17 settembre venerdì, ti ricordi? – 443

ieri, facciamo gli scongiuri per il titolo del post, avevo una bella seduta dal dentista, durata prevista due ore; ed è la prima di una serie di cinque, che dovrà provare a rimettere in ordine la mia dentatura dissestata, oltre che da un isolamento anche dentistico da covid, anche da una lunga incuria post- tedesca: se dico che il mio ultimo dentista era tedesco, rendo l’idea?

ma aggiungete che lì le cure dentistiche le passa la mutua – anche quella italiana, di conseguenza, che deve adeguarsi alle regole del paese dove risiedi, e dunque provvedere in proprio a pagarlo.

cosa che forse giustifica un mio spirito anti-italiano malmostoso, vero?

l’idea era anche che prima o poi in Germania ci sarei ripassato, e sarei andato a salutare il mio vecchio e simpatico dottor S., che aveva lo studio quasi sottocasa.

qui invece ho scelto un dentista di città, giusto per non risparmiarmi i 48 minuti di macchina, diventati 55 dopo l’ultima multa stratosferica per essere stato fotografato a 84 all’ora dove il limite era 70, e i 3 punti in meno sulla patente (per la prima volta!); ma così ho almeno una scusa per muovermi, in barba al presunto e sbandierato lockdown personale anti-variante delta.

. . .

ed eccomi puntuale alle nove: la seduta è via via più tormentosa, nonostante l’anestesia; e come mi duole, mentre il trapano lavora, il dente anestetizzato, che non mi faceva male prima, ma il dentista dice che era questione di giorni, perché solo un velo di dente separava la carie dal nervo.

insomma, sospiro e cerco di non dimenarmi in quei 90 minuti di tortura.

mi distraggo osservando che professionalità, che macchinari, che perizia tecnica; altro che Germania! giusto per dimostrare che non sono filo-tedesco come dicono, è solo problema di essere stato educato alla sudtirolese – ed è per questo che sono così poco italianizzante anche col covid

il mio vecchio dottor S. di Stuttgart, dal cognome certamente non autoctono, ma vagamente slavo, mi pare oggi un simpatico praticone all’antica, che però curava in maniera molto efficace.

ma insomma, qui si pagheranno bene tutte quelle centinaia di euro per qualcosa, no?

. . .

è stata una dura prova, ho anche avuto una scarica di irregolarità cardiache mentre stavo sotto quegli aggeggi, ma mi sono ben guardato dal dirlo al dottore, metti mai che si preoccupasse.

e aggiungete che alla fine è anche subentrato un impellente bisogno fisiologico che mi rendeva molto ansioso di andarmene; ho anche pensato di chiedere dei servizi lì, ma mi sembrava vagamente indecente; tanto stavo per andare al centro commerciale La freccia rossa per la lavanderia.

questa città dei commerci, costruita ristrutturando una vecchia acciaieria al limite del centro storico di Brescia, si sta rivelando in pochi anni un grosso errore finanziario: i clienti si sono via via diradati, le faraoniche strutture sembrano diventate patria degli immigrati, si sa di traffici di varia natura tutto attorno e dentro, ieri, c’è stato anche un accoltellamento in una rissa fra due di loro e uno è a rischio di vita in ospedale.

insomma, la struttura è quasi deserta, le saracinesche chiuse mostrano qua e là la morte di varie attività, non c’è neppure da fare la coda alla lavanderia che pratica prezzi tali che mi pago praticamente il viaggio di andata e ritorno da Brescia in GPL con tre capi.

e subito dopo corro al bagno, uscendo finalmente alleggerito; non so neppure io bene quanto.

. . .

bene, la prossima tappa è all’ospedale dove l’equipe dove lavora mia figlia conduce una qualche indagine sul decadimento mentale senile; aveva bisogno di volontari avanti con gli anni ed eccomi qui, convinto che mi metteranno degli elettrodi in testa e mi faranno chissà che; e invece eccoci all’eterno questionario a crocette.

ma intanto ho avuto il tempo di pensare tra me e me che oggi è venerdì 17 e tutto va bene, visto? per ora…

e intanto scherzo con la dottoressa sul fatto che mi sono dimenticato come si chiama e non ho saputo dirlo all’ingresso (il nome me lo aveva dato mia figlia ieri).

ma la prova comincia e prima di tutto lei mi chiede un documento, metto le mani al portafoglio nella tasca di dietro e, in una sgradevole sensazione di deja vu mi invade: il portafoglio non c’è più.

la sua mancanza scatena una tempesta emotiva che quella di citochine covid dev’essere uno scherzo: non è solo il pensiero degli oltre 200 euro lì dentro, ma la sensazione che sto dando la prova del mio rimbecillimento nella migliore delle condizioni possibili: all’inizio di un test per misurarlo!!!!

per non dire che avevo dovuto iniziare dicendo in più che ho perso le istruzioni che mi aveva dato mia figlia e che dovevo leggere prima di arrivare qui.

non c’è problema, le leggiamo adesso, firmi il consenso, ora, aveva detto lei, prima di chiedermi il documento.

