a proposito di collassi (di funzioni d’onda): Fabio Mombelli – 210

ecco una avvincente prosecuzione (di Fabio Mombelli, brillante studente un tempo del liceo dove ero preside) della discussione con Krammer avviata qui: il ritorno di Krammer: il reale è reale? – 208.

questa si concludeva con queste domande mie: “il punto che ancora mi crea problemi, per le mie carenze di preparazione matematica, è come avviene il collasso della funzione d’onda: è una operazione matematica? il calcolo di una funzione per un valore particolare? che cos’è?”

ed ecco quest’altra voce che si aggiunge al nostro dialogo, per rispondere alla mia domanda:

. . .

Carissimo Mauro,
come stai? Leggo stamane con grande interesse la discussione tra te e Krammer in merito a “questioni quantistiche”, tematiche che mi appassionano molto, di cui faccio uso quotidiano in relazione alla mia materia di studio e rispetto alle quali molto spesso anche io mi trovo a riflettere.
Essendo giunto alla fine del post e avendo letto i tuoi interrogativi residui in merito al collasso della funzione d’onda, cerco anche io di darti un mio contributo, sperando possa essere chiaro ed eventualmente complementare rispetto a quello di Krammer.

Si consideri una particella, nella meccanica classica newtoniana essa può, come sai, essere descritta dalla sua posizione e dalla sua velocità (o per meglio dire dalla sua quantità di moto, o momento), vale a dire che in ogni istante di tempo un osservatore può specificarne con esattezza (a meno di incertezze sperimentali) il punto occupato nello spazio e la velocità posseduta.
Non solo, mediante l’equazione di Newton, la famosa “forza uguale a massa per accelerazione”, è possibile descrivere – note le forze agenti sulla particella – come la sua posizione e la sua velocità evolveranno nel tempo a partire dalle condizioni iniziali note (la loro legge oraria)!
Questo paradigma, come sai, viene messo in crisi dalla meccanica quantistica, per cui (vedasi il principio di indeterminazione), non è possibile indicare contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella, e questo non per semplici ragioni sperimentali (il mio strumento di misura non è abbastanza preciso), ma per una ragione intrinseca!

Veniamo alla funzione d’onda: ti risparmio la definizione formale (o meglio le possibili definizioni formali), ma intuitivamente la funzione d’onda è un oggetto matematico che associamo ad una particella e che fa le veci della sua legge oraria classica: il significato fisico di tale funzione (secondo la già citata interpretazione di Copenaghen) risiede nel suo modulo quadro ed è quello di una densità di probabilità.
(Ti richiamo brevemente il concetto di funzione, si tratta di una relazione che associa ad un valore in un insieme di partenza un valore in un insieme di arrivo).
Questo significa che integrando (l’operazione di integrale è quella che, intuitivamente, calcola l’area al di sotto del grafico di una funzione) la funzione d’onda tra due estremi, trovi la probabilità (compresa tra 0 e 1) che la particella si trovi nella regione di spazio compresa tra quegli estremi lì!
Consideriamo questo esempio, l’elettrone in un atomo di idrogeno: come vedi
– NOTA: l’immagine del grafico non è trasferibile nel blog, ma è visibile in questo allegato in PDF:

il modulo quadro della funzione d’onda ha due massimi; se noi volessimo ad esempio calcolare la probabilità che la particella si trovi tra un punto a e un punto b (dal nucleo), dovremmo calcolarci l’area sotto al grafico nell’intervallo (a, b). E’ ovvio che sarà molto più probabile trovarla vicino ai massimi, ma alla particella non è fatto alcun divieto di trovarsi in tutte le zone in cui la funzione d’onda e il suo modulo quadro sono non nulli.
Nell’ipotetica rappresentazione classica, la densità di probabilità sarebbe stata una funzione affilatissima e altissima in un punto preciso, quello in cui saremmo stati sicuri di trovare la particella (questa funzione affilatissima prende il nome di delta di Dirac, forse ne hai sentito parlare, ma non mi addentro).

L’equazione di Schroedinger (nella versione cosiddetta tempo-dipendente) – e che qui ti riporto – NOTA: vedi ancora PDF – esplicita come varia la funzione d’onda di una particella in funzione del potenziale in cui è immersa e della sua energia: molto semplicemente altro non è che una versione quantistica della già citata equazione di Newton. Quest’ultima esprimeva la variazione di posizione e velocità in funzione del tempo e delle forze agenti sul sistema, l’equazione d’onda di Schroedinger fa proprio la stessa cosa:
l’azione di una “forza” può determinare una alterazione della funzione d’onda, se prima la funzione d’onda era “più concentrata” in una regione di spazio (e quindi la particella aveva una maggiore probabilità di trovarsi in quella regione di spazio), la presenza di un potenziale esterno può determinare la nascita di una “corrente di probabilità”, responsabile di una alterazione della funzione d’onda e che fa sì che la particella abbia a questo punto una probabilità maggiore di trovarsi altrove, proprio come tirando un calcio ad un pallone il pallone si sposterà altrove.

L’equazione di Schroedinger gode di una proprietà fondamentale (tanto semplice quanto complicata da interpretare in senso fisico), vale a dire la linearità. Questo significa che, se A e B sono due funzioni d’onda soluzioni dell’equazione di Schroedinger, allora anche una loro qualunque combinazione lineare (ad esempio la loro somma A + B) lo è!
[Attenzione, non pensare che l’equazione di Schroedinger abbia un ruolo speciale nella descrizione quantistica della materia, ce l’ha semplicemente in termine storici, è la prima equazione d’onda ad essere introdotta, ma ha dei limiti: il limite principale è che tale equazione non è “relativisticamente corretta”, cioè non è in accordo con la teoria della relatività, ad esempio non descrive in nessun modo lo spin di una particella, che è una proprietà fondamentale e intrinseca della particella stessa.
Sono disponibili molte altre equazioni d’onda, ad esempio l’equazione d’onda per particelle a spin 1⁄2 (fermioni, tra cui l’elettrone) relativisticamente corretta è la nota (e spesso abusata) equazione di Dirac.]

Torniamo però a noi, non è ancora finita, in fisica abbiamo a che fare con molte grandezze, la posizione certo, ma anche la quantità di moto (o la velocità, se ti è più facile da visualizzare), l’energia, il momento angolare etc.. Queste grandezze fisiche (che in meccanica classica si costruiscono a partire da combinazioni opportune di posizione e quantità di moto), in meccanica quantistica sono rappresentate da oggetti matematici chiamati operatori, che agiscono sulla funzione d’onda.
Ad ogni operatore (cioè ad ogni grandezza fisica, ad esempio l’energia), corrispondono autovalori e autostati (o autofunzioni): questo è un passaggio molto delicato ma essenziale per comprendere il collasso della funzione d’onda.

Provo a spiegarmi meglio, per ogni operatore (ovvero per ogni grandezza fisica) esistono delle particolari funzioni d’onda (autostati o autofunzioni), tali che facendo agire l’operatore su una delle sue autofunzioni, ciò che si ottiene è l’autofunzione stessa moltiplicata per un numero (che prende il nome di autovalore).
Queste autofunzioni hanno un significato molto particolare, poiché rappresentano degli stati quantistici in cui la grandezza rappresentata dall’operatore considerato è definita senza incertezza e l’autovalore associato rappresenta il valore di questa grandezza.
Provo a farti un esempio, consideriamo la grandezza fisica energia, essa è rappresentata da un “operatore energia” (che prende il nome di operatore hamiltoniano, in gergo): ci sono delle particolari funzioni d’onda tali che l’azione dell’hamiltoniano su tali funzioni d’onda restituisce la funzione d’onda stessa moltiplicata per un numero; la funzione è rappresentativa di uno stato in cui l’energia è definita “senza incertezza”, mentre il numero è proprio il valore di energia in quello stato!
È come se autofunzioni e autovalori fossero un barlume di “certezza” in un universo di incertezza!

In generale un operatore possiede numerosi autovalori e numerose autofunzioni associate, l’insieme dei suoi autovalori prende il nome di spettro, e gli autovalori di un operatore sono tutti e i soli valori che una grandezza può assumere! (Avrai sentito molte volte dire che l’energia di un elettrone in un atomo non può essere qualsiasi, ma solo alcuni valori quantizzati di energia sono possibili o accessibili, ecco questi valori sono proprio gli autovalori dell’operatore hamiltoniano nell’atomo).
Attenzione però, come dicevo prima l’equazione di Schroedinger è lineare! Questo significa che ogni soluzione dell’equazione di Schroedinger (e quindi ogni stato per la mia particella) può essere scritta come combinazione lineare di queste autofunzioni! Ovvero uno stato qualsiasi (“incasinato a piacere”) può essere scritto come somma pesata di stati in cui una grandezza (ad esempio l’energia, nel mio esempio) è nota con esattezza.

Ora questo nuovo stato che abbiamo ottenuto avrà perso la caratteristica di essere autofunzione dell’operatore da cui siamo partiti (nel nostro caso l’hamiltoniano), ma sarà una somma di autofunzioni! Ma quindi, se noi nello stato “generico” misuriamo la grandezza fisica energia con un ipotetico “energia-metro”, misuriamo qualcosa oppure no? Certo che misuriamo qualcosa, misuriamo uno dei possibili autovalori dell’energia (che sono i valori che possiamo ottenere per quella grandezza), e sul nostro ipotetico strumento leggiamo un valore preciso, ma il fatto è che ripetendo la misura nelle stesse condizioni potremmo ottenere un valore diverso di energia, e poi un altro ancora!
Cosa significa questo? Significa che uno stato può essere rappresentato come combinazione lineare di stati di energia nota (la suddetta combinazione lineare), per cui uno stato ha in ogni momento una certa probabilità di avere questa o quella energia (che non è determinata, poiché uno stato ha “un po’ di ogni autostato”), ma l’operazione di misura (secondo l’interpretazione di Copenaghen) fa sì che si perda questa indeterminazione!
Ovvero, misurando, io devo necessariamente ottenere un valore! La misura costringe il sistema “ad esprimersi” per così dire. Più propriamente, l’operazione di misura fa collassare (si dice) la funzione d’onda su uno degli autostati dell’operatore associato alla grandezza che stiamo misurando!

Ecco il collasso della funzione d’onda!
E quindi il principio di indeterminazione di Heisenberg a cui accennavo inizialmente vale in termini statistici: se effettuiamo molte misure di posizione e quantità di moto per una particella in una stessa condizione, otteniamo dei valori esatti di posizione e quantità di moto ogni volta, ma questi valori cambiano (e possiamo caratterizzarli in senso statistico mediante – ad esempio – valore medio e deviazione standard)! Misurazioni diverse restituiranno valori diversi di posizione e quantità di moto (e la rosa di valori che otterremo saranno gli autovalori dell’operatore posizione e dell’operatore quantità di moto), così che effettivamente, a valle di molte misure, la posizione e la quantità di moto siano entrambe incerte!

Spero di averti aiutato almeno un pochino,
Un abbraccio,
Fabio
PS perdona eventuali errori, sia nella forma sia nel contenuto, ho cercato di semplificare alcuni concetti, e soprattutto ho scritto molto velocemente e di getto prima di andare a lezione
.

. . .

accidenti se mi ha aiutato Fabio! ho dovuto rileggere tre volte con molta attenzione – ed è una cosa che riesce ancora scrivendo un post, ma mi rendo conto che è quasi impossibile che riesca leggendolo! – mi ha lasciato un po’ confuso l’apparizione dell’operatore hamiltoniano che non so bene che cos’è (Fabio sopravvaluta la mia preparazione), però mi pare di avere capito l’essenziale; non è detto sicuramente che sia così (a proposito di principio di indeterminazione! 😉 ), però provo a ridirlo con parole mie, così da potere essere corretto se sbaglio:

.1. il principio di indeterminazione non dipende da una nostra debolezza nelle misurazioni, ma è una caratteristica intrinseca della “realtà”; quando ci arrivai per mio conto, diverso tempo fa, fu una conquista fondamentale per la mia visione del mondo.

2. la “realtà”, quindi, viene descritta meglio che da funzioni di tipo newtoniano che danno risultati ben definiti, da funzioni d’onda, che danno risultati di tipo probabilistico.

3. questo tipo di funzioni vengono modificate da azioni esterne, assumendo conformazioni particolari.

4. una di queste azioni è l’osservazione, che va sempre considerata come un preciso processo fisico, capace di alterare la “realtà” osservata (di modo che noi non abbiamo nessuna percezione diretta della “realtà” che precede l’osservazione, ma interagiamo sempre e soltanto con gli effetti della nostra osservazione.

5. l’osservazione costringe, per così dire, la funzione d’onda ad assumere un valore determinato e ci restituisce dunque un barlume di certezza, come lo chiama Fabio, ma, per la natura probabilistica della “realtà”, questo valore è solo probabile e la ripetizione dell’osservazione per lo stesso oggetto può restituirci valori differenti.

in conclusione il collasso della funzione d’onda è una forma di determinazione del risultato di quella funzione per l’intervento dell’osservazione, che è a sua volta un fenomeno fisico che ne modifica i valori portandoli da un risultato specifico.

(chissà se ho capito davvero!)

