Ratzinger, l’uomo che distrusse il papato come istituzione giuridica – 556

dopo più di otto anni dalle dimissioni date da Ratzinger con effetto dal 28 febbraio 2013 è diventato oramai chiaro che esse non furono date in una forma valida secondo il Codice di Diritto Canonico, il quale prevede al Canone 332. 2 che il pontefice possa rinunciare alla sua funzione (muneri suo renuntiet).

ma nella lettera di dimissioni dell’11 febbraio 2013, letta al concistoro dei cardinali, la formula delle dimissioni risulta particolarmente contorta ed in ultima istanza non valida: Ratzinger afferma prima di tutto hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando

(incredibilmente, Ratzinger usa il verbo exsequor, deponente, come passivo! a quanto pare; del resto così intende anche la traduzione in italiano poi pubblicata. errore inammissibile perfino in un ginnasiale; e credo che intenda dire: questa funzione, secondo la sua essenza spirituale, deve essere compiuta non soltanto con l’azione e con la parola, ma non meno con la sofferenza e con la preghiera

– in una ipotesi alternativa che il verbo exsequor sia usato col significato attivo che ha (nonostante la forma mediale o deponente), ci si troverebbe di fronte ad un errore altrettanto grave, cioè alla mancanza dell’accusativo me, soggetto dell’infinitiva.

e tuttavia ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est (per dirigere la nave di San Pietro ed annunciare il Vangelo, è necessario anche una certa forza del corpo e dell’anima).

ma, continua, in lui questa forza in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam (sta diminuendo in un modo tale che devo riconoscere la mia incapacità di amministrare bene l’ufficio a me affidato).

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si può notare bene che, dopo avere distinto, di testa sua, due aspetti della funzione papale, quella pratica di direzione della Chiesa e quella spirituale della preghiera, Ratzinger si dichiara incapace di svolgere non la funzione nel suo insieme, ma soltanto il primo ufficio particolare.

e coerentemente continua scrivendo: declaro me ministerio Episcopi Roma commisso renuntiare (per la verità nel testo originale c’era un errore tremendo, perché stava scritto commissum, senza la necessaria concordanza del participio col nome che lo regge; ma l’intero testo traballa assai dal punto di vista del latino, che è stentato e zoppicante; basta guardare la maniera incredibile in cui è indicata la data, a die 28 februarii, con l’uso addirittura delle cifre arabe, quando in latino tale data si indica con pridie Kalendas Martias; altrettanto si dovrebbe dire della formula Roma, che, così come è scritta, non ha nessuna funzione sintattica chiara e dovrebbe essere un semplice refuso per Romae, di Roma).

ma, quanto a lui, etiam in futuro vita orationi dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim, dice, cioè: vorrei servire la Santa Chiesa di Dio con tutto il mio cuore anche in futuro con una vita dedicata alla preghiera: quella preghiera che era stata indicata sopra come il secondo aspetto della funzione del papa e che non viene impedita dall’indebolirsi del corpo e delle facoltà mentali.

quindi, in un modo giuridicamente aberrante, Ratzinger non ha voluto rinunciare interamente al papato, ma soltanto al suo esercizio pratico e dunque si ritiene ancora papa nell’esercizio della preghiera.

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è difficile immaginare una interpretazione più lambiccata ed impropria di questa, ma questo spiega bene una serie di fatti simbolici che hanno fatto seguito alle dimissioni, ad esempio il mantenimento della vesta bianca papale o il rifiuto di cambiare il proprio stemma, o la continuazione della firma dei suoi rari messaggi ancora col suo titolo papale integrale.

ma è totalmente da escludere che Ratzinger abbia voluto invalidare la posizione del suo successore come sostiene pervicacemente qualche complottista sfegatato; nella stessa lettera è scritto nel modo più chiaro possibile che dal momento nel quale le sue dimissioni diventeranno effettive, cioè dal 28 febbraio, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse: la sede di san Pietro sia considerata vacante e deve essere convocato un Conclave, da coloro a cui compete, per eleggere un nuovo Sommo Pontefice.

la convocazione del conclave spetta infatti al presidente del Collegio dei Cardinali, che è il decano, cioè il cardinale più anziano.

