la solitudine come malattia? – 464

C’è bisogno di un piano per la resilienza anti-solitudine; lo dice un tipo che si chiama Mario Giro e non so chi sia.
aggiunge: Molta gente viveva già da sola ma la solitudine aggiunta dalle regole del social distancing ha aumentato i disagi.

e perfeziona il suo pensiero così: Non bisogna dimenticare che la solitudine è sempre una malattia in più, che provoca sofferenze e moltiplica le conseguenze psichiche. Queste ultime si traducono poi in difficoltà materiali ed esistenziali.

io sto con Petrarca, ovviamente: che nel De vita solitaria afferma che gli uomini generalmente aspirano a vivere con gli altri uomini per il motivo principale e che non sono capaci di vivere con se stessi.

ma riassumeva soltanto una antica e nobilissima tradizione secolare di lode alla solitudine come forma di raccoglimento e aiuto alla riflessione, che arrivò ad esprimersi in una frase che fu famosa per secoli:

O beata solitudo, o sola beatitudo: o felice solitudine, sola felicità. e la traduco nel modo più sconcertante e brutale possibile, perché faccia colpo.

però capisco la preoccupazione degli addetti al PIL che l’amore per la solitudine possa diffondersi intaccando il bisogno di consumare, così strettamente collegato alla vita sociale e al bisogno di apparire in essa.

. . .

faccio uno sforzo ulteriore, dai, e capisco anche questa frase, reprimendo le risate che mi sorgono spontanee nel leggerla:

Presso la presidenza del Consiglio dovrebbe essere messa in piedi una struttura di missione apposita che coordini nei vari ministeri delle cellule di riflessione e proposta su tale delicata questione. Ciò è necessario per evitare che alla già grave crisi economica si aggiunga quella psico-sociale.

avremo quindi presto qualche ente statale, appositamente finanziato, che si occuperà della prevenzione della solitudine, per non dire piuttosto della lotta alla medesima, oltre che al covid?

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14 commenti

  1. Io penso che la scelta della solitudine sia però un privilegio, appunto perché è una scrlta: quando ad una cosa si viene obbligati, è ben difficile vederne gli aspetti positivi; anche perché, se se ne fossero percepiti, nessuno avrebbe dovuto imporgliela, una persona se la sarebbe già scelta da sola. Senza considerare poi che ci sono molte persone che non è necessario che stiano in compagnia, ma che contemporaneamente non possono stare soli: penso a tanti anzi “semiautonomi”, ad esempio, oppure ai malati psichiatrici per cui la solitudine può aumentare il disagio. Infine, faccio presente che l’equazione “compagnia=consumo” non è così scontata: e non solo perché ci sono molti modi di stare in compagnia senza consumare, ma anche perché, di converso, ci sono aziende enormi (i social network, ovviamente) che “producono” assai di più nel contesto della solitudine. Ed i social network “consumano” questa Terra quanto tutte le altre aziende.

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    • la tua ultima osservazione è azzeccata e mi fa riflettere.
      ma forse dovrebbe portarci a fare una domanda: la solitudine fisica, se sostenuta dai social network, può essere definita davvero solitudine?
      tuttavia, ritengo che anche dove una solitudine relativa si nutre anche di contatti virtuali, il loro costo energetico sia inferiore a quello che comporterebbero questi contatti se fossero reali.

      non ho nessun dubbio che solitudine sia collegata a forme di privilegio sociale, salvo che nelle forme estreme dell’eremitaggio, purché nelle forme tradizionali, perché anche questo pare che evolva.
      qui in zona c’è il Santuario dei Morti di Barbaine, che ho anche fotografato di recente, e viene pubblicizzato anche dicendo che ci abita un monaco eremita: infatti trovi il suo SUV parcheggiato sotto il portico…
      anche Petrarca esaltava la sua solitudine relativa di signorotto, con i servi a disposizione,

      so bene che, senza arrivare a questo, la mia solitudine relativa (che è stata soprattutto rifiuto della vita urbana) ha coinciso con un investimento economico dai costi proibitivi per una persona comune e dunque è una contraddizione vivente.

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      • Ma la solitudine assoluta come dici giustamente non esiste a meno di casi estremi. Ed avere contatti per come la vedo io è avere contatti fisici: d’altronde anche tra di noi non si fa altro che parlare di incontrarsi, no? (E in qualche caso ci si riesce anche… giusto prima che scoppi una pandemia globale, per altro)

        Quindi vedi che non è così semplice la solitudine che proponi?

