al-Ballanūbī, Ibn Hamdis e Ibn At-Tûbî: le origini della poesia in Italia (post a quattro mani) – 220

A quel paese la colomba diede

in prestito il suo collare e il pavone

lo rivestì, dal manto delle sue penne.

Pare che quei papaveri siano vino

e gli spiazzi delle case siano i bicchieri.

Ibn Hamdis, Diwan

. . .

storia della letteratura italiana, quella che si insegna nelle scuole, oppure storia della letteratura in Italia?

la prima che ho detto, ovviamente: la materia si insegna per creare un forte senso di appartenenza nazionale e il suo nazionalismo implicito presenta diversi problemi, che vengono ovviamente ignorati.

il primo è che non esiste una letteratura italiana prima di Petrarca, a metà del Trecento.

è Petrarca il primo intellettuale italiano che si pone il problema di scrivere in una lingua nazionale e che ha un’idea dell’Italia come unità (lo dimostra la sua canzone All’Italia).

si attribuisce di solito la nascita dell’italiano a Dante, ma è una primogenitura un poco abusiva: Dante scrive ancora in fiorentino, prima che in italiano, pur se passò di corte in corte (i Malaspina, i della Scala, i da Polenta) e dunque acquisì la prospettiva di una proiezione più vasta della sua opera: però il suo punto di riferimento ideale rimase sempre l’impero e al suo interno potevano trovare posto signorie locali, come articolazioni del suo potere universale, non una nuova entità politica di dimensione nazionale.

questa idea nasce soltanto in abbozzo con Petrarca, quando il quadro europeo era cambiato e le due istituzioni che avevano guidato la civiltà medievale europea, l’Impero e il Papato, apparivano entrambe in crisi.

i patrioti che posero le basi della scuola italiana all’unità d’Italia – e fra tutti, prima Cesare Cantù con la sua Storia della letteratura italiana del 1865, e poi principalmente quell’uomo geniale che fu Francesco De Sanctis, che scrisse la più brillante e trascinante Storia della letteratura italiana come testo scolastico nel 1870 – aggirarono il problema facendo rientrare nel concetto anche le varie letterature dialettali del Duecento.

e la tendenza si consolidò successivamente in modo tale che i libri di testo attuali ve le fanno rientrare tutte, da quella siciliana a quella umbra, da quella lombarda a quella franco-veneta.

e qui si ha quasi l’idea che, più che parlare di una vera e propria letteratura italiana, si parli piuttosto di una letteratura in Italia.

passare quindi a quest’altro concetto? in attesa che nelle scuole si studi piuttosto la letteratura europea, come richiederebbero i tempi…

. . .

ma se provassimo a fare davvero un quadro della letteratura e della poesia prodotte in Italia verso la fine del Medioevo, ci accorgeremmo che, dopo l’eclisse dell’Alto Medioevo, la letteratura in Italia rinasce sì, in Sicilia, ma in lingua araba.

e si comprende da sé che fare iniziare la letteratura italiana con qualche scrittore che scrive in lingua siculo-araba, di questi tempi sarebbe suicida, anche se poi avrebbero diritto almeno ad una citazione come i cantari franco-veneti.

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Abū l-Ḥasan ʿAlī ibn ʿAbd al-Raḥmān al-Kātib al-Ṣiqillī بلنوبي، أبو الحسن علي بن عبد الرحمن،‎‎, noto come al-Ballanūbī o al-Billanūbī, morì in tarda età all’inizio del Millecento, e quindi è il più antico dei poeti di questa cultura, vissuto più di un secolo prima del più antico scrittore in un volgare italiano, Francesco d’Assisi.

di lui non ci è pervenuto molto, ma proprio quest’anno all’Università di Catania ne è stata pubblicata per la prima volta un’edizione completa: Il Canzoniere di al-Ballanūbī.

trovo almeno i titoli di alcune poesie, che danno almeno una vaga idea dei loro temi:

Gioisci delle arance che raccogli,

Venne a trovarmi…,

Fino a quando l’innamorato avrà pazienza?,

O mio amante amato…

ultime voci di una cultura islamica allora aperta, umana, sensuale, distrutta da una conquista esterna proveniente dal nord, che troppo ricorda la nostra contemporanea vicenda palestinese.

lui fu costretto alla fuga e all’esilio, prima in Andalusia e alla fine in Egitto, dove morì, per le lunghe guerre con cui in trent’anni i normanni conquistarono la Sicilia, iniziando da Messina nel 1061 e concludendola nel 1091, con la presa di Noto.

. . .

qui appunto era nato forse (ma forse a Siracusa), attorno al 1056 circa, il secondo poeta arabo-siculo dell’epoca, il più giovane ʿAbd al-Jabbār ibn Muḥammad ibn Ḥamdīs, عبد الجبار بن أبي بكر بن محمد بن حمديس الأزدي الصقلي أبو محمد, morto nel 1136.