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e allora perché mai Ratzinger ha dato delle dimissioni non valide dal punto di vista giuridico che hanno creato una ferita gravissima al funzionamento formale della Chiesa Cattolica, rendendo dubbia la funzione papale del suo successore?

malizia? contorta manovra per demolire l’impianto stesso della chiesa cattolica?

ma no! il fatto vero, che ho constatato direttamente, è che Ratzinger manca completamente di logica, ama le soluzioni contorte, si impantana spontaneamente in contraddizioni delle quali non si rende conto.

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quando fu pubblicato il testo autentico della lettera di dimissioni, e prima che gli addetti ai lavori corressero a correggerne gli errori più clamorosi, sorsero quasi subito delle stupefatte polemiche; basti dire che nell’originale le dimissioni erano fatte decorrere dal 29 febbraio 2013, un giorno che non esiste.

e a proposito delle polemiche sorte sul latino grossolano in cui la lettera stessa era stata scritta, lui fece, qualche anno dopo, una precisazione stizzita al Corriere della Sera, che è rivelatrice del suo modo di operare: Il testo della rinuncia l’ho scritto io. Non posso dire con precisione quando, ma al massimo due settimane prima. L’ho scritto in latino perché una cosa così importante si fa in latino. Inoltre il latino è una lingua che conosco così bene da poter scrivere in modo decoroso. Avrei potuto scriverlo anche in italiano, naturalmente, ma c’era il pericolo che facessi qualche errore.

sembra che Ratzinger non si sia reso conto neppure dopo anni diu avwere scritto in un latino alquanto maccheronico.

ma il punto più importante è comunque un altro: quindi non solo il testo della lettera è il frutto di un parto solitario (a Ratzinger non è neppure passato per la testa di farla vedere a qualcuno, prima, o di farle dare una revisione linguistica dai numerosi e preparati latinisti che esistono in Vaticano; il latino è la lingua ufficiale dello stato Vaticano), ma anche la sua decisione è maturata nella solitudine della sua mente strutturalmente incoerente.

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non meraviglia che Ratzinger, nei suoi tempi giovanili principale esponente della nuova teologia innovatrice tedesca, sull’onda del Concilio, poi sia diventato, senza neppure accorgersene, il portabandiera della conservazione cattolica, acclamato per questo da gruppi di seguaci esaltati, ma catastrofale negli esiti delle sue azioni sprovvedute e a volte bislacche.

Ratzinger ha una grande mente e una grande cultura, questo è indubitabile; scrive benissimo e con profondità di pensiero; ma senza coerenza logica.

ed ha evidentemente il vizio narcisista di considerarsi perfetto e di non confrontarsi con altri.

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chi ricorda il famoso discorso di Ratisbona contro l’islam portatore di violenza e di morte, che suscitò proteste furiose negli interessati?

anche allora – come ho verificato di recente nella discussione con un amico – chi gli stava attorno dovette correre ai ripari, ed oggi il testo ufficiale di quel discorso, tuttora pubblicato nel sito del Vaticano, nel passaggio chiave, è stato cambiato, integrandolo, per renderlo meno offensivo: un piccolo falso storico, per chi dovesse ricostruire oggi il senso delle polemiche di dieci anni fa.

ma qui, nella lettera, evidentemente, ci si poteva limitare soltanto a correggere qualche refuso, non si poteva cambiare la sostanza di dimissioni dalla figura indivisibile del papa che venivano date a metà, senza neppure che lui si accorgesse dell’enormità della cosa.

ci si è accontentati di intervenire sulle traduzioni in italiano, ad esempio traducendo i due diversi termini di munus e ministerium con la stessa parola, ufficio, allo scopo di mascherare il pasticcio compiuto, ma si è resa in questo modo incomprensibile la linea di pensiero effettivamente seguita.