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        • ma io sono per una solitudine ben temperata, che è come dire che sono per una socialità ben temperata e assolutamente non per l’eremitaggio (ho una sorella più vicina a questa scelta, visto che ha limitato i contatti sociali ad una sola altra persona, salvo quelli inevitabili, ovviamente, ma lamia scelta non è la sua).
          quella che chiamo solitudine è il rifiuto dei rapporti standardizzati e coatti di una socialità superficiale e consumista; e chiamo solitudine anche la capacità di centrare i propri equilibri su se stessi e di relazionarsi con gli altri a partire da una sicurezza interiore e non perché si cerca negli altri l’equilibrio che non si sa conquistare da soli.
          solo chi è in pace con se stesso può amare davvero altre persone (mi ripeto, lo so).

          questo tipo di solitudine, che poi sa gestire anche fasi e momenti di solitudine fisica che si possono rendere necessari, non è affatto semplice né facile. e tuttavia è stata proposta per secoli, se non per millenni, dai saggi di quasi ogni cultura umana.

          se hai voglia e qualche minuto da perdere, guardati questo video che ho dedicato a Lao Tzu e alla visita di un suo santuario perso su una montagna cinese. molto nella mia idea della solitudine viene appunto dal taoismo.

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  2. Quindi avremo i testimoni di Geova di stato – o gli animatori di villaggi turistici – per combattere la solitudine? E per combattere l’obesità restauriamo il sabato fascista con la ginnastica nelle pubbliche piazze?
    Mi sembra che si stia esagerando. Non che la solitudine non sia un problema grave nelle democrazie avanzate ma se lo stato si occupa di questo si deve occupare del “male accompagnamento” dei singoli e di mille altri aspetti del vivere civile oggi lasciati alla nostra libertà di sceglierci la vita che meglio sopportiamo.

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    • possiamo andare verso un modello sociale cinese, mantenendo l’anarchica libertà delle imprese private, in modo da farlo gestire a loro piuttosto che a un partito politico? mi sembra una cosa mostruosa.

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  3. Io penso che la solitudine, quando non è cercata, sia davvero una condizione pericolosa, rischiosa, specialmente negli anziani, o nei giovani… impossibilità di movimento, rarefazione di relazioni, incapacità di relazione (questo nei giovani), non dico che siano malattie ma le possono causare, e di fatto le causano: depressioni, paranoie… non per dare sempre la colpa alla società ma quando i rapporti parentali e amicali sono ridotti o azzerati, quando il vicinato non esiste più perché ognuno è occupato con le sue faccende o peggio ha paura di aprire la porta di casa, non vuol vedere quello che succede sul pianerottolo, chi è solo è veramente solo, e fa fatica anche a contattare qualche struttura di sostegno. Nei paesi piccoli va ancora un po’ meglio, almeno secondo la mia conoscenza diretta, non voglio generalizzare. Comunque la prospettiva che presenti nell’ultima frase è già attuale in molti posti: a parte il volontariato, spesso cattolico, anche diversi enti locali mi risulta che abbiano progetti di lotta () alla solitudine (ed alla emarginazione: quanto validi non so).

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    • la solitudine è certamente una causa di disagio per chi non la vuole.
      e poi non bisognerebbe mai parlarne in termini assoluti, ma sempre relativi: neppure io sopporterei volentieri una solitudine assoluta.

      ci sono casi limite: persone che scelgono una solitudine assoluta o quasi e persone che non possono vivere da sole neppure un momento; ho avuto a che fare per molto tempo con una persona simile (diciamo pure che era la moglie) e dal mio punto di vista la sua era una patologia. in questo momento godo di una situazione privilegiata, perché ho l’invasione di figlio, moglie e nipoti per un paio di giorni la settimana (nei qualiu comunque ho le mie ore per me), un altro giorno mi sposto io per altri contatti sociali, compresa l’altra figlia in Italia, e ho quattro giorni la settimana quasi completamente per me, a parte gli ordinari rapporti con i vicini, che non sono affatto sgradevoli: per me questo è l’equilibrio perfetto, per altri non so.

      certo che, secondo me, sarebbe più urgente affrontare il disagio di chi non riesce a vivere da solo neppure un po’.

      sono convinto che solo l’autosufficienza permetta rapporti sani con gli altri. ci sono persone, ad esempio, che confondono con l’amore la dipendenza (che nasce dalla disistima di sé).
      ma solo chi sa vivere solo può amare davvero un’altra persona o più persone, secondo me; tutti gli altri sono surrogati.

      e un bravi ai gruppi di sostegno ai solitari controvoglia: purché non vengano tra i piedi anche ai solitari felici come me, come se fossero dei nuovi testimoni di Geova… 😉

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