione evangelica e non vangeli; anzi correggerò questa espressione infelice, per non dire seccamente sbagliata.
ci si potrebbe chiedere come mai Gerolamo traduca proprio in quel modo la parola generica greca; ma la risposta sta proprio in Tacito, credo: Girolamo vuole far convergere il testo greco di Luca con Tacito; ma Tacito potrebbe essere a sua volta l’eco di una tradizione popolare cristiana del suo tempo: un tipico ed autentico procedimento di Ringkomposition, in questo caso!
detto tutto ciò, che ci lascia nel campo incerto dell’opinabile, rimane comunque in piedi l’indizio più consistente del carattere leggendario del processo di Jeshuu davanti a Pilato, che è quello della incompatibilità psicologica della rappresentazione di Pilato come persona nella tradizione dei vangeli ufficiali con quanto ne sappiamo storicamente; mentre il comportamento descritto lì sarebbe semmai più coerente con quello che sappiamo del Procurator Felice, vent’anni dopo.
ma l’analisi della prima versione di questo racconto, quella del nucleo originario del Vangelo secondo Giovanni, e poi di quella dell’apocrifo Vangelo di Pietro, e di quelle dei successi vangeli canonici (compreso il tardo rifacimento del Vangelo secondo Giovanni), non lascia dubbio ragionevole sul fatto che tutto questo racconto è semplice invenzione, in qualunque delle varie contraddittorie versioni che ce ne sono arrivate.
ciao, e ti ringrazio ancora di critiche così precise che fanno certamente progredire la riflessione.
un abbraccio.
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Caro Mauro, premesso che ho letto con molto interesse la tua risposta alle mie ultime osservazioni, almeno per il momento ti risponderò piuttosto succintamente, perché sono impegnato nella nuova edizione di Ktesis e in particolare sto lavorando su Callimaco (III volume), di cui fortunatamente possiedo un’ottima edizione dell’opera omnia compresi i frammenti. Mi soffermerò in particolare su alcune questioni filologiche, terreno evidentemente a me più congeniale, riguardanti il testo greco dei Vangeli e la sua Vulgata Hieronymiana. Vorrei però chiederti preliminarmente cosa intendi con la generica espressione «tradizione evangelica»: è possibile conoscere in quali testi cristiani Pilato è definito procurator?
Ma procediamo con ordine.
Anch’io ho sbagliato dicendo che soltanto Matteo attribuisce a Pilato una carica, perché mi ero soffermato solo sui passi riguardanti il processo a Gesù e non avevo tenuto conto dell’altro passo di Luca che giustamente mi hai segnalato; anzi io te ne segnalo un altro in cui lo stesso Luca (2, 2) usa il verbo hegemonein a proposito di un tale Cirino: hegemonountos thes Suriyas Kyrniou, che Girolamo stavolta traduce con a praeside Syriae Cyrino.
Ma allora perché sempre Girolamo in Luca 3, 2 rende un identico genitivo assoluto (hegemonountos Pontiou Pilatou thes Ioudaias) con procurante Pontio Pilato Iudaeam?
La risposta l’ho trovata nell’apparato critico di Merk, che registra (ma non accetta) la lezione eupitropountos di un altro codice (indicato con la sigla D lat Eus1), su cui evidentemente si è basato Girolamo per la sua traduzione: viceversa sembrerebbe abbastanza strano che un traduttore così accurato e fin troppo letterale abbia reso con vocaboli latini diversi lo stesso vocabolo greco; devo aggiungere che la tua spiegazione ‘complottista’ (mettere d’accordo Luca con Tacito) mi sembra piuttosto fantasiosa.
Per quanto riguarda i due verbi greci in questione, ti segnalo che il vocabolario di Montanari (il GI tanto in voga presso gli studenti) alla voce hegemonein segnala proprio il passo di Luca 2, 2 col significato di «essere governatore» e alla voce eupitropein cita Plutarco, che lo usa in più luoghi col senso di «essere procuratore» (a Roma). Come vedi, tout se tient.
Spero che tu abbia installato il font greco che ti ho inviato e che possa leggere agevolmente questa mia mail.
A proposito, se vuoi scrivere in greco usando spiriti e accenti, basta cliccare su INSERISCI nella barra degli strumenti di Word e poi su Simboli e Altri simboli, selezionando sulla ‘tendina’ Carattere SsuperGreek.