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dell’incoerenza di Ratzinger, privo della elementare capacità di trarre le conseguenze di quel che dice e che fa, e abbastanza innamorato di se stesso da compiacersi piuttosto di risultare bizzarro ed imprevedibile, voglio portare due ultime prove, ricavate dalla lettura del suo Gesù di Nazaret, il libro del 2006, che recentemente ho ritenuto di dover leggere, per integrare i miei studi sulle origini del cristianesimo.

non mi aspettavo molto, ma la lettura dell’introduzione all’inizio ha cambiato le mie opinioni: mi trovavo completamente d’accordo con lui! dire che fossi meravigliato è dir poco.

Ratzinger esordisce infatti dicendo che dagli anni Cinquanta la ricerca sulla figura storica di Gesù (ma lasciate che io continui a chiamarlo con suo nome autentico di Jeshuu, in aramaico) si è via via allontanata da quella che veniva trasmessa dalla fede, e cioè dalla tradizione che chiamiamo evangelica, scoprendone le stratificazioni che rendono sempre più nebulosa la figura originaria.

nello stesso tempo Ratzinger ribadisce con forza che il tratto caratteristico del cristianesimo è di ricondurre la tradizione a qualcosa che è degno di fede.

pensate, sottolineo io, che cosa sarebbe il cristianesimo se non si potesse credere che la resurrezione dai morti di Jeshuu è un fatto storico reale e non soltanto un simbolo.

quindi, secondo Ratzinger, il metodo storico è e rimane una dimensione irrinunciabile.

affermazione consolante per i miei studi, a cui dunque dovrebbe essere risparmiata l’accusa di essere anti-religiosi semplicemente perché cercano la verità storica su questa figura, per quel tanto che si può definire, anche se forse sarebbe meglio parlare di verosimiglianza storica.

anche Ratzinger ribadisce che per la fede è fondamentale il riferimento ad eventi storici reali.

quindi la ricerca su questi fatti dovrebbe quasi essere sentita come l’espressione di una fede, mi viene da dire, la fede nella verità.

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La fede cristiana deve esporsi al metodo storico, dice Ratzinger: si potrebbe dire meglio di così? applaudo.

ma il metodo storico ha dei limiti, continua lui; e anche su questo ha ragione: ogni ricerca razionale della verità si va a scontrare col limite di non potere uscire completamente dall’incertezza; e questo non riguarda la storia soltanto, riferita al lontano passato, come dice lui: riguarda anche la scienza, ad esempio, aggiungo io, e la cosa va sottolineata con forza in questi tempi: anche la scienza si muove sempre in un campo di ipotesi contraddittorie e mai completamente definitive.

ecco, però è questo limite che Ratzinger non può accettare, questa mancanza di verità definitive.

dunque, secondo lui, alle incerte verità storiche deve sovrapporsi una verità più alta.

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come è possibile lo straordinario successo del cristianesimo, se la vita stessa di Jeshuu non fosse stata qualcosa di straordinario? dice Ratzinger.

come è possibile che già solo venti anni dopo la sua morte Paolo di Tarso parlasse di lui come di un uomo che si è fatto Dio? aggiunge…

(tralascio tutte le obiezioni storiche fattuali che si possono fare a questa affermazione, che dà per scontato che le Lettere di Paolo siano autentiche e scritte negli anni alle quali sono attribuite; se siamo nel campo della storia, bisogna restarci e non fuggire per la tangente quando fa comodo).

ma è su questa incredibile base che Ratzinger conclude, a sorpresa, che quindi certamente il racconto dei vangeli è storico, e costruisce tutto il libro su questo fragile assioma, ma senza rinunciare alla pretesa che la sua sia un’analisi storica.

quindi, per esempio, ecco l’analisi storica accuratissima di Ratzinger sulle tentazioni a cui il diavolo sottopone Jeshuu durane i suoi quaranta giorni di digiuno nel deserto: fatto storico, secondo lui, come no?

il rispetto mi impedisce di usare tutti gli aggettivi che si affacciano alla mia mente, per questo modo di procedere.