. . .

ma, dato che ho la tastiera a disposizione e menti acute che mi ascoltano, aggiungo una intuizione maldestra che non c’entra con questo problema, almeno apparentemente e in prima battuta:

noi siamo abituati a considerare la “realtà” come il frutto dell’interazione fra le tre dimensioni spaziali, s, e la quarta dimensione (un po’ anomala) temporale, t, e su questa base definiamo la velocità come risultante della relazione v=s/t, spazio diviso tempo.

ma se la “realtà” fosse invece fatta soltanto di velocità? la velocità della luce con cui la osserviamo, ad esempio…

se la realtà fosse v e non s * t?

in altre parole, allora, lo spazio sarebbe il RISULTATO di v MOLTIPLICATO t: cioè s= v * t, cioè lo spazio sarebbe velocità moltiplicata per il tempo;

e t= s/v, cioè il tempo sarebbe soltanto lo spazio diviso per la velocità.

ma che cosa succede se identifichiamo il tempo con l’osservazione? cioè se lo attribuiamo all’osservatore soltanto?

ne risulterebbe che è l’osservazione applicata alla velocità che la trasforma in spazio, mentre il tempo è concepibile come una forma di frammentazione dello spazio.

in ultima analisi allora noi vivremmo in un mondo ad una sola dimensione, la velocità (della luce?), nel quale creeremmo lo spazio a tre dimensioni con l’osservazione, come se fosse un gigantesco ologramma generato dalla luce; e il tempo stesso sarebbe il nostro modo di frammentare, attraverso l’entropia, lo spazio che abbiamo creato.

(ma non sono davvero un po’ pazzo a lanciare queste provocazioni, senza nessuna base matematica?).

. . .

risposta già ricevuta da Fabio:

Mi sembra che tu abbia afferrato i punti salienti del discorso, mi riservo di leggere con più calma e attenzione le tue considerazioni finali.

Al momento, posso cercare di chiarirti l’operatore hamiltoniano. Come ti dicevo una grandezza fisica viene rappresentata in meccanica quantistica mediante il formalismo degli operatori, che sono delle “macchinette” che agiscono sulla funzione d’onda e ti restituiscono qualcosa d’altro (se quella funzione d’onda è un’autofunzione dell’operatore, ecco che ciò che restituiscono è la funzione stessa moltiplicata per l’autovalore corrispondente, e questo significa che quella funzione è rappresentativa di uno stato in cui la grandezza di interesse è nota senza incertezza).
Quindi alla grandezza fisica posizione corrisponderà l’operatore posizione (con i suoi autovalori e le sue autofunzioni, che sono rispettivamente i valori che la grandezza fisica posizione può assumere e gli stati in cui il sistema assume quei valori di posizione), alla grandezza fisica quantità di moto (che classicamente è il prodotto di massa e velocità) corrisponderà l’operatore quantità di moto (con i suoi autovalori e le sue autofunzioni), alla grandezza fisica energia corrisponderà l’operatore energia, che viene tuttavia chiamato operatore hamiltoniano, tutto qui, è solo un nome.
La ragione di questo nome risiede nella formulazione cosiddetta analitica della meccanica classica, in cui appare una certa funzione hamiltoniana, ma questo non è fondamentale ai nostri scopi.

Aggiungo un passaggio chiave, la grandezza fisica energia (e quindi l’operatore hamiltoniano) gioca un ruolo fondamentale nella meccanica quantistica, e non ti sarà sfuggito che l’operatore hamiltoniano H sia l’unico a comparire nell’equazione di Schroedinger, ha un ruolo decisamente privilegiato!
La ragione è presto detta: il principio di conservazione dell’energia è diretta conseguenza dell’omogeneità del tempo, vale a dire dell’invarianza dei processi fisici per traslazione temporale.
Ecco quindi che l’equazione di Schrodinger, che descrive l’evoluzione temporale della funzione d’onda, fa uso in qualche modo dell’energia! In generale affinché una grandezza si conservi, l’operatore corrispondente deve “commutare” con l’hamiltoniano (teorema di Ehrenfest): in altre parole, una grandezza si conserva se il suo operatore è tale da soddisfare precise relazioni (dette di commutazione) rispetto all’operatore hamiltoniano, che risulta essere fondamentale per comprendere l’evoluzione nel tempo di un sistema fisico.
Non so se tu abbia o meno sentito parlare di principio indeterminazione energia-tempo, ma anche questo si lega a quanto detto.

Spero di non averti sovraccaricato, A presto, Fabio

. . .

sovraccaricato di sicuro, intellettualmente, considerando le mie basi o la mia mancanza di basi, ma si tiene un blog anche per questo, per essere sollecitati mentalmente (della mia mancanza di basi di fisica forse non ti rendi adeguatamente conto… 😉 😉 😉 ):

ora ho capito che l’operatore hamiltoniano è particolarmente connesso col ruolo dell’energia; molte altre cose nuove che hai detto mi sfuggono ancora; ma ci sarà tempo per approfondirle ancora!

un grande grazie!

74 commenti

  1. avete scritto un sacco ed ho letto solo alcune parti, riprenderò nei prox giorni spero!
    solo una cosa in risposta al dilemma della variabile tempo se rientra o meno nella funzione d’onda: si, l’equazione di Schroedinger descrive lo stato del sistema quantistico esaminato in funzione di t.

    come spiegava nei dettagli Fabio la funzione d’onda descrive un sistema quantistico analogamente a come la legge oraria Newtoniana descrive un sistema meccanico classico: conoscendo lo stato di un sistema al tempo zero, ne posso calcolare l’evoluzione degli stati successivi in funzione del tempo.
    con la legge oraria, conoscendo posizione e velocità iniziale di un corpo, posso calcolare esattamente la sua posizione e velocità in un instante t scelto a piacere.

    se ben ricordo Schroedinger nella sua famosa formula all’inizio non voleva usare la componente immaginaria i nei suoi calcoli, voleva restare nel campo dei reali. fu l’evidenza sperimentale che impose i numeri complessi solo perchè facevano funzionare l’ingranaggio teorico, lui non l’avrebbe voluto ed ha cercato per settimane di farne a meno. inoltre all’inizio non dava alcun significato di probabilità alla sua equazione,
    Schroedinger come Einstein non credeva al caso ma ricercava una legge oraria che spiegasse la meccanica quantistica in termini deterministici: se conosco lo stato iniziale e la legge universale, determino anche lo stato finale.
    concettualmente pensava ad una sorta di densità: non è difficile visualizzare un sistema quantistico come uno “pseudo-gas” più o meno concentrato in alcune aree di spazio. lo stato del sistema equivale alla sua distribuzione di densità.

    in un secondo momento si è arrivati ad idealizzare il significato dell’equazione di Schroedinger in senso probabilistico, di densità di probabilità. anche perchè non c’è stato verso di ottenere una formula funzionante che non prevedesse il campo dei numeri immaginari nella funzione!
    i numeri complessi impongono quella struttura matematica che ha spiegato Fabio con i complicati concetti di autovalori, autostati e sovrapposizione di stati che fanno girare la testa ai non addetti (anche a me quindi! :-D)

    provo a spiegare un passaggio che trovo rilevante, sperando di averlo capito bene sul serio 😛
    il fatto che la misura, e dunque l’applicazione di un’energia benchè minima (operatore hamiltoniano), faccia collassare la funzione d’onda in uno a caso dei suoi autovalori consentiti, è una supposizione.
    una supposizione che fila: non potendo misurare alcuna “zona mista”, in cui la funzione assume più stati contemporaneamente, l’unica misura possibile del sistema quantistico è quella dove tutti i suoi stati coincidono ossia uno degli autostati. misurando un certo autovalore la funzione dunque si “realizza” in quello stato e assume un valore determinato.

    l’alternativa dei molti mondi è che la misura non collassa su di un suo autovalore casuale ma in tutti i suoi autovalori, ramificando così la linea temporale con tutti i risultati possibili (quantizzati) della misura.

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    • mi sembra accertato che la funzione t rientri nella funzione d’onda, visto che essa è riferita allo spaziotempo. già l’ha osservato fla.
      ma il tema rimane da approfondire secondo me e dovrò andarmi a rileggere Rovelli dove afferma che in nessuna formula riferibile alla dimensione sub-atomica compare il tempo, che a suo parere si costituisce soltanto ad una scala superiore.
      ho provato per il momento a supporre che questo t sia semplicemente il tempo come quarta dimensione statica e non ancora il tempo che apparentemente scorre della nostra coscienza.
      ma ovviamente sono frasi che sono semplici abbozzi di pensiero.
      rimango assolutamente convinto, assieme a Kant e forse a Nietsche, che il tempo che scorre è soltanto soggettivo: questo tempo siamo noi, non è della natura al di fuori di noi.

      l’alternativa a molti mondi a me sembra una pervicace manifestazione della volontà di non ammettere la natura meramente probabilistica della realtà non osservata; pur di negarlo si vuole credere all’infinita moltiplicazione di mondi tutti reali in ogni istante del tempo; a me pare una pura follia, ma ammetto che è dura ammettere che l’universo non è fondato sull’essere, ma sul non essere.

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      • A me pare sia il tempo inteso proprio in termini tradizionali. Tanto che potrei pensare di integrare per normalizzare la probabilità anche nel tempo. Cioè se per essere sicuro di trovare l’oggetto dovrei integrare sull’universo vale anche su tutto il tempo dell’universo. Quindi lo potrei trovare ora nel futuro e dopo nel passato.

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  2. Salve,
    invitato da Corpus a partecipare alla discussione, trovando qui attinenza a ciò che ho scritto sulla vecchia discussione riguardo il dibattito introdotto da Max Tegmark sulle 4 tipologie di multiverso da egli proposte, vorrei riportare qui il mio precedente contributo. Se vorrete ne potrete trovare un altro lasciato qualche giorno fa.

    Personalmente ho letto il libro di Tegmark solo l’anno scorso, sebbene sia uscito nel 2014 in italiano.
    Devo dire che arrivai a lui vagando nella rete alla disperata ricerca di una fonte cui dissetare i tanti dubbi formati nella mia mente dopo le mie letture e infinite riflessioni. Naturalmente, Tegmark riesce a dare forma con un rigore scientifico e letterario da rendere comprensibile ai più i suoi ragionamenti, ma mi sono accorto che tante mie vaghe intuizioni potevano trovare comodamente posto all’interno di una struttura ordinata. Insomma, se ci hanno pensato degli scienziati di grande calibro, non saranno tutte stupidaggini.
    L’argomento essenziale è stato quello del suicidio quantistico, che porta, inevitabilmente, alla immortalità quantistica (e tutti i suoi paradossi come i cervelli di Boltzmann ecc.). Non riuscivo a togliermi dalla mente che, se la fisica quantistica è vera, ed io non credo al collasso, non per motivi esoterici, ma semplicemente perché non si spiega perché debba avvenire, allora il gatto è sia vivo che sia morto, MA, dal SUO (del gatto) punto di vista, esso, per definizione, essendo osservatore, DEVE essere vivo. E gatto, sappiamo bene, è solo sinonimo di osservatore, quindi possiamo parlare tranquillamente, e a maggior ragione, di uomo cosciente.
    Dirò di più, e qui sfociamo proprio nell’eresia più totale, ma tant’è: A mio modo di vedere, TUTTA la nostra linea di universo quantistico, che NOI, come singolo, sperimentiamo (la tua, di krammer, o dell’omino verde che abita su Andromeda), esiste, nel suo passato, presente e futuro (poiché il tempo è solo una categoria di pensiero con cui il nostro cervello interpreta la dimensione tempo), solo in quanto c’è la singola (nostra personale) coscienza ad osservarlo.
    Mi spiego meglio, o almeno ci proverò. Noi riteniamo che prima di noi, quando non c’eravamo, c’erano di dinosauri, i nostri antenati cavernicoli, i cianobatteri a popolare la Terra, e tutti gli eventi astrofisici che portarono alla formazione del Sistema solare. Orbene, ma se NOI, non fossimo esistiti, ORA, ad osservarne l’esistenza, TU e Krammer, credo converrete che TUTTI quegli eventi e le loro infinite variabili quantistiche, sarebbero rimaste confuse nel limbo della probabilità, quindi nell’insieme del multiverso quantistico. E’ solo la nostra percezione che ci rende partecipi di una linea quantistica apparentemente ‘collassata’. Se questa percezione svanisse, la nostra linea quantistica perderebbe il suo significato. Un universo senza osservatori, per estensione, di fatto non esiste.
    Attendo vostre controdeduzioni, se vorrete farne.

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    • aggiungo al commento precedente il link al precedente post del 2014, dove si può trovare, in fondo alla coda dei commenti, quello di Gabriele, che mi ha indotto a segnalargli anche questo post:
      https://bortocal.wordpress.com/2014/04/23/tegmark-ma-insomma-quanti-sono-i-multiversi-315/

      colgo l’occasione per qualche osservazione allargata anche ad altri commenti:

      1. vorrei dire, in premessa, che l’ampiezza, ma più ancora il livello, di questa discussione mi tagliano fuori per l’insufficienza delle mie competenze; ho recitato qui la parte della persona di media cultura, non specialistica in campo scientifico, che cerca di capire e spera di far capire quel che ha capito.
      alcune intuizioni mie o fantasie, buttate lì con spirito avventuroso e senza nessuna pretesa, lasciano sicuramente il tempo che trovano, ma vanno intese in questo modo.