Un abbraccio Gianfranco
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ciao Gianfranco,
purtroppo il font che mi hai mandato non mi ha aiutato a trascrivere le tue citazioni in greco; l’ho fatto io in fretta e temo qua e là malamente.
discussione serrata e particolarmente stimolante per me, ma non vorrei rubarti altro tempo. vado per punti:
1. la definizione di Pilato come procuratore è talmente diffusa per secoli nella tradizione cristiana, o meglio lo era, che faccio fatica ad indicarti delle fonti specifiche.
mi è venuto in mente Il maestro e Margherita di Bulgakov, inizio del cap. 2: Al mattino presto del giorno quattordici del mese primaverile di Nisan, avvolto in un mantello bianco foderato di rosso, con una strascicata andatura da cavaliere, nel porticato tra le due ali del palazzo di Erode il Grande entrò il procuratore della Giudea Ponzio Pilato. […] Il procuratore sbirciò in fretta lo scritto, ecc. ecc. – lo cito soltanto per dimostrare come era senso comune, non è certo un testo canonico.
(con l’occasione va precisato, per inciso, che l’Erode delle narrazioni evangeliche non è certo Erode il Grande, morto nel 4 a. C., ma Erode Antipa, suo figlio, che era tetrarca della Galilea: forse poteva abitare ancora il palazzo del padre, anche se dal 6 d.C., data della destituzione e dell’esilio in Gallia del fratello Erode Archelao, a cui era stata destinata la Giudea, questa era governata direttamente dai romani, poiché Archelao si era rivelato incapace di controllare la rivolta capeggiata da Giuda il Galileo.
quindi la presenza a Gerusalemme di Erode Antipa, capo di una tetrarchia estranea, in altre moderne parole, di un altro stato, male si giustifica, e ancora meno che lì potesse esercitare qualche giurisdizione su un cittadino della Galilea all’estero, se Jeshuu era di Nazaret, e ancor meno se era nato a Betlemme… – però capisco che stiamo applicando concetti forse troppo moderni ad una narrazione peraltro totalmente assurda – ma che dire poi dell’espressione nel Vangelo secondo Luca, nella Vulgata?: sub principe sacerdotum Anna et Caipha: sotto il sommo sacerdote Anna e Caifa – e sono due!).
quello che importa sottolineare è che lo scrittore Bulgakov negli splendidi capitoli dedicati alla storia di Pilato e al suo rapporto con Gesù stava dando forma letteraria alle ricerche svolte dal padre, Afanasij Ivanovič Bulgakov, docente universitario di storia e critica delle religioni occidentali presso l’Accademia Teologica di Kiev, che era un autentico specialista del settore, e che questi non si era sentito di pubblicare, data la mentalità del tempo; per cui questa definizione veniva da un esperto del tempo.
vero anche che, ad una verifica, il Catechismo di Pio X, a inizio del XX secolo, è molto meno preciso, e se la cava restando nel vago: VIII, 24. […] quando il pauroso Pilato, preside romano, tentò di graziarlo per la Pasqua e salvarlo da morte. e pazienza per i presidi!
(non so se ti ho mai raccontato che uno zio di mio padre, fratello del mio nonno paterno, fu il suo confessore in Vaticano).
. . .
2. quanto a Publio Sulpicio Quirinio – non Cyrino, come traduce Girolamo -, fu personaggio di grandissimo rilievo alla corte di Augusto e appunto fu mandato a sostituire Erode Archelao nel governo della Giudea, quando la Giudea diventò una parte autonoma della provincia romana Siria, e decise di farla governare da un praefectus cum iure gladii; Coponio fu il primo a rivestire questa carica e fu quindi lontano predecessore di Pilato nella carica (Pilato fu il quinto prefetto della Giudea, dopo Coponio, Marco Annibulo, Annio Rufo e Valerio Grato).
ma ecco che è molto utile il tuo riferimento al cap. 2 del Vangelo secondo Luca, sfuggito anche a me, dove l’autore usa per Quirinio lo stesso termine che userà subito dopo nel cap. 3 per Pilato.