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ma non mancano dei momenti in cui lo zelo sacro della fede di Ratzinger confina in modo evidente con una voluta cecità che non si riesce a distinguere bene dalla malafede.

mi riferisco ad un passaggio in particolare, nel quale di nuovo il mio entusiasmo iniziale si traduce immediatamente in delusione.

anche Ratzinger ha scoperto, come me, che il significato originale autentico del termine Vangelo, evangélion in greco, è quanto di più lontano possa esistere da quello che gli attribuiamo noi oggi, ed è una cosa che mi fa molto piacere, perché è la prima volta che ritrovo in un altro studioso delle origini cristiane questa osservazione, che a me sembra basilare per una analisi storica fondata.

mi trattengo ancora un momento su quello che scrive al riguardo, perché la cosa è emblematica e permette di arrivare a conclusioni definitive:

Di recente la parola vangelo è stata tradotta con l’espressione buona novella. Suona bene, ma resta molto al di sotto dell’ordine di grandezza inteso dalla parola vangelo. Questa parola appartiene al linguaggio degli imperatori romani […] I proclami provenienti dagli imperatori romani si chiamavano vangeli.

ma da questa osservazione e dal fatto che in particolare vangelo era l’annuncio della salita al trono di un nuovo imperatore, Ratzinger si guarda bene dal ricavare quello che a noi sembrerebbe ovvio: provate adesso a tradurre il titolo Vangelo secondo Marco per come doveva suonare ad un contemporaneo del tempo in cui venne scritto, dopo la distruzione di Gerusalemme (dato l’autore che ben la conosce): L’annuncio dell’avvento del nuovo imperatore del mondo secondo Marco.

non è evidente che questi testi avevano, fin dal loro titolo, il significato eversivo dell’anticipazione di un radicale cambiamento sociale, che era tra gli obiettivi di chi voleva instaurare il regno di Dio sulla Terra?

Ratzinger stesso osserva che nei vangeli sinottici l’espressione regno di Dio compare 122 volte.

e che cos’è questo regno di Dio preannunciato col termine tecnico e burocratico che si usava per annunciare la salita al trono imperiale di un nuovo detentore del potere?

era soltanto una metafora?

secondo Ratzinger era il segno che il Vangelo è discorso non solo informativo, ma operativo, non è solo comunicazione, ma forza efficace (pp. 69-70).

ma come non vedere che lui, ancora una volta, va diritto verso la verità, ma quando sta per raggiungerla, se ne discosta in un modo incomprensibile?

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alla stessa maniera Ratzinger è andato dritto verso le dimissioni, ma poi, arrivato ad un passo dalla scelta semplice e netta, non ha saputo darle fino in fondo con coerenza, si è tirato indietro nelle contraddizioni del dire e non dire, del fare e non fare.

e le ha date a metà, facendo in modo che chi voleva potesse dire che il suo successore non è un vero papa, così come non lo saranno tutti quelli che verranno dopo, in una specie di catena di sant’Antonio a rovescio…

niente di così catastrofico per i credenti, d’accordo; alla fine quello del papa è un potere assoluto, la sua è una delle ultime monarchie che non ha concesso al suo popolo nessuna Costituzione.

e del resto in Italia dal 2006 è avvenuta esattamente la stessa cosa: una legge elettorale incostituzionale ha creato dei parlamenti incostituzionali, che hanno continuato e continuano a legiferare e produrre governi, senza nessuna rottura istituzionale di questo potere che oramai ha reso totalmente arbitrarie tutte le istituzioni via via costruite senza fondamento di legittimità giuridica.

e se questo è avvenuto in una presunta democrazia, tanto più può avvenire in un potere che resta largamente gerarchico ed autocratico.

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ma il segreto delle scelte incomprensibili di Ratzinger io credo di averlo capito; solo che nessuno seppe fermarlo o correggerlo allora e adesso è troppo tardi.

i cardinali creati da lui, gli unici validamente nominati da un papa nel pieno delle sue funzioni, vanno via via venendo meno da questo mondo, e il conclave che nominerà il nuovo papa sarà nominato da un papa improprio.

sento che aleggia una strana proposta di proclamare Ratzinger Dottore della Chiesa; e forse si aspetta che il tempo faccia il suo corso per proclamarlo tale.

io non c’entro, ovviamente, ma troverei la cosa molto curiosa.

