per vent’anni in Afghanistan le armi americane e della NATO, quindi anche le nostre, hanno sparato caramelle ai bambini, evidentemente; del resto, non eravamo lì in missione di pace?
e soltanto perché i talebani erano cattivi, oltre che brutti e sporchi.
avessero amato la democrazia, noi potevamo lasciarli in pace, come fanno gli USA col Venezuela ad esempio.
ma ora la loro guerra di Resistenza contro gli occupanti ha vinto – eh già, perché loro sono anche fanatici, islamisti, cioè fascisti, ma quella che si è combattuta lì non è stata una vera e propria guerra civile, visto che chi li combatteva lo faceva soltanto a pagamento, erano dei mercenari locali, che ora fuggono: è stata una guerra di Resistenza, durata dieci volte la nostra: una guerra di Resistenza contro gli occupanti stranieri e senza neppure l’ambiguità di altri stranieri, alleati, sul territorio.
può dispiacere che la Resistenza l’abbiano guidata gli islamo-fascisti e che la maggioranza del popolo afghano la pensi così, e dispiace anche a me, ma non più di quanto mi dispiaccia che in Arabia Saudita, nostra alleata, le donne non potessero avere la patente o altre piacevolezze dell’islamismo più cupo (che non è tutto l’islam).
e comunque il classico gioco di ruolo tra buoni e cattivi non funziona qui, perché i cattivi sono da tutte due le parti: non hanno vinto i cattivi contro i buoni né tantomeno i buoni contro i cattivi: hanno vinto i cattivi contro altri cattivi; e comunque la guerra è finita e questa è la sola buona notizia.
ora ci saranno i soliti strascichi di vendette ed esecuzioni sommarie; nessuna guerra che ha coinvolto a fondo la popolazione e seminato delitti ed odii insanabili può farne senza: inutile strumentalizzare.
chiudiamo gli occhi allo spettacolo osceno e speriamo che termini presto; ma c’è chi insegue i fantasmi di una prosecuzione della lotta.
. . .
l’orrore dell’Afghanistan.
all’inizio degli anni Sessanta un mio amico e compagno del Manifesto, con altri, andò in Afghanistan con una Renault, per via di terra: erano anni in cui un’impresa simile, oggi fantascientifica, poteva anche essere pensata e realizzata; ci impegò più settimane e attraverso tutto il Medio Oriente, raccogliendo esperienze impagabili.
ritornò con racconti solari della bellezza del paese; chi vuole sapere qualcosa dell’antico Afghanistan, prima dei talebani, che lui vide, legga quel bellissimo romanzo che è Il cacciatore di aquiloni, di Khaled Hosseini, del 2003: la prima parte.
ma chi vuole vivere dall’interno l’orrore dei talebani, che peraltro furono organizzati e messi in piedi dagli americani, legga la sua seconda sconvolgente parte.
ma ci racconta molto dell’Afghanistan della guerra talebana anche Shantaram, il romanzo autobiografico, sempre del 2003, dell’australiano eroinomane Gregory David Roberts, che evase dal carcere della madrepatria dove era stato rinchiuso per rapina, fuggì in India e da lì finì a gestire un traffico di armi in Afghanistan; e di nuovo, nel finale del libro, sarete immersi negli orrori di una guerra che ha sconvolto quel paese già sconvolto di suo: prima dal 1979 al 1989, determinando il crollo dell’URSS, e poi quella nuova voluta dagli americani dal 2001 ad oggi.
non è mai stato scritto, invece, ma soltanto raccontato a voce, il romanzo delle due ragazze francesi che avevano preceduto il mio amico in un viaggio simile al suo, e lungo il percorso arido e semidesertico erano arrivate ad un meraviglioso corso d’acqua in un ambiente fiabesco, e avevano deciso di farci il bagno, ma erano state uccise a pietrate dagli uomini del posto, scandalizzati dalla loro morbida nudità, e non erano talebani, o almeno non ancora.
. . .
questo nodo di contraddizioni è sempre stato quel paese.
ma adesso come resistere all’orgia frastornante della campagna mediatica anti-talebana, cioè anti-afghana?
è abbastanza chiaro che ha soltanto la funzione di nascondere la testa sotto la sabbia, di distrarre dal colossale errore geopolitico che ha consegnato il paese a chiunque non sia americano o un succube europeo degli americani.
punto.
e con questo definitivamente parlerò d’altro, scusatemi; perché l’essenziale di quello che penso sta in queste poche righe e il resto è caciara, ipocrita, stupida, ancora autolesionistica.
resta la domanda di quanto potrà durare un impero come quello americano, che per sopravvivere deve fare continuamente la guerra a qualcuno.
e la seconda domanda è a chi tocca la prossima volta, ma è una domanda retorica, lo sappiamo già.
. . .
però, per farmi perdonare, vorrei lasciarci con dei versi miei ormai antichi.
anonimo per due amanti afgani. wp 283 [280] – 17 agosto 2010 – 706
non si sanno i vostri nomi, non si sa
neppure se siete reali (se eravate veri)
oppure semplice propaganda shakespeariana
lassù al confine montagnoso del Tazikistan.

neppure il villaggio ha un nome,
sotto il controllo dei ribelli:
Mullah Quli, anzi Dasht-e-Archi,
ma sono nomi? ignoti al “Maps”.

nel mondo misterioso fuori web
tra montagne così aspre
da restare senza immagini
ricorro a dei sinonimi di foto.

troppi luoghi sono chiamati Dasht
e sono troppo uguali
a un villaggio da cui si fugge
per essersi innamorati.

a un villaggio al quale si ritorna,
per essere ancora innamorati,
ma ahimè, tu eri già sposato,
nozze decise dal consiglio di famiglia.

ma dov’erano i vostri genitori
quando i vicini di casa
si son chinati a raccogliere
i sassi delle vostre ossa spezzate?

che debolezza confessarsi amanti
dove si vuole la perfezione!
o corpi attraversati
dalla impura passione.

e dunque in piedi, le mani legate,
uno accanto all’altra, siete stati
lapidati vittoriosamente assieme
dalla coscienza dei giusti.

e neppure so se un qualche perché
si è scardinato nella mente
guardando gli occhi intenti
a colpirvi nei punti mortali.

eccovi ora finalmente casti,
restituiti morti alle vostre case
e ripuliti da quel sangue oscuro,
tesi come corde di cetra spezzate.