è un riferimento molto importante e cambia i termini della questione e mi costringe ad una revisione delle mie prime ipotesi.
in poche parole, per riassumere, nel testo greco tramandato del Vangelo secondo Luca ci sono due genitivi assoluti identici nel cap. 2 e nel cap. 3, per due personaggi diversi, Quirinio e Pilato, e Girolamo traduce nel primo caso a praeside Syriae Cyrino e nel secondo caso procurante Pontio Pilato; ed è questa seconda la traduzione che dà il via alla tradizione “evangelica” di Pilato procuratore e non prefetto, per tornare a rispondere alla tua prima domanda.
ma questa ulteriore citazione allarga ancora il campo e giustamente tu poni la domanda: allora perché Girolamo traduce i due termini in modo diverso?
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la prima ipotesi è che Girolamo avesse ben chiaro evidentemente che il potere di Quirinio come legatus dell’imperatore in tutta la Siria (compresa la Palestina, che ne veniva a fare parte) era superiore a quello di Pilato, che veniva inviato a governarne una parte.
ma questa ipotesi è davvero molto debole, visto che, da come lo traduce, non sa neppure chi è.
la seconda ipotesi è la tua: che Girolamo avesse a disposizione una variante testuale, pure attestata, e che viene usata da Plutarco col significato di essere procuratore (in contesti che peraltro tu stesso ammetti che sono molto diversi e difficilmente trasferibili), ma anche questa a me pare precaria: a me pare a prima vista piuttosto stravagante pensare che Girolamo abbia utilizzato proprio un codice particolare, a fronte di una tradizione manoscritta così massiccia come quella che trasmetteva i vangeli.
ci sono altre ipotesi?
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provo a riassumere la sequenza cronologica dei diversi testi coinvolti (seguendo le datazioni alle quali sono arrivato, ben distanti da quelle ufficiali), con quel mio metodo di analisi che tanto disapprovi e che cerca di chiarire questioni filologiche con elementi extra-testuali:
1. l’Annuncio del Nuovo Regno, composto prima del 70 (come da me ricostruito), non parlava di nessun processo di Jeshuu; non lo facevano né la Fonte Q, forse l’originario Vangelo secondo Matteo, né il cosiddetto Vangelo di Giuda il Gemello o Tommaso, cioè nessuno dei testi originari cristiani più antichi; se Jeshuu fu il profeta egiziano, non fu mai processato.
2. solo il Vangelo secondo Marco, qualche decennio dopo la vicenda di Jeshuu, introduce questa storia leggendaria, ricalcandola evidentemente sulla vicenda di quell’altro Jeshuu fglio di Anania, processato e mandato libero da Lucceio Albino, procuratore romano della Giudea dal 62 al 64, che viene raccontata da Giuseppe Flavio, Bellum Iudaicum, VI, 300; https://corpus15.wordpress.com/2018/01/11/laltro-jeshu-di-giuseppe-flavio-il-profeta-egiziano-23-16/
3. Tacito parla di Pilato procuratore che condanna Jeshuu all’inizio del II secolo, probabilmente sulla base di tradizioni cristiane anche orali, oppure ne mette assieme lui per primo due diverse: una che Jeshuu era stato processato da Pilato; una che Jeshuu era stato processato da un procuratore romano;
4. il Vangelo secondo Matteo allarga la descrizione del processo del Vangelo secondo Marco e in tempi più o meno simili altrettanto fanno, con resoconti differenti fra loro, anche una seconda redazione del Vangelo secondo Giovanni, l’apocrifo Vangelo di Pietro e, per accenni, molti altri testi; in nessuno di questi o di altri testi cristiani del periodo Pilato è mai indicato altro che col nome, senza nessun riferimento alla sua carica, come se il nome avesse semplicemente una valenza generica per indicare il dominio romano;
5. il Vangelo secondo Luca, probabilmente già nella prima redazione proposta da Marcione verso il 140, alla ricerca di una maggiore autorevolezza storica in polemica con i vangeli preesistenti, cerca di collocare cronologicamente la vicenda di Jeshuu, e racconta a sua volta nel testo greco un processo di Jeshuu davanti a Pilato, definendolo genericamente come governante e senza precisare ulteriormente che carica avesse;
6. nel IV secolo, traducendo il testo greco dei vangeli canonici in latino, nella traduzione di Luca, Girolamo attribuisce a Pilato la carica di procuratore che non ha mai avuto;
7. in epoca imprecisata una variante del testo greco del Vangelo secondo Luca, al posto del verbo che Girolamo traduce come riferito alla carica di procuratore, usa un verbo più generico che potrebbe riferirsi alla carica di prefetto;
8. sulla base della Vulgata di Gerolamo, la successiva tradizione cristiana si riferisce sempre a Pilato come procuratore, l’espressione diventa quasi proverbiale:
9. nel 1961 viene scoperta a Cesarea una lapide che conferma che Pilato era invece praefectus.