      2. di questo intervento di Gabriele noto con piacere che concordiamo nel pensare che l’osservazione toglie l’universo che osserviamo dal quadro dei multiversi possibili o probabili e lo rende reale, ma reale sempre soggettivamente per noi, beninteso: realtà che è quella condivisa, peraltro.

      3. non entro in discussioni più fini perché non ne sono in grado, ma continua a persuadermi l’idea che l’osservazione agisca sulla funzione d’onda della probabilità, facendola collassare su una soluzione determinata, dato che interviene come operatore Hamilton, visto che ogni osservazione comporta un uso di energia.

      4. siccome è l’uso dell’energia che fa intervenire la seconda legge della termodinamica e DUNQUE crea delle relazioni statisticamente irreversibili che nell’osservatore vengono percepite come irreversibile scorrere del tempo, il collasso della funzione d’onda – a cui provvisoriamente mi verrebbe da credere – non avviene NEL TEMPO – lo dico a Fla -, ma al contrario CREA IL TEMPO.

      5. che l’osservazione avvenga in prevalenza attraverso la luce e dunque facendo riferimento alla sua velocità, mi parrebbe pacifico; è vero che ci sono forme di trasmissione dell’informazione che avvengono ad altre velocità, ma tutte sono inferiori e dunque descrivibili come frazioni della velocità della luce che rimane, credo, il punto di riferimento fondamentale.

      6. resto ancora affezionato all’idea che la grandezza fondamentale che fonda l’universo che percepiamo sia dunque la velocità in generale, ma la velocità della luce in particolare, proprio per quanto detto sopra al punto 2. in sostanza, se è l’osservazione che rende il mondo reale, possiamo dire che è la velocità della luce che rende il mondo reale, perché lo rende osservabile.

      7. probabilmente sto dicendo delle sciocchezze e al momento non mi sento di andare avanti a dirne altre; vi leggo: a volte capisco, a volte no, ma resto sempre in attesa che succeda, fiducioso che questa strana sede offerta al vostro dibattito produca dei chiarimenti anche per me, che sono incompetente.

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      • 4. le funzioni d’onda per definizione sono dipendenti solo dalle coordinate spaziali e dal tempo Ψ(r,t). Ma qua ci sono persone più esperte di me e mi possono correggere. Quindi non c’è nessun tempo che viene creato.

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        • non sono io certamente la persona più esperta di te che ti può correggere, e accetto le correzioni di chi ne sa più di me.

          però sei sicuro che non stai interpretando quella formula alla luce della visione tradizionale dello spazio e del tempo?

          il tempo di cui si sta parlando in questa formula non potrebbe essere quello della quarta dimensione, che non ha ancora assunto la sua apparenza di tempo che scorre per l’osservatore?

          io non sto negando il tempo, come mi pare che tu stia dicendo qua e là, sto negando la verità dell’apparenza che il tempo assume per l’osservatore, o meglio ancora sto dicendo che il tempo concepito così è soltanto nell’osservatore: è una creazione della sua mente
          – e non sono certo neppure il primo a farlo, dato che per primo lo fece Kant più di 200 anni fa.
          rispetto a Kant, che lasciava nel vago il motivo di questo stato di cose, oggi è venuto Rovelli che spiega che cosa succede anche da un punto di vista fisico, per via della seconda legge della termodinamica e dell’entropia, e perché mai la mente umana cade in questa penosa illusione.

          io, semmai, nel momento in cui dico che l’unica realtà che acquista la natura di esistente è quella osservata, pongo qualche base per una rivalutazione della sostanza del tempo come flusso, che diventa reale ed esiste proprio perché soggettivo e solo percepito.

          ciao!

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          • https://it.wikipedia.org/wiki/Funzione_d%27onda?wprov=sfla1

            Guardando la funzione d’onda ho sempre interpretato “t” come tempo tradizionale. E più che altro se ne sta li tranquillo senza dare troppo nell’occhio. A questo punto sono curioso anch’io. Vediamo se qualcuno vuole chiarirci questo punto.

            Tu sostieni che l’intera realtà sia soggettiva. E in parte hai ragione, se non altro perché i nostri sensi sono limitati e siamo vittime si banali illusioni ottiche. Il fatto che più e più volte siamo riusciti a trovare descrizioni logiche anche contrarie alle nostre esperienze dirette fa sospettare che qualcosa di più oggettivo possa esistere. Dove sta la verità? Probabilmente dovremo per sempre accontentarci di un misto.

            Io non sostenevo che il tempo non esiste. Ma che nella struttura oggettiva (quantomeno nel nostro modello) lo dovremmo interpretare diversamente. In particolare che l’informazione possa risalire nel senso contrario dal futuro al passato e che alcuni fenomeni siano proprio eventi al contrario. Con l’entanglement l’informazione viene trasportata in modo istantaneo, infinitamente più veloce di c. Altri fenomeni, soprattutto quando la dimensione spaziale è molto ridotta, spaziano oltre il presente per cui l’incertezza nella posizione è dovuta più che altro a questa caratteristica.

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            • purtroppo devo trascurare l’articolo di wikipedia per assoluta incapacità di capire le formule matematiche; grazie comunque per avermelo indicato.

              per la prima parte delle tue osservazioni, forse Feynman ci potrebbe aiutare…

              per la seconda parte: se distinguiamo tra il tempo immobile substrato dell’universo potenziale e il tempo in movimento dell’universo osservato, che diventa reale per l’osservatore, forse troviamo la risposta.

              se il tempo è una dimensione immobile, niente impedisce il contatto e l’influsso potenziale al suo interno tra realtà diverse, indipendenti dall’osservazione.
              ma se il tempo che si costituisce con l’osservazione scorre, questo permette di accettare solo gli influssi coerenti con la freccia del tempo in cui scorre l’osservatore.

              in poche parole quelle correlazioni estranee e perfino opposte alla freccia del tempo non solo possono darsi nel mondo potenziale che precede l’osservazione, ma certamente si danno davvero.
              solo che l’osservatore, condizionato dall’entropia, non le può osservare scientificamente, salvo eccezioni altamente improbabili.

              in sostanza, gli eventi al contrario esistono certamente nell’universo potenziale, ma l’osservatore non può vederli e quindi neppure renderli scientificamente reali; magari può intuirli o immaginarli, ma non li può osservare, perché nella sua realtà semplicemente non esistono.

              poi ne vede magari i risultati, ma senza poterli capire.

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              • Non nego le impressioni che i nostri sensi ci danno. Dicevo solo che una realtà origine ideale non si può escludere. E che le leggi fisiche devono occuparsi di quello. Il tempo che utilizziamo sempre in fisica appartiene al soggettivo più che oggettivo di cui ne è un’approssimazione molto accurata.

                Se solo l’osservabile esiste allora dovremmo escludere anche molte particelle del microcosmo, oggetti massici oppure “oscuri” del macrocoamo come tante antre cose che riusciamo a individuare solo indirettamente attraverso strumenti ausiliari.

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                • caro fla, scusa se mi intrometto, ma ho letto il commento senza notare che era indirizzato a Krammer e la risposta mi è germogliata da s? e adesso mi dispiace buttarla via.

                  1, “una realtà origine ideale non si può escludere”, d’accordo, ma diciamo pure che la nostra mente non può fare a meno di pensarla e quindi NON SI DEVE escluderla. non è su questo che ci stiamo accapigliando, ma su un altro punto: questa origine ideale del mondo che conosciamo è reale, oggettiva, determinata? il mondo, per dire, nasce dall’Essere di Parmenide, cioè da un assoluto rigido e fermo che causa meccanicamente tutto il resto, oppure la sua matrice è probabilistica e assomiglia piuttosto al Caos primigenio che gli antichi greci ponevano all’origine del mondo? solo Galilei, in parte, e soprattutto Newton hanno concepito il mondo in questo modo meccanicistico e gli si è andati dietro fino ad Einstein compreso. e alla radice ci sta l’idea di un Dio creatore, un assoluto Essere che da Aristotele ha permeato il cristianesimo passando attraverso la visione tomistica. ma forse si tratta di recuperare la visione originaria del mondo come fondato sull’incertezza che ne hanno avuto tutte le altre culture e civiltà umane. Anassimandro, che è all’origine della riflessione scientifica occidentale, diceva che il mondo è fondato sull’apeiron: si traduce di solito con “infinito”, ma “indeterminato” è una traduzione più accurata.

                  2. tutto quello che riusciamo ad individuare indirettamente è comunque osservabile, naturalmente. osservabile non vuol, dire visibile direttamente.

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                  • Secondo me ti stai arroccando su una posizione dove ti aspetti che sostenga che sotto ci sia qualcosa di fisico, materiale, tangibile.

                    No. Se tempo e massa confluiscono in spazio la risultante è una struttura nulla dove l’unica cosa che esiste è l’informazione, la relazione tra stati. Ma questa non è casuale, probabile. Dev’essere una struttura stabile che segue delle regole, per quanto complesse.

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                    • secondo me invece sei tu che ti arrocchi 🙂 e ti contraddici da solo! 🙂

                      “Dev’essere una struttura stabile”, dici, per sfuggire forse all’ansia che ti crea ciò che è “casuale, probabile”.

                      ma ciò che è probabile, “segue delle regole, per quanto complesse”, come vuoi tu: solo che queste “regole” a noi umani non danno nessuna certezza assoluta.

                      il mondo sembra costruito da un dio buono che ha voluto combattere il dogmatismo, anche quello degli scienziati, e che dice anche a loro: “di doman non v’è certezza”.

                      poi, certo, un ingegnere deve comunque costruire ponti, funivie o altro, che stiano in piedi…

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                    • Tra le probabilità in un sistema c’è sempre quella opzione remota “dove salta tutto”. Se questo va bene per un elettrodomestico, non è sostenibile per l’universo.

                      Non sostengo comunque l’esistenza di divinità razionali, ma solo di meccanismi della natura superiori a noi. Però capisco anche che come detto in precedenza siamo nell’umanesimo, il mondo in cui l’uomo pensa di farsi Dio 🙂 .

                      Per me non siamo che naviganti che devono curiosare per orientarsi. Non abbiamo controllo sull’oceano.

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                    • Ma come appunto? Ti ho appena detto che un sistema basato sulla probabilità alla lunga è instabile. Dovresti controbattere.

                      Immagino tu faccia riferimento al video che dovevo tradurti. Mi sono affidato alla probabilità che avresti trovato un modo da te 😀 . Questa è una dimostrazione che il probabile porta a risultati sbagliati.

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      • Innanzitutto vorrei chiarire che anche io non sono un ‘addetto ai lavori’, ma soltanto una persona curiosa che si interroga sul cosa vede, sul chi o cosa è, e quale è il suo ruolo in questa realtà, ma anche sul perché debba esistere una realtà, come si chiedeva Leibniz.
        E non voglio arrendermi all’analfabetismo scientifico, sebbene non possegga gli strumenti matematici che sarebbero indispensabili, ma forse, anche eccessivi per una comprensione non di dettaglio e più generale.

        Personalmente, ho accarezzato questa ipotesi, proprio in riferimento all’argomento che sono andato a toccare, un’ipotesi che non ho mai ritrovato in altri autori, ma forse ho scoperto l’acqua calda.

        Il nulla, per definizione, è ciò che non esiste. Come ben sapete, mi fa uno strano effetto scriverlo in un consesso dove sembra di ripetere l’ovvio, anche uno spazio vuoto è tutt’altro che ‘nulla’.
        In effetti, possiamo dire con ragionevole certezza, sulla base di ciò che sappiamo, che il nulla ‘non esiste’. Sembra una tautologia. Me ne rendo conto.
        Il punto è che, qualunque cosa, anche fosse inconcepibilmente diverso, per la nostra mente di primati, possa ‘esistere’, e sappiamo che il nulla è troppo perfetto per poter esistere a causa dell’indeterminazione quantistica, che comprende ogni genere di campo, e compreso lo spaziotempo nella sua variabilità dimensionale.

        Quindi, da un lato abbiamo un’entità puramente concettuale, non dotata di esistenza, che è il nulla, dall’altra Tutto il possibile. Fosse anche un universo di dimensioni inferiori a quelle di Planck, esso è ‘qualcosa’.
        Ecco, quindi, che il problema del perché c’è qualcosa e non nulla, si risolva semplicemente sostenendo che il nulla, concettualmente ‘c’è’, ma in quanto per sua natura, non può trovare ‘esistenza’ (altrimenti non sarebbe nulla). Stiamo sprofondando in una palude linguistica.
        Laddove c’è qualcosa, sull’altro lato della medaglia, c’è Tutto, e questo tutto comprende anche universi con osservatori. Non solo, solamente gli universo con osservatori potranno uscire dalla nebulosità quantistica, e, in un certo senso, sono ‘creazioni’ dell’osservatore. Non che li crei, essi semplicemente ‘esistono’, ma la Sua percezione li rende Per Lui solo, reali, e unici, e distaccati in maniera assoluta dagli altri.

        Questa, grosso modo, la mia idea.