. . .

intanto io dovrei mettere subito a fuoco che cosa è successo col portafoglio e, se fossi saggio, sospendere il test, per riprecipitarmi alla Freccia Rossa, vero?

invece eccomi che compilo diligente: quanti anni ha studiato? li conto con lei, sono laureato, dunque… cavoli, e sono 17 anni! quasi un quarto della vita, ma ci avete mai pensato?

ma si continua: in che città siamo? a che piano è adesso? ricopi due quadratini che si intersecano. adesso le dico cinque parole e le ripeta: dov’è il difficile?

intanto mi fa altre tre o quattro domande e io penso ai soldi persi.

mi ridica le cinque parole di prima. e chi se le ricorda più? le do in aiutino: uno era un edificio; “casa” – bravo; uno uno un fiore: ed io: “ciclamino?” – no, no, era.,.. cavolo, non me lo ricordo più neppure adesso.

come dio vuole l’esame è finito, ce ne saranno altri per telefono la settimana prossima; Lei ci sente bene? “eh? sa, da quando tutti portano le mascherine il mio udito si è abbassato molto”: tento la battuta; “non è vero, naturalmente, è che non mi aiuto più col labiale. comunque ho una riduzione del 25%”.

però le telefonate le sente, vero? “se arrivo a sentire il telefono che squilla, sì”.

e intanto penso: maledetti, mi chiederanno il nome di quel fiore di nuovo e io me lo sono già ri-dimenticato…

ma per il resto, spero di essermela cavata: anche quando ho dovuto disegnare un orologio e mostrare le 11 e 10.

. . .

appunto, adesso sono le 11 e 40 ed io esco: sulla macchina il portafoglio non c’è, speravo che mi fosse scivolato di tasca lì.

ma l’ho preso da casa? forse no, la speranza è l’ultima a morire.

ma alla lavanderia ho messo la ricevuta per il ritiro lì dentro! ora che mi ricordo. cavoli, allora o l’ho dimenticato sul banco oppure… no, in bagno, no, per favore.

eppure devo arrendermi: ovviamente sul bancone della lavanderia non l’ho lasciato, me lo confermano: ma allora mi è uscito di tasca in bagno!

torno lì, era il penultimo della serie, forse non c’è passato nessuno ancora.

ma è l’unica porta semichiusa dei sei e il portafoglio non c’è. nei cestini lì vicini neppure.

perché la speranza è che si siano presi i soldi e abbiano lasciato almeno i documenti, vero? non siamo in Sri Lanka, dove te lo restituiscono intatto.

quindi mi si consiglia di chiamare una guardia della vigilanza: è di origine straniera dall’accento, ma è scettico che si possa ritrovare, nel caso richiamerà: si ricorda il numero di telefono?

. . .

intanto mia figlia esce dal lavoro e andiamo a mangiare assieme, ovviamente all’aperto.

blocco della carta di credito per telefono, per ora provvisorio, metti mai…

lei che mi conforta dicendo: non preoccuparti per il nome del fiore, lo dico io alla mia collega che sei sempre stato così (io penso intanto alla mia vice, che mi diceva sempre: ma, preside, Lei è senza memoria! e io le rispondevo: “non mi serve, profe, mi basta la Sua!” e, poveretta è morta tre anni fa con un Alzheimer precoce…).

e se tu prendessi un borsello da portare a tracolla? fa la figlia. quante volte hai mai perso il portafoglio, papà? “non mi ricordo.”

“ma non ti ricordi tu, invece, che lo avevo anche preso in Sri Lanka un borsello a tracolla, dopo la perdita del primo portafoglio, e ho perso anche quello perché si è rotta la cinghia, ed è stata la volta appunto che il venditore di tuctuc me lo ha restituito? e quella volta in India che ho dimenticato la borsa su un taxi, ma sono riuscito a ritrovare il tassista, che mi aveva tenuto la borsa da parte?”

no, non si ricorda, ma da chi avrà preso? talis pater, talis filia, dice la filastrocca.

io poi dimentico anche le offese, sia quelle che ricevo, e fin qui tutto bene, sia quelle che faccio, e qui no che non va bene.

. . .

sono già sulla via mesta di casa verso la tangenziale (ricordati di andare piano, papà) e squilla il telefono: è la guardia giurata della Feccia Rossa, ops, della Freccia Rossa: il portafoglio l’ha ritrovato una donna delle pulizie in un cestino. c’è dentro solo la patente.

quel maledetto ladro feticista s’è tenuto anche tessera sanitaria e bancomat-carta di credito… per farne che?

ma no, che bravo: mi ha lasciato anche la ricevuta della lavanderia…

così lunedì vengo a ritirare, se mi ricordo.

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10 commenti

        • ma mi ha provocato un disagio psicologico enorme, e molto peggiore del dolore fisico, in fondo sopportabile. li avrei barattati volentieri, potendo.

          e poi perché possibile il furto? il furto è stato reale, anche se conseguente ad uno smarrimento.

          aggiungo, per completare, che ieri ho riperso in casa il portafoglio due volte e quindi l’ho spostato definitivamente nel taschino della camicia, dove in effetti si dovrebbe tenerlo anche quando si è in viaggio, perché lì ce l’hai sempre sott’occhio, almeno… 😉

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