ʿAbd al-Jabbār, noto però come ibn Ḥamdīs, è l’ultima voce di quella cultura, perché già dal 1078 aveva lasciato pure lui l’isola e per lo stesso motivo, la conquista normanna, per peregrinare tra varie corti arabe nel Mediterraneo: in Andalusia, come al-Ballanūbī, passando per l’Africa, poi in Algeria, a Mahdia in Tunisia, e da ultimo a Maiorca, dove morì.

Ibn Hamdis è nato probabilmente a Noto, che però era parte del Sultanato più ricco dell’isola, quello di Siracusa. Fu dalla guerra tra questo e quello di Castrogiovanni (Enna) che scaturì l’invasione normanna dell’isola, poiché se ne usarono le truppe mercenarie per il conflitto, non essendone adeguatamente forniti di armigeri questi “arabi sanguinari”, che s’erano messi a lavorare sulla prosperità delle loro città (il loro è obbligatorio e spiego dopo perché), sulla loro crescita economica e culturale e sul benessere dei propri cittadini. I Normanni, armati fino ai denti, decisero di prendersi una Sicilia Araba da trecento anni e senza veri eserciti – loro lo erano già . [cscnv]

la sua opera ci pervenuta molto più ampiamente: comprende circa 370 poesie; e ci è stata conservata in due manoscritti, uno alla Biblioteca Vaticana e uno a San Pietroburgo; fu riscoperto da Sciascia e da ultimo vi ha dedicato attenzione Franco Battiato, che ne ha fatto il centro del suo Progetto Diwan.

ed è così che l’ho scoperto anche io.

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ed ecco un’altra poesia di Ibn Hamdis, dedicata alla Sicilia, come la prima all’inizio del post:

. . .

Ricordo la Sicilia, e il dolore si risveglia in me per questo.

Fu luogo di giovanili follie, animato un tempo

dal fiore di nobili intelligenze, ma ora è deserto.

Se sono stato cacciato da un paradiso, come posso parlarne?

Se le lacrime non fossero amare, le crederei i fiumi di quel Paradiso.

. . .

A questi aggiungerei Ibn At-Tûbî, coevo dei primi due, poeta di grande spessore di cui esistono delle buone traduzioni, talune persino musicate (non da Battiato, da Etta Scollo, musicista di grande talento e di visione ampia). [cscnv]

non so collocare cronologicamente questo terzo poeta: in una voce di wikipedia, in siciliano!, trovo soltanto due titoli:

Nella sua bocca spiccano perle

La tua bellezza scrive due parentesi.

ma di questa poesia altrove si trova il testo completo:

La tua bellezza iscrive due parentesi
sulle tue guance, e sulle sopracciglia
due ondulate “enne”.

Così questa scrittura
reca un senso sottile
e dona agli occhi più concentrazione.

A un folle innamorato
tu dicesti di no,
scrivendo due volte, questo N.

E disse:” Hai generato
meraviglioso senso;
certo, tu sei il poeta più mirabile
tra tutti quanti gli uomini e gli spiriti”.

. . .

Ci dice l’Amari, nella sua Storia dei Musulmani in Sicilia, che ancora nel 1200 una buona metà degli abitanti dell’isola erano musulmani, la cristianizzazione imposta dagli invasori sembrava dunque proseguire a rilento, tant’è che nacquero dai feudi dei baroni, paesi che con licentia populandi vennero letteralmente riempiti di genti che provenivano dal Montefeltro, ed in taluni di questi ancora si parla una lingua di derivazione gallo-provenzale (Mistretta, San Fratello, Piazza Armerina, Randazzo ed altri).

Ma volevo aggiungere un dettaglio non da poco e che riguarda l’opera di Jacopo Notaro da Lentini (1210/1260) che circa 100 anni prima di Petrarca usa una lingua assai simile a quella degli stilnovisti (è considerato l’inventore del sonetto), per di più in un contesto, sempre secondo l’Amari, in cui le influenze della cultura araba erano determinanti. [cscnv]

ricordiamo allora almeno l’inizio della più celebre poesia di questo Jacopo:

Meravigliosa mente

un amor mi distringe,

e mi tene ad ogn’ora.

Com’om, che pone mente

in altro exemplo pinge

la simile pintura,

così, bella, facc’eo,

che ‘nfra lo core meo

porto la tua figura.

. . .

ed ecco mostrato il ponte (che io cercavo invano) tra questa poesia siculo-araba e la successiva scuola siciliana dalla quale veramente parte la letteratura in lingua italiana (per non dire, meglio: siciliana).

questa esprime temi molto più vivi e spontanei di quelli che assumerà la poesia detta del Dolce Stil Novo nel centro Italia comunale, in una chiave molto più spiritualizzata e filosofeggiante; qui nascerà una poesia da cuori gentili, cioè nobili, ricercata e sfiziosa, come elemento di distinzione sociale.

. . .

NOTA. questo post, abbozzato da me, è diventato a quattro mani, grazie ad un prezioso commento di chiedoaisassichenomevogliono, che ha integrato con notizie e riflessioni, che ora ho inserito nel testo in corsivo e con la sigla [cscnv].