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    • la mia non è una controdeduzione – queste verranno probabilmente da qualcun altro -, perché sono sostanzialmente d’accordo con tutta la linea di pensiero esposta (e con gli stessi limiti di formazione mia, ma condividendo gli obiettivi: non possiamo rassegnarci alla totale incomprensibilità della scienza oppure dobbiamo ammettere che, se la scienza è incomprensibile, la superstizione dilaghi).
      dissento soltanto su un punto: il collasso della funzione d’onda.
      come ho appena osservato in qualche altro commento, ogni osservazione comporta impiego di energia, dato che modifica la realtà osservata (il principio di indeterminazione di Heisenberg trova il suo fondamento qui).
      questo impiego di energia dunque agisce sulla funzione d’onda come operatore che ne determina il cosiddetto collasso, cioè l’assunzione probabilistica di un valore determinato…
      niente osservazione, niente collasso, cioè niente nascita di una “realtà” determinata probabilisticamente dall’osservazione.

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      • Io invece ricordo abbastanza bene che tutta questa macroindeterminazione non c’era mai stata nelle intenzioni di Schrödinger. Quello del gatto era uno scherzo finito purtroppo nella storia con effetti disastrosi 😀 .

        L’indeterminazione esiste ma solo per oggetti molto piccoli. Non è che un pianeta se non osservato non esiste.

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        • caro fla, d’accordo sulla battuta di Schroedinger, che ha avuto successo come affermazione scientifica soltanto perché la poteva capire anche un uomo comune.

          l’indeterminazione esiste anche per oggetti via via più grandi, ma con indici di probabilità fortemente decrescenti, fino a renderla praticamente impossibile; però non può mai essere esclusa del tutto in linea teorica. questo forse potrebbe spiegare non soltanto alcuni fatti eccezionali, classificati poi dalla superstizione come miracoli, sia forse in parte anche la continua mutabilità delle misurazioni, che mi pare costituisca il primo punto di ogni corso di fisica.

          quanto ad un pianeta molto piccolo che esiste anche se non osservato, accettiamo pure questo punto di vista; ma il vero problema non è questo: il problema è che un universo non osservato non esiste; poi dentro l’universo osservato ed esistente c’è posto anche per qualcosa non ancora osservato eppure esistente.

          ma tutto ciò che è aldilà della distanza tra noi e lo spazio percorso dalla velocità della luce attorno a noi dalle origini dell’universo, esiste oppure no?
          l’impossibilità di rispondere scientificamente sì a questa domanda, basta da sola a dimostrare che l’esistenza dell’universo è soggettiva, dato che non è pensabile che l’universo sia una sfera costruita avendo come centro noi che lo osserviamo.

          in altri termini, se è mai esistito un big bang, non è altamente sospetto che noi siamo proprio al suo centro, e non in un qualunque punto eccentrico dell’universo che il big bang avrebbe creato?

          ma allora dov’è il centro del big bang, visto che non riusciamo a individuarlo?

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          • La probabilità di sparare un gatto contro due fenditure e osservare una figura di interferenza è talmente bassa che al massimo interferenza ce l’avrò perché il gatto è esploso all’arrivo contro il muro 🙂 .

            L’interminazione è talmente insignificante già per un gatto al punto che è al 99.99% trascurabile. Schrödinger intendeva dire esattamente questo. Il gatto è vivo OPPURE morto e non entrambe le cose contemporaneamente. E semplicemente troppo grande per essere in uno stato di sovrapposizione di stati.

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              • La meccanica quantistica ti dice che il gatto è SIA morto CHE vivo prima di aprire la scatola. Non che sia indeterminato. Ma che sia entrambe le cose contemporaneamente.

                Secondo me stai prendendo una strada a senso unico. Ma siamo nell’era dell’umanesimo dove la centralità dell’uomo (soggetto) è totale. Immagino che dovremo accettare anche teorie dove l’universo esiste solo solo quando osservato da coscienze. Però a questo punto spiegami dove si trova la coscienza, proprio fisicamente.

                😉

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        • Perdonami, ma perché le leggi che regolano il micromondo dovrebbero smettere di valere nel macromondo? Dove è il confine, e perché ciò avverrebbe?
          La decoerenza quantistica non è una risposta soddisfacente ai nostri fini. L’universo intero, per definizione, è un sistema isolato, e quindi quantistico.
          Naturalmente so che non puoi rispondere a queste domande, sono tra i misteri più profondi della fisica, ma si tratta di pour parler tra diverse idee.

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          • Avviene perché le nostre teorie sono imperfette. Valgono all’interno di una serie precisa di condizioni. Questo è un punto cardine non discutibile della scienza.

            Gli effetti quantistici perdono significato nel macrocosmo così come la relatività lo fa nel microcosmo.

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      • Concordo. La mia grande domanda è, quando una coscienza è tale per cui ‘crea’ (o forse dovrei dire ‘seleziona’) un universo, il proprio universo che condivide, parzialmente (ricordiamo che l’informazione impiega un tempo, piccolo, ma significativo, anche a percorrere le piccole distanze tra due persone che parlano), con altri osservatori, o anche, che forse è molto simile, quanto deve essere grande la particella prima che non si manifesti più l’onda di probabilità nell’esperimento della doppia fenditura?
        E questo mi porta anche a dire, se un universo può essere solo se osservato dall’io (voi avrete il vostro universo in quanto lo osservate, molto simile, o del tutto simile al mio, ma se io non esistessi, il mio, l’universo che osservo, non esisterebbe), e NON importa che uno venga ad esistere dopo miliardi di anni dal big bang (sappiamo da esperimenti di doppia fenditura condotti con la luce che arriva da galassie lontane miliardi di anni luce che l’osservazione Adesso va ad incidere su quella lontana luce emessa miliardi di anni fa), allora esso NON può cessare di essere, quindi, come conciliamo questo con la fine della coscienza?
        Si vedranno certo tanti nostri simili osservatori morire, ma l’osservatore IO, che altri osservatori vedranno morire, non può, teoricamente, morire, poiché se esso non fosse, allora non avrebbe osservato l’universo a priori, nemmeno ‘prima’.
        Ma fino a che punto è valida questa teoria? Un cervello lesionato e incapace di comprendere, sarebbe ancora un ‘osservatore’? Un cervello estratto dalla scatola cranica, come in qualche esperimento con le scimmie fatto decenni fa, privo di ogni connessione sensoriale, sarebbe ancora un osservatore?
        La mia risposta, per ora, è che tutti questi eventi che portano ad una degradazione, e poi alla morte della coscienza, come Tegmark dice che la morte è un processo a più livelli e alla fine ciò che si spegne è il cervello di un’ameba, sono processi che si sviluppano in quelle realtà quantistiche dove il cervello alla fine perisce, MA, ci sarà sempre una linea (in realtà infinite, ma asintoticamente tendenti allo zero rispetto al totale), in cui il cervello si mantiene in grado di svolgere il suo ruolo di osservatore.

        Fatemi sapere i vostri pareri, grazie.

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        • in estrema e brutale sintesi: l'”osservatore” non è soltanto umano; osservatore è chiunque interagisce; anche un gatto “crea” un universo, ovviamente felino. anche una pianta. perfino un sasso.
          quello che chiamiamo universo è la sovrapposizione o l’intersezione degli innumerevoli universi “osservanti” o interagenti.
          l’assenza di una di queste infinite fonti di osservazione è totalmente trascurabile e non modifica l’equilibrio complessivo di realtà dell’universo, che è data dalla somma delle realtà soggettive e non da una singola di loro.

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  3. e pongo un ulteriore questione perchè tra un poco crollo e domani me la sarò dimenticata:

    nella teoria della relatività la massa è una sorta di energia iperconcentrata, dove materia ed energia sono volti differenti della stessa “sostanza” composta da uno zoo di particelle quantistiche o di campi quantizzati, in ogni caso non-localizzati.
    la materia ha massa e questa produce la forza attrattiva gravitazionale, viceversa trovo interessante considerare l’energia – priva di massa – come la controparte repulsiva, una forza che agisce sulla materia spingendola invece che attraendola a sè.

    potremmo sostenere senza dire eresie che la velocità è l’unico parametro fisico che determina se un sistema quantistico macroscopico sia attrattivo piuttosto che repulsivo?

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    • PS: la gravità però oltre una certa massa attira anche la luce e dunque l’energia, oltre la singolarità imposta dal limite di velocità della luce. mah, probabilmente la mia idea sopra è troppo meno lineare di quanto sperassi…

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      • ok ora ho le idee più chiare o almeno così mi piace immaginare: gli operatori in campo sono velocità ed energia, da questi credo dipenda se una sistema quantistico possa manifestarsi in forma con massa o priva di massa (fermioni oppure bosoni), e dunque riprendendo il ragionamento iniziale attrattiva o repulsiva.
        bisogna ricordare sempre che energia = massa x velocità al quadrato quindi queste 3 variabili relativistiche sono intrinsecamente connesse se studiate con la lente quantistica, e la velocità assurge al ruolo di turbo piuttosto che di zavorra al motore,
        notte passo e chiudo

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        • mi sono accorto soltanto alla fine del primo commento che era rivolto a fla.
          su questo devo soltanto osservare che parlare di caso non è parlare di probabilità: la nostra mente sa soltanto parlare di causa-effetto rigidamente determinata, e se non riesce ad individuarla, allora ricorre all’idea del caso. ma sono due esemplificazioni, entrambe comode per una mente limitata.
          la verità sta in un concetto intermedio, che è quello della probabilità: niente è totalmente casuale, perché la probabilità è pur sempre definita, anche se molto più difficile da calcolare; ma niente è totalmente determinato, perché la probabilità rende più indeterminato il rapporto, pur se sempre entro certi limiti.

          sugli altri commenti, grazie di seguire quella specie di abbozzo di intuizione che ho buttato lì: assumere la velocità come grandezza base. non so se possa portare davvero da qualche parte nuova; mi mancano gli strumenti matematici per proseguire.

          però a proposito di questa centralità, osservo che dalla Velocità, in questo caso in particolare della luce, si possono ricavare non soltanto lo spazio e il tempo, ma anche massa e velocità.
          se l’Energia = Massa x Velocità (della luce) al quadrato, secondo la celebre equazione di Einstein, allora quella Velocità al quadrato è l’Energia divisa per la Massa, cioè la Velocità della luce = radice quadrata di E/M. e la Massa è l’Energia divisa per la Velocità al quadrato.
          dividendo l’Energia con la Massa, troviamo il quadrato della Velocità della luce.
          e dividendo l’Energia con il quadrato della Velocità della luce troviamo la Massa.
          ma mi è difficile capire il significato profondo di queste formule: come mai la Velocità della luce, perdipiù elevata al quadrato, ha un ruolo cos’ determinante?
          forse perché è alla velocità della luce che si compie l’osservazione e dunque si costituisce la nostra realtà?

          qualunque velocità è in grado di generare il tempo e lo spazio (vuoti), ma soltanto la velocità della luce moltiplicata per se stessa appare in grado di generare la massa e l’energia, cioè di riempirli.
          che cosa vuole dire?

          grazie, infine, della splendida intuizione che assumendo la velocità come grandezza di riferimento si sceglie qualcosa che sottende sia alla forza di attrazione gravitazionale, sia alle forze di repulsione, che assumono una natura di base unica…

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          • no in realtà questo secondo piccolo troncone di risposte erano rivolte più che altro a te o al post in generale, più che a fla.
            ma cambia nulla a chi è rivolto: è rivolto a chi lo vuole leggere 🙂
            vedi che di nuovo mi sono dilungato in una nuova risposta a fla ma anche quella come la mia prima è rivolta in realtà a tutti, ero solo partito per rispondere a fla, poi ho preso la tangente 😛

            mi sento di risponderti con decisione solo su questo:
            “forse perché è alla velocità della luce che si compie l’osservazione e dunque si costituisce la nostra realtà?”
            assolutamente no. se parli di osservazione normale sicuramente centra la velocità della luce ma in propagazione su mezzo non vuoto, ovvero luce che no viaggia alla velocità della luce 😉
            la velocità della luce è un limite matematico astratto sperimentato con tutta l’approssimazione possibile nel ricreare il vuoto – il modo più facile è osservare la luce dall’immensità del cosmo, ma anche il cosmo è tutt’altro che vuoto 😀
            la luce in realtà non viaggia quasi mai alla velocità della luce, non nei “mondi” da noi abitati.
            e poi l’osservazione che provoca il collasso, se la intendi alla rovelli, è l’evento di interazione quantistica che scambia energia-informazione attraverso le particelle e questo atto è sempre istantaneo, il collasso della funzione d’onda non una una durata temporale. si verifica, accade. e poi accadono di rimbalzo altre trasformazioni energetiche attraverso altre particelle quantistiche.

            elevare al quadrato una misura non è una semplice moltiplicazione che ne ingrandisce il valore, può assumere invece significati matematici molto profondi. la velocità si può mettere in relazione al proprio quadrato operando una funzione di integrazione su di essa ad esempio: l’integrale di x = 1/2 x^2 + c.
            l’integrale operato su di una funzione equivale ad una sorta di accumulatore, se dovessimo banalizzare il significato matematico della teoria dell’analisi numerica.

            forse sbagliavo a porre l’accento sull’energia come dimensione fondamentale assieme alla velocità, perchè l’energia di un oggetto si può associare all’integrale della velocità moltiplicato per la sua massa.
            forse le dimensioni fondamentali sono la velocità e la massa: dove la velocità è da intendersi piuttosto come frequenza (che è l’inverso della velocità) e la massa determina l’intensità di un fenomeno, la sua probabilità di accadere.
            ecco che abbiamo rivoltato la frittata dando una costruzione fisica della realtà sperimentabile che si fonda nel dominio della frequenza (ondulatoria) e non dello spazio (discreto).
            ci penserò nei prossimi giorni, pensieri alla rinfusa 🙂

            ciao notte

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            • grazie per la prima obiezione, ma mi pare enfatizzi un elemento marginale.

              se penso che la velocità della luce (nel vuoto, ok) è l’unica grandezza assoluta che non viene modificata da nessun’altra, non avrei dubbi a considerarla come il fondamento dell’universo che conosciamo.

              tutto il nostro universo è velocità della luce; da questa derivano lo spazio e il tempo; in relazione al suo quadrato si costituiscono la massa e l’energia.
              in questo caso forse occorre il quadrato, perché dalle prime relazioni semplici nasce il vuoto e da queste seconde al quadrato nasce il pieno.

              come vedi, non abbiamo bisogno di qualche secondo elemento fondamentale che stia alla base del mondo: basta la velocità della luce.

              cioè la velocità di trasferimento dell’informazione, una volta che sia costituito lo spazio-tempo.

              penso che da ultimo tu abbia detto delle cose affascinanti e interessanti, però non sono in grado di seguirti matematicamente per i limiti della mia preparazione.