9 commenti

  1. ricevo via mail questo commento:

    Caro B[ortocal],
    al proposito di Ratzinger, controlla il verbo “exsequor” (/exequor): deponente, sì, ma nel lat. tardo e giuridico anche passivo (Ulpiano, Giustiniano); fors’anche nel latino medievale (guarda qualche lexicum o glossarium).
    Controlla anche la nota formula giuridico-diplomatica dell’ “exequatur”: qui mi pare deponente (congiuntivo esortativo, come imperativo): chi riceve l’ ordine, o il permesso, o sim., lo esegua (/eseguisca), gli dia seguito, gli dia corso.
    Inoltre, sei sicuro (io non ho più il testo papale) che “hoc munus” non sia il complemento oggetto di: che lui [scil. eum] deve (debba) eseguire l’ “hoc munus”, o: che io [scil. me] devo (debba) eseguire l’ “hoc munus”? Bada che il sottintendimento di “eum” o “me” è scorretto, certo, ma non gravissimo.
    Scusa la mia intromissione, ma ciò che scrivi è molto forte.
    Ciao.
    F.

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    • caro F.,
      grazie per le tue osservazioni linguistiche. trovi il testo latino della Declaratio di Ratzinger (già corretto da alcuni degli strafalcioni peggiori) qui: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2013/02/11/0089/00244.html

      che quella Declaratio contenga errori di sintassi gravissimi è giudizio comune di chi l’ha esaminata con conoscenze adeguate della lingua latina. in ogni caso ho mandato il link del mio post anche ad un amico lontano, già docente universitario di Filologia Classica, oltre che suo appassionato sostenitore, e certamente non mancherà di fare una analisi accuratissima delle mie critiche linguistiche.

      Exsequatur non è certamente usato come forma passiva – come dici anche tu -, ma è latino ecclesiastico, non classico; io ho valutato quel testo dal punto di vista di Cicerone, come ci insegnavano al Liceo che si doveva fare, non da quello di Giustiniano o peggio degli scolastici medievali. la formula exsequatur può essere stata in seguito fraintesa come passiva: si esegua; ma certamente non lo è mai stata, come spieghi bene proprio tu.

      in ogni caso, è abbastanza evidente che i rilievi linguistici sono il meno, della mia analisi.

      ed ho anche trascurato nel post altri aspetti trovandoli molto sconcertanti; ma qualcuno, più complottista di me e più sfizioso, è andato a trovarli; e li metto almeno qui in questa risposta (mi permetterò di trasferire il tutto tra i commenti del blog, senza renderti identificabile in alcun modo): questo vorrei che fosse il mio ultimo post su Ratzinger, al quale ho dedicato una attenzione forse anche troppo lunga.

      lo sapevi che Ratzinger nel 1989 fu insignito in Germania, dell’Ordine di Karl Valentin, dall’associazione carnevalesca “Narhalla” di Monaco?
      un premio intitolato appunto a Karl Valentin (1882-1948), un cantante folk, attore e umorista bavarese: una specie di Petrolini tedesco, che si basava su doppi sensi, giochi di parole e malintesi, e morì il Rosenmontag, il lunedì di Carnevale, un giorno che ha una valenza particolare in Germania, come ho verificato anche di persona.

      nei suoi ringraziamenti per l’”onorificenza”, il cardinale Ratzinger disse nel 1989, con degli accenti stranamente degni di Dario Fo: “Un ordine buffonesco, mediante cui prendiamo in giro noi stessi e la serietà del gran mondo, è una buona cosa. Ed è anche per questo che l’ho ricevuto volentieri. Alcuni hanno esposto dubbi sul fatto che ciò si accordi con un’occupazione così seria come la mia. A me pare che vi ci si adatti benissimo, giacché, notoriamente, poter dire la verità è il privilegio dei folli. Alle corti degli antichi potentati, il giullare era spesso l’unico a potersi permettere il lusso della verità… E siccome per la mia occupazione mi accade di dover dire la verità, sono davvero felice di essere stato or ora accettato nella categoria di coloro i quali godono di quel privilegio… «Noi siamo folli per amore di Cristo (1 Corinzi 4,10)”.