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non so se questo quadro può aiutarci a capire come possa essersi formata, questa variante del testo greco del Vangelo secondo Luca che potrebbe riferirsi alla carica di procuratore per Pilato, dato che non è legata certamente a qualche errore casuale di trascrizione: i due verbi sono troppo diversi.
qui si pone una ulteriore domanda: quale dobbiamo considerare il testo originario greco del Vangelo secondo Luca?
prima ipotesi: era quello di questa variante che attribuirebbe a Pilato, indirettamente, la carica di procuratore? ma allora perché venne abbandonata dalla quasi totalità dei manoscritti?
oppure era originario il testo oggi riconosciuto come tale, perché predominante nei codici manoscritti e che parla di lui attribuendogli un potere più vasto? e in questo caso perché subentrò la variante?
senza qualche ipotesi su questi due passaggi non abbiamo nessuna interpretazione valida; e il metodo filologico puro del confronto fra i manoscritti non mi pare che possa aiutarci.
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l’ipotesi più ragionevole, secondo me, è che il Vangelo secondo Luca ha davvero usato nel testo greco per Pilato il verbo che aveva usato anche per Quirinio e che indicava una carica più piena, quella di praefectus.
ma allora il copista isolato che cambiò il verbo, perché lo fece? forse perché era condizionato da una tradizione che attribuiva, invece, a Pilato la carica inferiore di procurator?
o forse quello era un copista colto e lo fece appunto per conciliarlo con la traduzione di Girolamo, a sua volta condizionata da Tacito?
e Girolamo? dobbiamo pensare invece che sia stato lui ad andare proprio ad incappare su un testo alterato? senza rendersene conto?
ma se invece l’originale greco del Vangelo secondo Luca aveva effettivamente usato due verbi differenti e attribuito a Pilato la carica di procurator, come mai la maggior parte dei codici ha poi cambiato il verbo in modo che da assimilarlo a un praefectus?
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è evidente che una piena risposta a queste domande esigerebbe l’esame dettagliato della tradizione manoscritta e delle età dei diversi codici, ricostruendone il famoso stemma, cioè la rete dei rapporti reciproci: impresa credo disperata comunque.
però a me pare a prima vista piuttosto stravagante pensare che Girolamo abbia utilizzato proprio un codice particolare, a fronte di una tradizione manoscritta così massiccia come quella che trasmetteva i vangeli, e molto più ragionevole pensare che un copista isolato abbia cercato di concordare meglio il testo greco di Luca con la traduzione latina ufficiale di Girolamo.
e con la tradizione dominante nei racconti cristiani che parlavano di Pilato come procuratore.
ma siccome nessuno di noi due è un esperto di trasmissione dei codici del Vangelo secondo Luca, temo che la questione resterà sospesa aldilà delle ipotesi più o meno ragionevoli che ciascuno di noi può fare.
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quello su cui posso concludere io (ma certamente non tu, caro Gianfranco, e rispetto le tue convinzioni) è il carattere semi-leggendario di questi racconti, che ricavano la loro forza, semmai e a parere mio, non da una discutibile aderenza ai fatti storici, ma dalla volontà potente di credere all’impossibile.
una fede che sostiene il mondo e che meglio di tutti ha descritto Tertulliano quando ha gridato: Credo quia absurdum, credo proprio perché è assurdo.

[…] prosegue da che cosa può dire ancora Pilato a Gianfranco Nuzzo e a me – 197 […]
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…non avete considerato l’ipotesi più semplice: anche Pilato si truccava il curriculum. Marino Occam, al vostro servizio.
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🙂
il problema qui p che glielo truccavano i cristiani!
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