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              • direi che stiamo parlando di concetti diversi: tu parli di misure, discrete e definite, per quanto siano costanti più o meno universali.
                una misura implica la misurazione e la misurazione implica un atto, un processo, e conseguentemente uno scambio energetico.

                io parlo invece di dimensioni, che sono il presupposto per qualunque misura e sono puramente concettuali, strutturali. la scelta delle dimensioni delimita il “campo di gioco” dentro cui vogliamo operare.

                le dimensioni classiche dello spazio e del tempo sono intuibili per nostra natura umana ed abbiamo infatti descritto l’universo con tali parametri base, ma come avevo maldestramente provato a scrivere nei reply precedenti le dimensioni spaziotemporali classiche non sono l’unico modo per poter rappresentare l’universo (vedi l’esempio che avevo fatto delle trasformate nel dominio di frequenza, a partire dal dominio spaziale).
                modificando la struttura dimensionale si modifica la struttura matematica che fonda la teoria ma i risultati non devono cambiare, si tratta solo di modalità differenti di rappresentare lo stesso concetto e la stessa regola – ad esempio il meccanismo di interazione tra corpi – utilizzando metriche dimensionali differenti, operando quelle che in matematica si chiamano trasformate.

                una formula la posso definire in funzione del tempo o dello spazio così come della frequenza, o in base anche ad altri parametri.
                manipolando concetti come materia ed energia si potrebbe prendere come riferimento dimensionale per le equazioni la velocità, la frequenza, la pressione, la densità e tanti altri parametri, per quanto tutti derivino originariamente da semplici combinazioni in funzione di spazio e tempo.

                in matematica la dimensione è solo un parametro convenzionale di campo e manipolando le formule è possibile riprodurre la stessa equazione descrivendola in base a parametri dimensionali differenti, tra loro correlati.
                quello che tentavo maldestramente di fare era immaginare un sistema descrittivo dell’universo che si smarcasse dalle variabili spaziotemporali classiche – che con la relatività abbiamo visto essere avviluppate ed interdipendenti l’una all’altra – con altre dimensioni che trascendessero il limite relativistico di rappresentazione (che comporta singolarità ed infinito, nella teoria).

                la velocità è sicuramente un buon candidato all’appello: ma io parlo di velocità come dimensione di misura, non di c=299792458 m/s = velocità della luce nel vuoto.

                insomma parlo di dimensioni strutturali fondanti la teoria, mentre tu parli di costanti universali che sono semplici numeri magici, senza significato se estrapolati dalla teoria di riferimento.

                perchè due parametri e non solo uno chiedi? per nessun motivo, solo per ipotesi. i miei sono ragionamenti puramente matematici con l’unico vincolo che il modello resti sperimentabile e che non contraddica la misurazione.
                magari ne basta una di dimensione, o magari ne servono 3 o 4: dipende anche dalla costruzione matematica a cui ci si appoggia, che a sua volta dipende da cosa intende descrivere fisicamente quel modello.

                se voglio descrivere l’estensione spaziale dovrò ovviamente tenere come base dimensionale del modello lo spazio.
                ma se voglio descrivere un’energia potrei svincolarmi dallo spazio e dal tempo e considerare il solo parametro composito di velocità.
                è vero che la velocità dipende intrinsecamente per definizione dallo spazio e dal tempo, ma una misura di velocità non definisce di per sè una misura di spazio nè di tempo: definisce solo il loro rapporto.
                entrando in ambito relativistico l’aumento della velocità distorce il tessuto dello spaziotempo perchè questi sono mutualmente correlati tra loro, quindi mantenendo la sola velocità come parametro di calcolo del modello ci si può smarcare dalla complicazione relativistica (che non sarebbe pertanto descritta nel modello, il modello vuole infatti descrivere altro).

                “tutto il nostro universo è velocità della luce; da questa derivano lo spazio e il tempo; in relazione al suo quadrato si costituiscono la massa e l’energia.
                in questo caso forse occorre il quadrato, perché dalle prime relazioni semplici nasce il vuoto e da queste seconde al quadrato nasce il pieno.
                come vedi, non abbiamo bisogno di qualche secondo elemento fondamentale che stia alla base del mondo: basta la velocità della luce.”

                scusami ma questo blocco che hai scritto è totalmente privo di riscontro, l’unica frase che ritengo corretta è quella che mette in relazione il quadrato della velocità alla massa/energia.
                comunque penso di aver capito la tua idea base ma non spiega in alcun modo il fenomeno sperimentale!

                “cioè la velocità di trasferimento dell’informazione [la velocità della luce], una volta che sia costituito lo spazio-tempo.”

                non è vero che tutta l’informazione si trasferisce alla velocità della luce.
                a parte per la debole obiezione che ti ho già fatto (nulla si propaga veramente al limite della velocità della luce, nemmeno la luce stessa a conti fatti, il vuoto assoluto non esiste), ma l’informazione si propaga anche attraverso mezzi differenti.
                ad esempio la pressione – il suono – è di fatto informazione e non c’entra niente il segnale elettromagnetico in questo caso (trascurando interazioni le interazione energetiche che anche il suono produce, ma non influiscono di fatto sull’informazione sonora trasmessa e sulla sua velocità di propagazione).

                ciò che è vero – per gli attuali modelli fisici – è che nessuna informazione si può propagare ad un velocità maggiore di quella della luce, che ripeto è solo un limite matematico del modello.

                c’è un passaggio di fondo che sfugge, provo a spiegarlo: l’informazione può essere considerata, di per sè, come descrittiva dello stato di un sistema (potrebbe essere l’insieme delle variabili di stato che descrivono un sistema, la sua funzione d’onda ad esempio), come può essere considerata in senso trasmissivo, ovvero di segnale prodotto da un sistema emettitore e ricevuto da un sistema ricevitore.
                si parla sempre di informazione, ma è ben diversa dalla prima perchè qui viene attualizzata in un processo fisico, quello appunto di propagazione del segnale.

                come abbiamo detto qualsiasi processo fisico comporta almeno uno scambio energetico tra sistemi, compreso la trasmissione di informazione che aumenta l’entropia del sistema complessivo.
                e come si caratterizza l’informazione trasmessa, il segnale? oltre ad essere di per sè una forma di energia (dipende dal tipo di propagazione e dal mezzo), qualsiasi segnale – e dunque qualsiasi trasmissione di informazione – è modellabile matematicamente come un onda.
                l’informazione ricevuta non si ottiene dallo stato istantaneo del segnale bensì dalla sua variabilità periodica: l’informazione deriva dalle differenze del segnale ricevuto.
                anche il semplice impulso non avrebbe significato se non fosse preceduto e seguito da un segnale uniforme opposto. Non riconosci l’informazione temporale di “acceso” se nel segnale non ricevi anche lo stato di “spento” negli altri momenti.
                Non è così diverso dal rilevare una particella: il quanto energetico manifestato in un determinato istante sul rilevatore (“acceso”) non è presente nè prima nè dopo quell’istante (“spento”).

                l’informazione nel senso fisico-trasmissivo è determinata da interazioni, da processi che scambiano energia tra sistemi: è attraverso questo scambio energetico che A trasferisce informazione sul proprio stato a B.
                in tal senso l’informazione non si può propagare più velocemente di c: non conosciamo altri campi reali più efficienti di quello elettromagnetico per trasmettere, ed il campo elettromagnetico è veicolato dal fotone che ha in c il suo limite..

                l’effetto di entanglement sembra violare questo vincolo ma non se lo si spiega nell’ottica vista sopra.
                il “cambio di stato” immediato di due sistemi entangled A e B non sarebbe infatti un trasferimento di informazione: per trasferire informazione c’è bisogno di sistemi non correlati che scambino energia.
                invece il cambio stato sia di A che di B è immediato perchè quei due sistemi, in relazione alla variabile entangled, sono in realtà _lo stesso sistema_ anche se stanno a miliardi di anni luce di distanza.

                insomma l’informazione la si può considerare nella sua accezione statica, pura descrizione delle variabili di stato di un sistema, oppure nella sua accezione dinamica, ossia di trasmissione energetica tra sistemi.
                sempre di codice descrittivo si parla, ma da un lato c’è interazione e dall’altro no.

                nel concreto ogni sistema fisico è aperto e dinamico nell’universo e non ne possiamo conoscere alcuno stato senza una misurazione diretta o indiretta, pertanto non ha un significato pratico parlare di informazione pura, intrinseca, di un sistema: ogni informazione concreta è sempre frutto di interazione e trasmissione energetica.
                l’alternativa sarebbe definire lo stato di un sistema senza misurarlo, il che equivarrebbe ad immaginarlo e basta: la chiamiamo informazione potenziale?

                il sistema ha uno stato caratteristico indipendentemente dalla nostra misurazione umana – può essere anche uno stato quantistico non determinato ma probabilistico, s’intende – pertanto il concetto di informazione dovrebbe essere considerato a mio avviso nella sua completezza: non solo nell’ attuazione trasmissiva ma anche in tutta la sua informazione potenziale non propagata (o non ricevuta).

                comunque, equipariamo pure l’informazione con la sola energia coinvolta nella sua trasmissione, e dunque l’informazione deriva dalla variabilità dinamica di questa energia che interagisce con il ricevitore.
                se parliamo di energia trovo curioso che, in tal caso, si considerino tutte le sue componenti: non solo quelle attuative, che producono un lavoro, ma anche l’energia di stato e quella potenziale.
                l’energia totale del sistema è la somma di tutte queste componenti.

                ma perchè quando parliamo di energia consideriamo reale e concreta anche la sua espressione in potenza, mentre parlando di materia in senso quantistico ci riferiamo ad essa solo nella sua forma attuativa, circoscrivendola al solo collasso della funzione d’onda, e non consideriamo invece tutti gli stati potenziali che quel quanto può assumere?

                di nuovo non trovo sensato discriminare nella materia il solo suo realizzarsi con la misurazione, mentre nell’energia si considera sempre anche la sua componente virtuale, potenziale.
                sempre per tornare all’interpretazione molti mondi 🙂

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                • scusa se ti rimando alla risposta a Gabriele in cima all’attuale coda dei commenti: in forma sintetica fa il punto anche rispetto a quello che ho capito di questo tuo intervento.

                  ma in estrema sintesi penso che il concetto generale di velocità sia in grado di generare in generale uno spazio tempo generico.

                  invece la velocità della luce, caso specifico, è in grado di generare proprio il nostro universo osservato.

                  quindi i due concetti si applicano diversamente.

                  noi viviamo in un universo dove la luce ha proprio quella velocità lì ed è lo strumento fondamentale della trasmissione delle informazioni.

                  ciao.

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      • mi inserisco solo per complicare ulteriormente le voatre considerazioni. La Gravità non è assolutamente una Forza. Non c’è nessuna forza che vi tiene ancorati alla Terra. State semplicemente seguendo la traiettoria più breve nello spazio-tempo curvo.

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        • Non è proprio così, fla. La rappresentazione geometrica è funzionale, e del tutto coerente rispetto ai calcoli, per cui possiamo prevedere il comportamento dei corpi, ma tutta la ricerca sperimentale si sforza di trovare prove negli acceleratori degli sfuggenti gravitoni, e quella teorica di ricomprendere queste particelle di forza mediatrici in teorie più semplici del modello standard, che comunque le comprende.

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          • Meccanica Quantistica e Relatività Generale non vanno proprio a braccetto. La gravità è un campo di battaglia aperto. Da un lato geometrico dall’altro mediato. Io tendo a sostenere che il geometrico sia l’interpretazione giusta. Anzi l’intero universo è geometrico compresa la materia e il tempo, soltanto di complessità maggiore.