17 commenti

  1. Trovo questo post particolarmente prezioso. Un viaggio a ritroso alla scoperta delle origini della nostra lingua. E insieme un viaggio nella storia con approfondimenti arricchiti dal confronto con chiedoaisassichenomevogliono. Il fascino della scoperta. Grazie di cuore. buon martedì

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    • credo anche io che questo strumento che è il blog, oramai desueto e un poco passato di moda, vada difeso come spazio preferenziale di confronto.
      dobbiamo imparare ad usarlo meglio, però la moltiplicazione dei saperi che sanno mescolarsi e arricchirsi tra loro trova qui gli strumenti ottimali per le sue interazioni.
      grazie.

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      • E allora ti faccio una piccola provocazione a cavallo tra un paio di post, quello sull’intelligenza e questo.
        Gli Ebrei avevano un ruolo fondamentale nei sultanati arabi di Sicilia, ed erano tenuti in altissima considerazione dai signori arabi dell’epoca che spesso affidavano loro la gestione della cosa pubblica e di parte delle prospere attività economiche dei propri territori. Poi arrivarono i cattolicissimi normanni e non se la passarono più tanto bene, in una escalation di persecuzioni culminata con la strage dell’Assunta nel 1474 nell’ipercattolica Contea di Modica.
        Fu quello il primo massacro di massa degli Ebrei nel mondo occidentale.
        Nel 1492 gli Ebrei sopravvissuti furono definitivamente costretti ad abbandonare la città.

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        • ti rispondo con un’altra provocazione, se vogliamo chiamarla così, ma mi colpisce il sincronismo quasi perfetto.
          il giovedì santo del 1475 venne trovato in una roggia di Trento il corpo di un bambino annegato di 4 anni, Simonino, vicino alle case degli unici 15 ebrei che abitavano la città. questi furono arrestati e torturati per mesi, fino a che una donna cedette e confessò, prima di morire per le torture. un delegato del papa si oppose invano all’accusa; il principe vescovo violò la proibizione papale di santificare il bambino e ne impose il culto, che dilagò anche fuori Trento, e arrivò per esempio anche in Val Sabbia qui nel bresciano.
          anche gli ebrei di Trento furono espulsi dalla città e gli venne proibito di tornarci.
          mi pare che l’antisemitismo si sia particolarmente sviluppato nel Quattrocento, in Europa, e mi pare di vederne anche abbastanza facilmente il perché, considerando che dagli anni Venti di quel secolo con Bernardino da Siena, attivissimo antisemita, fatto santo, la Chiesa cominciò ad organizzare i Monti di Pietà, cioè a entrare in concorrenza col prestito ad usura: questo, demonizzato fino a quel momento, entrò dunque a far parte della vita della Chiesa, conciliandola col capitalismo, ma la conseguenza fu che vennero demonizzati i concorrenti, i tradizionali usurai che fino ad allora erano stati ebrei, per la scomunica collegata al prestito a interesse, che non poteva riguardarli.

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  2. A questi che citi aggiungerei Ibn At-Tûbî, coevo dei primi due, poeta di grande spessore di cui esistono delle buone traduzioni, talune persino musicate (non da Battiato, da Etta Scollo, musicista di grande talento e di visione ampia).
    Ibn Hamdis è nato probabilmente a Noto, che però era parte del Sultanato più ricco dell’isola, quello di Siracusa. Fu dalla guerra tra questo e quello di Castrogiovanni (Enna) che scaturì l’invasione normanna dell’isola, poiché se ne usarono le truppe mercenarie per il conflitto, non essendone adeguatamente forniti di armigeri questi “arabi sanguinari”, che s’erano messi a lavorare sulla prosperità delle loro città (il loro è obbligatorio e spiego dopo perché), sulla loro crescita economica e culturale e sul benessere dei propri cittadini. I Normanni, armati fino ai denti, decisero di prendersi una Sicilia Araba da trecento anni e senza veri eserciti – loro lo erano già – .
    Ci dice l’Amari, nella sua Storia dei Musulmani in Sicilia, che ancora nel 1200 una buona metà degli abitanti dell’isola erano musulmani, la cristianizzazione imposta dagli invasori sembrava dunque proseguire a rilento, tant’è che nacquero dai feudi dei baroni, paesi che con licentia populandi vennero letteralmente riempiti di genti che provenivano dal Montefeltro, ed in taluni di questi ancora si parla una lingua di derivazione gallo-provenzale (Mistretta, San Fratello, Piazza Armerina, Randazzo ed altri).
    Ma volevo aggiungere un dettaglio non da poco e che riguarda l’opera di Jacopo Notaro da Lentini (1210/1260) che circa 100 anni prima di Petrarca usa una lingua assai simile a quella degli stilnovisti (è considerato l’inventore del sonetto), per di più in un contesto, sempre secondo l’Amari, in cui le influenze della cultura araba erano determinanti.

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