      quando la Declaratio fu resa nota in Germania, l’11 febbraio 2013, alcuni pensarono che fosse una scherzo di carnevale, perché quel giorno era appunto il Rosenmontag.

      nel libro Ultime conversazioni (2016) l’intervistatore gli pone il problema:
      Seewald: Originariamente lei voleva dimettersi già in dicembre, poi però ha deciso per l’11 febbraio, lunedì di Carnevale, festa della Madonna di Lourdes. Ha un significato simbolico?
      e lui risponde così: Che fosse il lunedì di carnevale non ne ero consapevole. In Germania mi ha causato anche qualche problema – appunto: le dimissioni non furono prese sul serio –. Era il giorno della Madonna di Lourdes. La festa di Bernadette di Lourdes, a sua volta, coincide con il giorno del mio compleanno. Per questo mi sembrava giusto scegliere proprio quel giorno”.
      Seewald: La data dunque ha…
      Ratzinger: …un nesso interiore, sì.

      quindi il nesso interiore, che Ratzinger vede nella data scelta per le dimissioni (che sono tuttavia datate 10 febbraio, anche se comunicate l’11), è tra la festa della Madonna di Lourdes e il suo compleanno; che fosse anche il lunedì di Carnevale dice di esserselo dimenticato, cosa molto strana per un tedesco
      ma qui entriamo nei meandri degli scherzi che gioca l’inconscio.

      Seewald: Lei conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri pontefici prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa. Secondo tale lista il papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo conosciuto finora?
      Ratzinger: Tutto può essere.

      quindi Ratzinger è effettivamente consapevole di quello che affermo io nel post, e cioè sa di avere distrutto la continuità del papato istituzionale e di avere radicalmente trasformato il papato stesso.

      nel libro del resto ribadisce le motivazioni della sua scelta di rottura istituzionale:
      Seewald: Qualcuno ha sollevato l’obiezione che le sue dimissioni abbiano secolarizzato il papato. Ora non sarebbe più un ministero senza eguali ma un incarico come un altro.
      Ratzinger: Questo ho dovuto metterlo in conto e riflettere sulla questione se, per così dire, il funzionalismo non abbia conquistato completamente anche l’istituzione papale. Ma anche i vescovi si sono trovati di fronte a un passo simile. Prima nemmeno il vescovo poteva lasciare il posto e molti di loro dicevano: io sono ‘padre’ e tale rimango per sempre. Non si può semplicemente smettere di esserlo: significherebbe conferire un profilo funzionale e secolare al ministero, e trasformare il vescovo in un funzionario come un altro. Io qui devo però replicare che anche un padre smette di fare il padre. Non cessa di esserlo, ma lascia le responsabilità concrete. Continua a essere padre in un senso più profondo, più intimo, con un rapporto e una responsabilità particolari ma senza i compiti del padre. E questo è successo anche con i vescovi. In ogni caso, nel frattempo si è capito che da un lato il vescovo è portatore di una missione sacramentale, la quale lo vincola nel suo intimo, ma dall’altro non deve restare in eterno nella sua funzione. E così penso sia chiaro che anche il papa non è un superuomo e non è sufficiente che sia al suo posto: deve appunto espletare delle funzioni. Se si dimette, mantiene la responsabilità che ha assunto in un senso interiore, ma non nella funzione. Per questo a poco a poco si capirà che il ministero papale non viene sminuito, anche se forse risalta più chiaramente la sua umanità”.

      a me pare che tutto torni. Ratzinger si è consapevolmente messo contro il diritto canonico in nome di una concezione diversa del papato e con la sua scelta ha distrutto il papato come istituzione giuridica e di potere.

      ciao…

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      • ricevo una replica, sempre via mail:

        – 1- Dalle parole di Ratzinger circa il funzionalismo e i vescovi traggo la conferma di un’ idea che ho da tempo: da decenni, o secoli, essi sono l’ equivalente chiesastico dei nostri prefetti (napoleonici); la conclamata successione apostolica nella leadership locale, se mai è stata tale, è una fola. Ciò è importante, perché è sempre stato un vanto dei cattolici-romani nei confronti non solo con i protestanti, ma anche con gli anglicani e con gli orientali (ortodossi). La gerarchia cattolica è una casta che, come ceto, si autoriproduce per cooptazione e poi, come autorità, è nominata dall’ alto, il quale va a pescare giù nel ceto; ma anche l’ alto è autocooptato. Un sistema perfetto. Perfetto cioè compiuto, autosufficiente; e l’ entropia?