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  4. per fortuna che non avevi più pubblicato la mia risposta borto, perchè questa la umilia 😀

    preziosissima spiegazione quella di Fabio, da applausi, grazie!
    faccio anch’io confusione quando si parla di autovalori e autofunzioni, mi ha aiutato a fissare alcune cose.
    ad esempio nella risposta avevo distrattamente accennato all’equazione di Schroedinger riferendomi invece alle funzioni d’onda, ma sono due strumenti matematici che descrivono concetti fisici differenti, in un certo senso complementari.
    la funzione d’onda esprime la probabilità di manifestarsi della materia, potremmo dire che si tratta di un “accumulatore” di proprietà, come le variabili di posizione, velocità, energia, momento angolare. descrive lo stesso oggetto della fisica classica però non lo fa in forma deterministica ma probabilistica.

    l’equazione di Schroedinger invece descrive le interazioni, la dinamica ovvero l’evoluzione nello spaziotempo di tutti questi “oggetti con proprietà misurabili”: l’equazione diventa un calcolo con variabili aleatorie che sono funzioni d’onda.
    Fabio fa anche giustamente notare che l’equazione di Schroedinger è solo una delle diverse formule che modellano le dinamiche quantistiche, ed è espressa una formula matematica ondulatoria.
    un’altra matematica ad esempio concettualizza lo stesso fenomeno però in forma matriciale è quella di Heisenberg: approcci apparentemente antitetici – quello ondulatorio e quello matriciale – in parte appianati dopo l’incontro di Copenaghen.

    mi ha colpito il tuo sguardo che evidenzia la velocità come misura fondamentale di riferimento per le osservazioni, piuttosto che spazio e tempo.
    “potremmo dire che il suo collasso è appunto nel tempo”
    potremmo dirlo anche secondo me! più precisamente direi che il collasso avviene nello spaziotempo.

    @fla: secondo me leggendo uno dei libri di Rovelli capiresti cosa intende borto. ha costruito la sua meccanica quantistica proprio sulla base della “de-responsabilizzazione” del tempo relegandolo a 4° dimensione simmetrica al pari delle altre 3 spaziali.
    a livello quantistico nella sua interpretazione non esiste la lancetta del tempo e non esistono processi quantistici irreversibili se ben ricordo.
    solo nella macroscopica interazione di smisurate infinità di quanti emerge la freccia temporale di sistema, un effetto che si potrebbe dire “statistico” quello dell’aumento dell’entropia e dei processi macroscopici irreversibili.
    Rovellli lo spiega “leggermente” meglio, a mia difesa io l’ho letto 4 o 5 anni fa 😛 farei bene a riprenderlo in mano che è piccolino, o comprare l’ultimo.

    Fabio sottolinea alla fine che l’hamiltoniano – l’operatore che agisce sull’energia – è prevalente nell’equazione di Schrodinger e questa descrive proprio l’evoluzione spaziotemporale delle funzioni d’onda (la “materia-energia” misurata). se H non ci fosse in quella formula, in quel modo, l’entropia potrebbe non aumentare non definendo la freccia del tempo. non esisterebbe l’universo fisico che conosciamo e neanche noi.
    infatti H ci sta dentro la formula, e a me pare tanto uno dei fine tuning di questo universo antropocentrizzato 🙂

    senza una misura spazio e tempo non sono determinati, evidentemente serve una misurazione per renderli manifesti.
    la misurazione è perturbativa, è un’interazione del sistema come tutte le altre interazioni descritte dall’equazione di Schroedinger, ma lo è in minor misura quanto più ci si allontana dalle scale microscopiche.
    misurare la posizione dell’elettrone nell’atomo di idrogeno che determina il collasso della sua funzione d’onda, è più “invasiva” che misurare con il laser la posizione di una nave.
    nel microcosmo, vicino alla scala di Planck, l’osservazione – osservazione per modo di dire – si risolve nella stessa interazione quantistica massa/energia: è semplice incontro-scontro tra particelle, lo è anche l’assorbimento di una particella da parte di un recettore di misura negli esperimenti, che fa collassare l’onda probabilistica e realizza la realtà quantistica sperimentata.
    allo stesso modo c’è interazione fisica anche con l’osservazioni di oggetti macroscopici ma l’atto fisico di misura è talmente irrilevante rispetto all’energia/massa dell’oggetto osservato che non incide sul dinamismo complessivo, se non per improbabili effetti caotici. e così nel macrocosmo “spariscono le meraviglie del mondo quantistico”

    è tardissimo e mi son perso in chiacchiere come al solito, ciaooo!!

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    • Sono più per una visione deterministica come lo era anche Einstein. Può anche essere vero che l’universo è relativo ma non è casuale, non genera situazioni random perché in ogni cosa che guardiamo ci sono dei pattern.

      Se anche una interpretazione probabilistica possa andare molto bene, mi chiedo se non possiamo fare di meglio. Se magari qualcosa che diamo per scontato o che ci manca non possa migliorare la nostra visione. Prendi per esempio la rottura delle simmetrie CPT. 

      La mia ipotesi è che il tempo sia nascosto in qualche altra grandezza. Ad esempio la massa (oppure spazio occupato). Particelle per cui la massa tende a 0 tendono a esistere non soltanto nel presente, ma in un insieme di momenti del passato e futuro molto vicini. L’indeterminazione nasce da questo, non perché è intrinseca alla realtà.

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      • non ti sei ancora liberato del concetto di realtà.

        come Einstein, in effetti, ahha.

        verrà un tempo in cui gli uomini guarderemo al concetto di realtà di Einstein con lo stesso imbarazzo col quale guardiamo a tutto il lato magico del pensiero di Newton…

        ovviamente anche l’uomo comune vive immerso nel concetto magico della realtà oggi di Einstein e Newton: ce ne vuole di tempo prima che la scienza diventi senso comune; anzi, forse non ci riuscirà mai del tutto.

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        • Non credo. Sicuramente la probabilità giocherà sempre un ruolo fondamentale, se non altro per sopperire alle nostre imperfezioni. Però dire che l’auto su cui stai viaggiando in realtà è un prodotto della mente senza indagare sulle parti meccaniche mi sembra una piega estremista.

          Io cerco di liberare il concetto di tempo, mentre tu vuoi cestinare l’intera realtà haha.

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          • mi accontenterei di cestinare il virus del covid con la forza della critica, ma devo fare come quel feticista che non poteva avere lo stivale della donna desiderata e si accontentava della donna intera…

            battute a parte, sì, io voglio cestinare la TUA idea di realtà, che è quella di Einstein e di Newton, figurati che pretese.
            del resto anche le visioni del mondo sono destinate a declinare come qualunque forma di potere, politico o no.

            comunque, tranquillo, per la vita comune il pregiudizio che le cose esistano nel senso tradizionale del termine continuerà a sussistere e potremo continuare ad andare dal meccanico, a cui personalmente delego la conoscenza dei meccanismi che la fanno funzionare (oppure no).
            e del resto anche la scoperta che l’atomo è uno spazio quasi totalmente vuoto, occupato in piccolissima parte da qualche forma di energia che non sappiamo se abbia forma di particella o di onda, non ci impedisce di cercare di evitare di andare a sbattere, vedo. 🙂

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            • E sicuramente il tempo non si fermerà soltanto perché l’abbiamo descritto in maniera diversa.

              Però da qui al dire che la realtà non esiste è una strada lunga. Intanto mi sembrava che ad un certo punto avevi messo i frattali all’origine dell’universo. E pensa che potrebbe essere così. Tra S, T e M ci dev’essere qualche legame logico geometrico. T viene assorbito da M. Infatti ogni volta che M aumenta T rallenta. Ed M è S in qualche strana conformazione. Altrimenti non potresti rompere M per ottenete S (nulla + energia). S è l’unico che esiste, ma anche lui in qualche forma particolare, diversa da come lo vediamo.

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              • oh, questo commento mi stava sfuggendo…

                l’immagine classica della realtà è quella di qualcosa di oggettivo che l’osservazione umana coglie, magari parzialmente e la scienza definisce con più rigore.
                questa idea non tiene conto che l’osservazione stessa è un processo fisico che impiega energia -. e per questo motivo determina l’entropia, che a sua volta crea l’irreversibilità del tempo per chi ne è coinvolto e dunque gli fa assumere l’apparenza dello scorrere.
                la nuova immagine della realtà è quella di un ventaglio aperto di probabilità, fra le quali l’osservazione genera il collasso della funzione d’onda su un valore pur sempre determinato, ma non in maniera meccanicistica, ma probabilistica.
                questo toglie la realtà dalla sfera della oggettività determinata per trasformarla in una probabilità che viene determinata (collassata) soltanto dall’osservazione.

                la tua seconda osservazione è molto stimolante: se M, la massa, rallenta T, il tempo, perché questo avviene?
                mi sembra di essere sul ciglio di una risposta, di averla sulla punta della lingua, ma non ci riesco.
                certamente lo Spazio-Tempo non è oggettivo, ma soggettivo se una Massa ha il potere di modificarlo.
                quando dici che la Massa è lo Spazio in una strana conformazione, penso che la risposta vada costruita a partire dall’ipotesi che la grandezza da prendere a riferimento primo per l’interpretazione della realtà sia la Velocità e non lo Spazio.
                lo Spazio e il Tempo derivano dalla Velocità e allora non mi pare strano che la Massa influisca sulla Velocità e dunque modifichi anche lo Spazio e il Tempo soggettivi.

                questo dimostra che lo Spazio e il Tempo assoluti sono solo una semplificazione della nostra mente che verifica che il suo personale Spazio-Tempo grossolanamente funziona anche come punto di riferimento per gli altri.
                ma che cosa diventa la realtà se lo Spazio e il Tempo sono soltanto soggettivi ed ogni osservatore ha il proprio?

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                • Se è per quello in verità dovrebbero avere una sola funzione d’onda per l’intero universo. Non è del tutto giusto avere funzioni d’onda isolate, perché in verità non abbiamo sistemi fisici del tutto isolati dal resto dell’universo. Ammesso che per isolato non intendano circondato dal vuoto, ma in quel caso spieghino come eviteranno che la gravità possa entrarci. Nel caso del gatto di Schrödinger la soluzione è semplice. Con uno strumento estremamente accurato posso misurare variazioni nel campo gravitazionale e determinare con assoluta certezza se il gatto è morto o vivo senza aprire la scatola. Ed è una misurazione che non spara energia quindi teoricamente non fa collassare nulla. Poi possiamo farla diventare una questione linguistica e si potrebbe sostenere che comunque sto misurando. 

                  La Massa come forma particolare di spazio. Immagino gli Origami giapponesi. Una specie di ripiegamento della struttura spaziale stessa dell’universo bloccata in quella posizione. Quando la rompi è come un elastico che scoppia rilasciando energia. Il motivo per cui distorce lo spazio-tempo è perché ne è lei stessa una parte, una contorsione.

                  Riprendendo quanto scritto a Krammer. La nostra coscienza vive nel passato, presente o futuro? A me sembra che sia nel passato e il corpo sia nel futuro. Il presente è qualcosa di non meglio identificato. Non esiste nulla di assoluto, il tutto è un minestrone.

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                    • Dal punto di vista gravitazionale Terra e Luna non si scambiano energia. O meglio se considero uno stato di quiete iniziale ogni movimento di uno dei 2 corpi farebbe sentire all’altro un cambiamento di potenziale gravitazionale. Quindi se al punto di partenza abbiamo la scatola con il gatto e la sua funzione d’onda, il semplice fatto che il gatto smetta di respirare dovrebbe permettermi di misurare un cambio nella struttura dello spazio tempo. Per cui posso dire con certezza se il gatto è vivo o morto prima di aprire la scatola. Il guaio del paradosso di Schrödinger è che richiede un sistema del tutto isolato dall’osservatore. Assunto impossibile senza abbandonare l’universo.

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      • per come la vedo hai ragione e torto… allo stesso tempo 🙂

        anch’io ho una visione deterministica.
        tutti in realtà hanno una visione deterministica di base, è la forma mentis del nostro cervello, derivato da milioni di anni di selezione naturale e da decine di migliaia di anni di iperselezione culturale: potenziata dal linguaggio (primo doping informativo, la parola) e poi dalla scrittura (secondo doping informativo, la memoria a lungo termine)
        la vediamo così perchè fin dalla nascita ci diamo una spiegazione delle cose che ci succedono: determinismo, causa-effetto, è inconscio come meccanismo direi per tutti: vedi cose e ti domandi perchè? cambia l’interesse verso certe cose o altre, ed il metodo di ricerca. ma la ricerca del perchè ce l’abbiamo dentro e non ce ne scrostiamo se non diventando vecchi, quando smettiamo di chiedercelo.

        il caso è nato tardi. il caso inizialmente era l’inspiegabile: ma visto che tutto deve avere una ragione, sono nate le religioni che spiegano l’inspiegabile.
        qualcuno non si accontenta della soluzione facile (stupida? direi piuttosto fantasiosa) e indaga oltre, va più a fondo nel disegno della natura, utilizza strumenti e un certo rigore: ecco che nasce la scienza, la matematica, la filosofia.
        il caso per la scienza è impossibilità di previsione. non solo dovuta alla complessità del sistema esaminato ma anche all’ignoranza sull’output di un qualsiasi sistema chiuso, come una scatola nera, di cui non conosciamo il contenuto ma che emette informazione o che si può misurare.
        non sappiamo cosa esce, potrebbe uscire di tutto dall’osservazione.

        inspiegabili furono molte cose, in principio!
        ma se dalla scatola nera cominciano ad uscire output che seguono un pattern, allora eureka! non è più caos, non è più random, non è più incerto: segue una legge matematica, abbiamo trovato la teoria!! se la teoria è ampliamente verificata, scienza è fatta.
        un bel giorno da quella scatola nera esce un segnale anomalo, non doveva proprio uscire! la teoria è confutata? in linea di principio si, se qualcuno l’ha visto davvero. discussioni. la teoria tiene? quel segnale anomalo è veramente uscito? era magari un errore dei rilevatori, un abbaglio? il dubbio resta, chissà se il segnale anomalo si ripete… chissà come si ripete, così magari possiamo anche spiegarcelo…

        a volte si ripete a volte no, un segnale anomalo. a volte si ripete spesso e così regolarmente che troviamo una nuova teoria che lo spiega coerentemente con il resto del segnale, determinando così nuovamente l’output della scatola nera. fino a prova contraria.
        questo è fondamentalmente la storia e lo stato della scienza, e della conoscenza in generale.

        cerchiamo sempre una qualche forma di determinismo perchè cerchiamo un disegno, un pattern, un piano.
        fosse anche un piano in cui vige l’indeterminismo, il caso determina la materia!
        non sappiamo il risultato di un’osservazione prima di farla, è vero. ma cosa cambia?
        il sistema è comunque statisticamente spiegato: anche il caso è stato incasellato dentro formule matematiche riscontrabili.
        non parlerei di indeterminismo ma piuttosto di risultati prevedibili entro un limitato margine di incertezza, risultati di interazioni che sono descritte, regolate e circoscritte dalle varie matematiche – assiomatiche per definizione. non si parla di caos quando si parla di quantistica. si parla semplicemente di sfumature anzichè di tratti definiti, il disegno resta chiarissimo ed anche più affascinante.

        non è questo il punto secondo me, il dilemma non è tra casualità vs causalità.
        se pensiamo di potercela spiegare, è causale; altrimenti è casuale, che cambierà mai è questione di tempo… … prima o poi ci arriveremo oppure penseremo di esserci arrivati 🙂

        per come la vedo io la probabilità non realizzata è reale quanto la probabilità realizzata/sperimentata: ho premesso infatti per parteggiare per la teoria del molti mondi. facile scorciatoia mentale per giustificare in qualche modo la persistenza del determinismo assoluto anche per i risultati della meccanica quantistica, per non doverci assumere il fardello antropico del collasso singolare della funzione d’onda.
        i risultati sono in tal modo tutti determinati all’interno nella loro probabilità di verificarsi. soltanto che non possiamo osservare ogni stato da ogni prospettiva: vediamo solo ciò che riusciamo e che vogliamo vedere, ci diamo la spiegazione più semplice (rasoio di occam) e plausibile (logica, prima ancora che matematica). chi sa se esistano veramente altri mondi o dimensioni che colmino i vuoti conoscitivi del nostro quotidiano periferico?

        il dilemma per quanto mi riguarda è un altro: se la fisica esperienziale/sperimentale ricalca con buon margine le previsioni dedotte da leggi matematiche astratte, se pur probabilistiche o relativistiche e con tutte le incertezze e le ambiguità del caso, significa che c’è un disegno sotto, c’è un pattern evidente in tutto ciò in cui siamo immersi.

        io non mi chiedo chi ha scritto questo pattern, ci sarebbero anche teorie che sostengono che esistono gli universi di tutti i pattern possibili immaginabili.
        esisterebbero gli universi di _tutte_ le matematiche possibili immaginabili, non solo il multiverso allargato (più digeribile mentalmente) costituito dalla nostra fisica ri-parametrizzata col le smisurate combinazioni delle svariate costanti universali conosciute, molte delle quali apparentemente antropiche.
        chissà.

        invece io mi chiedo: ma dov’è che sta scritto questo disegno? esiste la materia/energia o esiste solo un’incessante elaborazione di fondo?
        da parte di chi l’elaborazione, se fosse, della coscienza individuale? o dell’interazione tra materia/energia nella loro interezza, quantizzate e relativizzate?
        se tutta la realtà fisica si riduce a pura informazione dentro/dietro un’impalcatura puramente matematica, dove sta scritta questa informazione incessantemente elaborata, come viene veicolata? [mica è solo la luce che trasmette informazioni: tutto quanto interagisce, assorbe-e-trasmette, tutto quanto è informazione ed il fotone è solo uno dei 4 bosoni di gauge conosciuti]
        dunque siamo software o siamo hardware? parrebbe che hardware e software coincidano, ma potremmo anche essere noi stessi ad immaginarli entrambi, senza essere nulla di tutto ciò che percepiamo [solipsismo esasperato che mi convince poco niente]
        .
        se dunque coincidono hardware e software, dove sta scritta, dove viaggia, dove si elabora questa informazione? in assenza un elaboratore esterno – un superdione quantistico uberalieno – siamo per forza noi gli elaboratori: ma di nuovo noi chi? noi io-e-te-individui oppure noi-universo-tutto?
        è un vortice che trascina questo alternare cosciente io-tutto io-niente.
        o un frattale ammaliante? 🙂

        notare che è l’elaborazione a creare il tempo, ma crea anche lo spazio. dunque chiedersi “dove” sia l’elaboratore ha lo stesso significato di dire “quando” l’elaboratore sta funzionando. ha senso la domanda?
        certo l’elaborazione è la percezione, è lo sguardo, è la presa di coscienza o meglio la presa d’esistenza.

        non è poi così diversa dall’idea di fondo di Mauro secondo me, che parla di matrice. l’ho sviluppata un poco. ritorniamo comunque tutti alla contemplazione della scatola nera di cui non sappiamo quale sarà il prossimo risultato, sappiamo però spesso ciò che è più probabile che sia, ciò che crediamo sia.

        argomento stimolante , ma sono le treeeee mannaggia me.

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        • Se scrivi un commento di una tale complessità alle 3 di notte con ogni probabilità hai problemi di insonnia abbastanza importanti. Lo dico per scherzare ovviamente 🙂 .

          Non nascondo che in certi momenti mi hai perso. Sono sicuro che Mauro riesca a seguirti meglio. In genere evito la complessità lessicale a favore della complessità di concetti mantenendo la brevità d’espressione.

          Per natura deterministica intendevo più che altro una realtà geometrica, non necessariamente causale. Anzi mi sembra che io stia cercando di ampliare il concetto di causalità. Ma perchè in fondo è persino impossibile definire un “qui e ora” perché già il nostro corpo stesso vive in un intervallo di tempo tra passato e futuro e chissà dove sta la coscienza. Considerato il tempo di reazione di 2 decimi direi nel passato mentre tutto il corpo fisico è già nel futuro. 

          Sicuramente la meccanica quantistica offre una spiegazione elegante, ma come tutte le leggi fisiche finora, è quasi certamente imperfetta. E forse sarà sempre così, legge fisica dietro l’altra. Come diceva Feynman, il piacere è il viaggio non la destinazione. Il fatto che ci sia o meno una realtà oggettiva non conta neanche. Ma se migliorando la mia interpretazione della realtà posso trovare modi per esplorare e ampliare la mia conoscenza in modi e con strumenti sempre più avanzati, avrò già quello che cercavo. 

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          • l’insonnia incombe nel momento che il cervello comincia a macinare idee che mi accendono (probabilmente dovuto anche alla stanchezza): a quel punto o lascio perdere e non scrivo nulla, e dormo, oppure mi ci tuffo e mi sveglio come un grillo! non ho una buona sintonia con i ritmi circadiani 😛
            se ti sei perso in qualche punto e ti interessa provo a spiegartelo volentieri, ci sono buone possibilità che finisce che sia tu a spiegarmi qualcosa, il top è se impariamo qualcosa tutti e due 🙂

            con la precisazione di adesso il discorso si fa più semplice: se consideri la geometria della fisica ti inserisci nel contesto spaziotemporale in cui oltre allo spazio geometrico ti porti dentro inevitabilmente anche il tempo! non lascia adito a discussioni in tal senso.

            ma io non credo che la realtà de-antropicizzata abbia veramente in sè uno spaziotempo “fisico”: ritengo piuttosto che questo emerga in ciò che chiamo elaborazione, o interazione, da parte di entità di cui conosciamo veramente solo regole matematiche astratte – frutto del pensiero – e la loro “risposta” all’osservazione immediata e sperimentale – frutto dei sensi e della tecnologia di misurazione.

            che ci siano sotto dei numeri, una matrice, un’algebra di qualche tipo, sembra più che evidente. l’algebra però non pone vincoli dimensionali, mentre si spazializza con la geometria che corrisponde storicamente alla misura della terra, ovvero dello spazio.

            le nuove geometrie che scopriamo in questo universo sono sempre più complicate e difficilmente visualizzabili, a me sembra portino a qualcosa che vada ben oltre la quadrimensionalità che riusciamo a visualizzare con quella parte del cervello che regola la vista e l’elaborazione delle immagini. ci sono diversi enigmi fisici di cui si conoscerebbe soluzione solo applicando concettualizzazioni matematiche più avanzate che contemplano un numero maggiore o minore di dimensioni, teorie strettamente concettuali ma lontanissime dai nostri sensi percettivi. paradossali.

            ma forse anche tu per geometria intendevi un concetto più concettuale. in tal caso sicuramente il tempo ha il suo peso se lo si inserisce nel dinamismo del mondo fenomenico.

            la domanda è se astraendosi al concetto più profondo, pur rimanendo fedeli al riscontro sperimentale, non si riesca a descrivere l’universo con matematiche che stravolgano appunto la nostra percezione comune.
            il tempo potrebbe non essere, come suggerisce borto, la variabile fondamentale con lo spazio ma potrebbe esserlo invece la velocità e l’energia. in fin dei conti in matematica è una sorta di trasformata, che cambia le variabili dimensionali trasponendole in domini matematici differenti.
            il dominio della frequenza e dell’intensità ad esempio, il regno ondulatorio.

            mi ha molto colpito toccare con mano, in un corso all’uni di tecniche di elaborazione delle immagini, come la stragrande maggioranza dei filtri che si applicano per migliorare l’output delle foto si ricavano con la trasformata di fourier, è quasi “magico” vedere come certe funzioni semplicissime applicate su quel dominio di rappresentazione dell’informazione stravolgano il risultato visibile con effetti sorprendenti quando poi si riconverte nel dominio spaziale, quando si ritorna alla fotografia vera e propria.
            l’immagine sotto trasformata di fourier nel dominio delle frequenze è irriconoscibile dalla foto, sembra un guazzabuglio disordinato di pixel a caso.
            eppure è la stessa identica immagine rappresentata con tutte le informazioni che la definiscono.

            parleresti di geometria nel dominio delle onde?
            per la teoria quantistica dei campi una particella fondamentale equivale ad un’onda che permea l’intero universo e si manifesta convertendosi in quanto con il collasso della funzione d’onda, che non sarebbe altro che la trasmissione di energia da un campo quantistico all’altro, un salto energetico che modifica lo stato del sistema complessivo.

            più penso allo spaziotempo e più mi convinco che sia solo la manifestazione discreta di questo scambio energetico di onde quantizzate, dove la proprietà fisica costituente la particella non è localizzata ma sta dappertutto.
            noi vediamo quadridimensionalmente l’interazione del reale, ma le sue proprietà di stato sembrano sguazzare piuttosto bene nel dominio della frequenza, che con il tempo non ci azzecca niente però.
            dove però la frequenza può essere intuitivamente associata alla velocità, e l’energia all’intensità (o probabilità di accadere).

            vedi ci ricasco sempre 🙂

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            • certo che scrivere che la frequenza non c’entra nulla col tempo… borto dovresti bloccarmi sul blog per non farmi scrivere fandonie di questo tipo ahahaha quantomeno la notte quando parto con gli sragionamenti 😀
              la frequenza è la funzione inversa del tempo.

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              • che facciamo? cancello?

                ma io cancello soltanto gli insulti…, ahah.

                non avevo capito – infatti – l’affermazione che adesso ritiri e non mi faceva una bella impressione.

                ma non ho capito neppure questa seconda, che la frequenza è la funzione inversa del tempo…

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            • Troveremo l’equilibrio di Nash prima o poi. O posso tentare di ingannarti e vincere haha.

              Siccome stai mettendo molto il punto sull’elaborazione sei quasi sicuramente un informatico. Sai… penso che se riuscissimo a simulare l’intero universo in un istante quell’universo sia altrettanto reale quanto quello d’origine. Come se Bill Gates avesse simulato un universo dove un coronavirus si fosse difuso sulla Terra.

              Con questo voglio dire che è reale qualunque cosa l’osservatore decida che lo sia. Ma questo non ci impedisce di creare un modello che tenda verso qualcosa di più definito e logico. Se non altro perché altrimenti il sistema sarebbe instabile.

              Per cogliere quella struttura logica nascosta bisogna scovare qualcosa che si nasconde dietro il velo dell’apparenza. Qualcosa che diamo per scontato ci sfugge, la mia idea è quella. Non sarebbe la prima volta dopotutto.