        – 2 – Il latino. La lingua latina è un po’ più larga del Corso Magenta – dove aveva sede il liceo classico che abbiamo frequentato assieme –.
        Eppoi, povero vecchio, non infieriamo! Al postutto, anche lui ha un gatto. E nero.

        Ciao. F.

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        • caro F.,

          1a. non ho nessun dubbio sulla tua analisi della gerarchia vescovile come sistema “prefettizio” applicato all’istituzione ecclesiastica. in passato almeno i parroci erano scelti da parte delle comunità cristiane locali, e ne restano alcune frammentarie testimonianze qua e là; ma nel procedere dei tempi è stata cancellata anche questa parvenza di democrazia cristiana /cone le minuscole!) ed oggi la chiesa appare strutturalmente anacronistica, per non dire vagamente cinese nella sua concezione del potere interno.

          1b. l’isolamento di un sistema dalle influenze esterne è un modo per proteggerlo dall’entropia, ma non evita l’entropia prodotta dalle dinamiche interne.

          1c. l’analisi che Ratzinger fa nell’intervista della figura del vescovo e dunque anche del pontefice, in un nuovo contesto, è raffinatissima. ma questo non toglie che risulti incompatibile col Codice Canonico. quindi Ratzinger ha consapevolmente decapitato e destabilizzato il vertice della gerarchia cattolica con conseguenze non del tutto prevedibile né per lui né per noi.
          intanto i sostenitori della Chiesa tradizionale vedono in quel che è avvenuto la premesse consapevoli di uno scisma, e si stanno dando da fare per produrlo, attraverso interpretazioni complottiste delle sue dimissioni.
          non possono accettare quello che è sotto gli occhi di tutti: Ratzinger si è effettivamente dimesso parzialmente da papa, per restare papa al modo che ha detto; ed ha lui stesso dichiarato la sede papale vacante (e non “impedita”, come si farnetica) e messo in evidenza la necessità di un nuovo conclave per eleggere il successore.
          incoerenza logica? come può esistere un unico Dio in tre persone, perché non potrebbero coesistere due papi, anche se lui stesso ripete che il papa è uno solo? uno solo il papa che esercita l’officium, ma al munus non si può rinunciare: quindi si è papi (oppure vescovi) per sempre.

          2. 🙂
          la cosa che più mi fa specie è che il latino di questa Declaratio è alquanto maccheronico, ma Ratzinger non ne sembra consapevole. forse crede che l’infallibilità pontificia si estenda anche alla lingua latina?

          ciao.

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  2. Ad ogni critica che fai a Ratzinger in questo articolo si potrebbe controbattere con una frase lapidaria: be’, è pur sempre un filosofo.

    In secondo luogo, io lo so che tu consideri questi testi (e gli studi che li alimentano) come dei serissimi trattati: ma a me continuano ad ispirare, come già ti dissi una volta, “sentimenti narrativi”…

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    • non so se usi la parola filosofo col significato vagamente spregiativo che le attribuisco io… 🙂 (una vecchia definizione che ho dato della filosofia: letteratura riuscita male); considero il filosofo un romanziere che non sa raccontare, ahah.

      data la premessa, arrivo al tuo stesso modo di viverli, del resto, questi studi: non lo sento affatto estraneo alle mie intenzioni.
      la ricerca storica è una forma di romanzo, che – per quel che mi riguarda – considero nettamente superiore alla narrativa di pura fantasia.
      raccontare col vincolo della realtà è come comporre o dipingere nei secoli andati, quando la soggettività dell’artista doveva fare i conti con interi mondi di regole stringenti…

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