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              • yes informatico bingo! 😀

                penso che l’universo sia pura elaborazione informativa ed in linea di principio sarebbe di per sè replicabile su di un “supercomputer”, però non sono affatto convinto che ci sia un corrispondente “esterno” (hardware) al tempo percepito internamente al sistema-elaboratore (dimensione software).
                l’elaborazione non ha nè tempo nè luogo al di fuori dell’universo stesso, è un software che computa sè stesso, senza hardware.

                lo spaziotempo sarebbe il set di dimensioni manifestate nell’universo-simulazione nella nostra particolare “configurazione quantica”, al sistemi quantici possono ricevere informazioni differenti, se poi questo sistema interno ha sviluppato una cognitività sensoriale (ad esempio nella vita) potrà anche interpretarle in mappe che non è detto siano quadridimensionali.

                la “formula che gira nell’elaboratore” potrebbe essere un qualcosa di analogo ai frattali, dove la “realizzazione” dimensionale (quadridimensionale nel nostro caso) della formula adimensionale è realizzata dalle interazioni energetiche del sistema, ovvero dalla propagazione dell’informazione. equivale a mio avviso l’equazione universale Energia = Informazione.

                Non è detto che qualche cognitività interna al sistema possa afferrare la formula universale d’insieme – ne dubito ma chissà, in ogni caso nessuno di noi lo saprà mai – ma sicuramente un sacco di trame realizzate da quella formula ci sono ben note 🙂

                ciao!

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                • Equilibrio raggiunto. Condivido l’affermazione Energia = Informazione. Ma io sono curioso come funzionano alcune regole che gestiscono questa informazione. Se non altro per poter esplorare meglio l’universo anche fisicamente, non tanto per avere la Teoria del Tutto. Anzi credo che se mai la trovassimo sarebbe un momento molto triste.

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        • Ho letto che non ti convince il solipsismo. Forse, consentimi, il solipsismo esasperato che ritiene solo la propria entità, una monade, sia in qualche modo ‘reale’ (ma il problema rimarrebbe sempre quello di definire cosa è reale, per ora sorvoliamo). Ricordo, purtroppo vagamente e senza precisione, sperando non essere del tutto apocrifo, che lo stesso Feynman riteneva che tutta la complessa conformazione che vediamo avrebbe potuto essere il risultato dei movimenti quantistici di un singolo elettrone. Ne consegue, se questo è vero, che anche ogni singolo individuo non è altro che espressione di una stessa singola particella nelle sue varienze.
          Ma a parte questo episodio, che che potrebbe essere apocrifo, rimane il fatto che se crediamo all’inflazione al big bang, tutto ciò che vediamo e molto di più, era originariamente compresso in un uno spazio molto più piccolo della lunghezza di Plank (forse zero e adimensionale? lo zero porta ad infiniti, ecco perché i punti non possono avere dimensione zero, come vorrebbe la teoria standard). Accettate quindi il fatto che, Come minimo, ma proprio minimo, se pure siamo disconnessi, almeno apparentemente, la correlazione quantistica, non locale, domina le interazione di ogni singola particella oggi apparentemente sconnessa, con Tutte le altre, anche quelle oltre l’orizzonte esterno?
          Se arriviamo a questa conclusione, come direbbe Tegmark, deducibile dalla teoria, anche se non ci piace, perché abituati a pensare in termini molto ‘umani’ ed in un certo senso popolari (provate voi a spiegare anche ad una persona colta che ogni particella del suo corpo è correlata quantisticamente con un silicato sepolto in qualche asteroide distanza N metri a piacere (l’universo, il nostro creato dal big bang, è spazialmente infinito secondo l’inflazione), vedremo che il solipsismo un certo significato lo acquisisce, e tanto più se pensiamo in termini di universi quantistici e di osservazione.
          Il fatto, a mio parere, è che non se ne esce, la teoria standard vuole mantenere (dobbiamo anche pensare che fu creata negli anni 30 quando era semplicemente ridicolo e considerato antiscientifico, ammesso si potesse pensare, che ci fossero universi paralleli) il prima dell’osservazione umana, ma anche il multiverso di Everett III, come lui sesso credeva, tra l’altro, ha bisogno dell’osservatore per essere osservato e sfuggire alla nebulosità quantistica.
          In entrambi e i casi, è l’osservazione a dare all’universo dignità di esistenza. Certo, matematicamente potrebbero esistere universo con, ad esempio, energia oscura ad 1×10^123, invece che di segno opposto. Ora, non riesco ad immaginare cosa voglia dire, ma posso ben immaginare che in un simile universo non ci potrebbero essere osservatori, né di tipo umanoide né di altro genere.
          E quindi, esiste quell’universo? Esso, ‘esisterebbe’, solo nel momento in cui entrasse in contatto con un universo abitato, in cui gli abitanti ne facessero amara esperienza, in quanto lo ‘osserverebbero’, anche se ben poco.
          Tuttavia, perfino in questo secondo caso (non realizzabile, ma è solo un esempio mentale per capirci), qualora l’universo distruttivo sterilizzasse quello abitato, essendo il continuo spaziotemporale unico, e non ‘ad eventi’, esso, dal punto di vista della percezione, ciò che continuerebbe ad esistere sarebbe l’universo vitale, nelle configurazioni quantistiche in cui l’universo distruttivo non è riuscito ad interagirvi distruggendolo.
          Se rapportiamo tutto questo alla singola esistenza, ne abbiamo, necessariamente, che soltanto una coscienza lunga a piacere (dal suo punto di vista), osserverà i ‘momenti’ in tutte le versioni in cui sarà possibile osservare l’universo, e NON potrà farlo, semplicemente, laddove essa non può esistere.

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    • caro Krammer (per chiamarti così qui), guarda che la tua risposta ultima io l’ho pubblicata, e qui: https://corpus2020.wordpress.com/2021/05/16/il-ritorno-di-krammer-il-reale-e-reale-208/ (e te l’ho anche segnalato per mail).

      non avevo pubblicato la tua mail precedente tutta intera, ma credo che bisogna prenderti a piccole dosi. 😉

      condivido il giudizio sull’intervento di Fabio; anche il tuo qui è notevole.

      io quasi quasi mi ritirerei in punta di piedi e lascerei voi due, con afo, a discutere tra voi: vi guardo per un po’ e poi tirerò le somme a modo mio, come sempre, con qualche sconsiderato ed imprudente volo pindarico…

      per ora medito, cercando di capire meglio.

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      • umhhh allora qualcosa non torna neanche nel macrocosmo ahaha
        si l’ultima mail che mi hai inviato ieri e che rimanda a questo post era di risposta alla mia ultima risposta (si legge in calce alla tua).
        ma quella risposta mica l’avevi riportata nel blog? rispondeva alla tua ultima domanda che c’è anche alla fine del post, a cui ti avevo subito risposto per mail (incredibile, di solito ci metto settimane quando va bene 😀 )

        adesso però i casi sono due: se non l’hai già pubblicata non la puoi pubblicare più, è obsoleta e verrei umiliato ahahah
        se invece l’hai già pubblicata, apriamo una caccia tesoro per trovarla nel tuo blog 😀
        ciao!

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        • aspetta che faccio il punto: è vero che non ho pubblicato l’ultima mail, ma neppure alcune parti della mail “precedente”, con questa parola intendevo appunto la mail precedente l’ultima a cui sto rispondendo; altrimenti avrei detto “ultima”. da ultimo, nel saluto, ho aggiunto “con calma”. anche per accennare che questo dialogo nel suo insieme andava fatto procedere appunto così.

          certo l’intervento di Fabio ha un poco redistribuito le carte; però non mi pare che l’abbia resa obsoleta né tantomeno che potrebbe umiliarti il pubblicarla.

          forse potresti riprendere le parti della mail ancora precedente e di questa, che ho lasciate indietro rispetto al blog e riattualizzarle rispetto al punto raggiunto nella discussione…; ma so quanto sei impegnato e potrei chiederlo ad altri, ma non a te; lascio che sia tu a decidere.

          però mi pare che tu abbia toccato diverse questioni ancora e il tuo intervento a me pare importante per una prosecuzione di questa riflessione comune.

          (nulla dico sui tuoi giudizi personali, che puoi ben pensare che piacere mi hanno fatto).

          valuta tu, ma io direi che, in tutto o in parte, con integrazioni e revisioni oppure con una semplice selezione delle parti (ad esempio eliminando le battute iniziali), la tua mail va pubblicata. e mi auguro che tu sia d’accordo!

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          • sorry non ti avevo risposto qua, preso dal ragionamento uscito nella risposta a fla! rimedio ora 🙂 scherzavo sul discorso della pubblicazione, l’ho forzato perchè subito dopo che ti avevo scritto quell’ultima mail mi ero reso conto della lacuna, non da poco. ma ho lasciato perdere pensando che tanto nessuno ci avrebbe nemmeno fatto caso, a meno che non fosse molto ferrato sul tema: ecco che mi hai rimandato a questa spiegazione rigorosa e dettagliata di Fabio e mi son detto: eccallà, sgamata subito la cretinata te pareva!! 😀

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  5. non pretendo certo di fare parte del mondo della scienza.

    ma perché dici che la funzione d’onda dipende dal tempo? ma la mia domanda ha senso solo se per tempo intendi il tempo che scorre.
    se il tempo che scorre è dell’osservatore, allora davvero la funzione d’onda dipende dall’osservatore e dal suo tempo, ma soltanto nel momento in cui collassa; anzi, potremmo dire che il suo collasso è appunto nel tempo.

    vero che mi sto sempre più convincendo che la nostra difficoltà di capire il tempo (quella di cui parlava Agostino) è soltanto la nostra difficoltà di capire noi stessi.

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    • Il tempo potrebbe essere il più grande inganno della nostra mente. Cosa sarebbe la nostra logica senza un Tempo?

      Non siamo scienziati, ma possiamo essere persone curiose.

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      • sei un po’ sadico: sai che me la cavo molto male con l’inglese parlato, e anche i sottotitoli di You Tube, buttati lì a quel modo, sono scoraggianti.
        però, da quel poco che ho intuito, più che capito, questo intervento è veramente da sottoscrivere – e da ricordarselo – per ridurre i voli pindarici, anche se la nostra mente non può evitarli del tutto, perché abbiamo bisogno di certezze, fossero pure negative, e un’incertezza ben fondata è l’unica possibile certezza che ci resta.

        però dovresti fare un atto umanitario e tradurre questo intervento così fondamentale: ti va? capisco che la maggior parte dei lettori è ormai anglofona, ma lo faresti per me?

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        • Appena ho tempo lo traduco. A volte commento clandestinamente.

          Penso che Feynman stia solo cercando di dire che la scienza potrebbe non offrire alcuna teoria finale, certa e indiscutibile. Ma in fondo l’obiettivo non è avere certezze ma scoprire quante più cose possibile per semplice curiosità anche se la strada delle scoperte fosse infinita. È l’attività di scoprire e cercare di capire l’obiettivo.

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  6. Le idee pazze sono molto comuni nel mondo della fisica, almeno tra i fisici che tentano di superare i limiti.

    John Wheeler sosteneva che tutti gli elettroni sono lo stesso elettrone che rimbalza continuamente tra l’inizio e la fine dell’universo. Lo disse a Feynman che poi usò anche questa interpretazione per immaginare elettroni e positroni. La teoria di Wheeler era sbagliata.

    Ritornando al post. La funzione d’onda è chiaramente dipendente dal tempo. Riuscire a togliere il tempo dalle variabili descrivendolo in maniera diversa potrebbe essere il punto cruciale. Però questo è il compito di quelli più bravi di te e me, come il tuo studente Fabio.

    Inconsciamente anche tu hai tentato di fare la stessa cosa verso la fine del post. Cercando di immaginare il tempo in maniera diversa da come lo sperimentiamo tutti i giorni. Hai provato a toglierlo dell’equazione di meccanica classica. 

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    • non capisco perché la funzione d’onda è dipendente dal tempo: a me non pare. il collasso non è una cosa sostanzialmente diversa dalla soluzione di un’equazione, e questa non dipende dal tempo.

      progredendo nella riflessione sono arrivato a dire a Krammer che la velocità della luce nel vuoto è il vero fondamento ultimo dell’universo come lo conosciamo, dato che è l’unica grandezza fisica che non dipende da nessun’altra ma ha un valore assoluto invariabile.
      e nello stesso tempo coincide anche con la velocità massima possibile di trasmissione dell’informazione che è quella che costituisce il nostro universo osservato.

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      • La funzione d’onda dipende dal tempo e descrive il comportamento “nel tempo”. Il guaio secondo me è che si limita a guardare dalla prospettiva del presente. Probabilmente è una buona approssimazione ma è incompleta perché non tiene conto che l’oggetto potrebbe spaziare nel tempo così come lo fa nello spazio. Cioè potrebbe trovarsi contemporaneamente nel passato, presente e futuro.

        https://en.wikipedia.org/wiki/One-way_speed_of_light?wprov=sfla1

        La velocità della luce è più che altro una convenzione, ed è definita da Einstein così. Infatti non è mai stato possibile misurare un percorso di sola andata ma solo andata e ritorno. Per cui la velocità del segnale, della luce, potrebbe benissimo essere variabile in tutti i punti. L’importante è che il percorso chiuso tenda a c^2. Motivo per cui la mia idea è che questo possa portare a immaginare una specie di curvatura globale dell’universo che di fatto genera l’illusione del tempo.

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