il virus è la tartaruga – 454

Achille e la tartaruga, il celebre paradosso di Zenone:

Achille, il più veloce nella corsa tra gli uomini, non poteva mai raggiungere la tartaruga, partita prima di lui, perché mentre raggiungeva il punto da cui questa era partita, la tartaruga si spostava più in là.

e per alcuni secoli nessuno ha saputo rispondere a questo paradosso, che coinvolgeva i fondamenti della fisica del movimento.

però, lasciatemi fare una battuta: non sarebbe bastato che nel primo tratto di corsa Achille si ponesse l’obiettivo non di raggiungere la tartaruga, ma di superarla? se avesse raggiunto di slancio un punto davanti alla tartaruga, lasciandosela subito alle spalle?

questo dimostrerebbe che il paradosso di Zenone era meramente linguistico (oppure no?).

ma cito Zenone non per dargli torto scherzando, ma per rendere l’idea del modo col quale il nostro governo affronta il problema della pandemia Covid: fa come Achille, cerca di raggiungere la pandemia al punto in cui era dieci giorni fa; solo che intanto la pandemia è andata avanti, e il governo la rincorre sempre.

ma adesso lasciatemelo spiegare un poco meglio.

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la disciplina con cui ho vissuto la prima ondata Covid e le scelte, già allora scellerate, del governo, tacendo le critiche in un momento difficile, sta lasciando il posto ad una esasperazione meno controllata.

è uno stato d’animo diffuso, chiaramente dovuto alla delusione nel notare che non siamo affatto fuori dalla crisi sanitaria.

l’opinione pubblica è molto confusa da campagne di stampa riduttivistiche e i negazionismi fanno presa.

quindi opinioni come la mia non rientrano nelle grandi correnti di opinione del momento e sono prive di ogni incidenza pratica.

saggezza sarebbe tacerle e lasciare perdere; mi spiace di non esserne capace.

devo invece togliermi dei sassolini dalle scarpe e sputare dei rospi impossibili da ingoiare.

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1. il comportamento devastante delle Regioni in questa situazione, senza grosse differenze tra amministrazioni dichiaratamente di destra e di sinistra, nell’indegna pagliacciata di reclamare per mesi il potere di decidere e poi di rifiutarlo quando gli viene concesso, chiedendo invece provvedimenti indistinti a livello nazionale.

voglio andare oltre: è giunto il momento di proporre una sostanziale revisione dell’orrenda riforma costituzionale voluta da D’Alema nel 2001, per provare ad ingraziarsi la Lega (diciamo meglio a comperarsela), allargando a dismisura le competenze delle Regioni; vanno riportate ad organi di semplice coordinamento di terzo livello delle province, che sono la vera dimensione e la vera ossatura delle autonomie locali nella nostra storia; alle Regioni vengano fatti esercitare poteri ben più circoscritti, evitando dilapidazione di somme enormi ed enfatici poteri di rappresentanza che hanno frantumato la dignità stessa del nostro stato.

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2. quindi ben venga una decisione nazionale che distribuisce le Regioni in diversi scenari di rischio: questa scelta va difesa fino in fondo e pone rimedio ad un grave errore della prima fase nella quale il lockdown completo venne imposto a tutto il meridione, quasi indenne dal virus, per salvare la Lombardia non si sa bene da che cosa, forse dalla possibile (o impossibile?) concorrenza delle aziende del Sud?

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3. detto questo, i criteri delineati dal capo del governo per l’attribuzione delle Regioni a queste aree a rischio mi paiono sbagliati.

questi criteri infatti sono definiti sulla base di una fotografia della situazione esistente e non sull’analisi delle tendenze in atto.

se si continua a prendere decisioni sulla situazione del momento, senza cercare di anticipare le mosse del virus di una decina di giorni dopo, almeno, si sarà sempre in una rincorsa vana…

faccio un esempio: lo scenario 4 è definito in casi di «trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo»; uno dei parametri è l’indice di contagio Rt, da valutare Regione per Regione: si entra in allerta quando viene superato il livello di 1,5.

ma se si aspetta che questo scenario sia in atto per adottare un lockdown, questo sarà molto più pesante e nello stesso tempo meno efficace: oggi due Regioni superano addirittura quota 2: Piemonte, a 2,16, e Lombardia, a 2,09.

il lockdown va adottato quando la fase 4 diventa prevedibile ragionevolmente, non quando ci siamo già cascati dentro.

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4. ma è vero che è la gestione del consenso che rende difficile questo modo di procedere.

e qui si ritorna al punto cruciale che è la democrazia di tipo occidentale il principale dei problemi nella gestione del virus.

18 commenti

  1. “questo dimostrerebbe che il paradosso di Zenone era meramente linguistico (oppure no?).”

    questa domanda quando l’ho letta qualche giorno fa mi ha fatto riflettere parecchio.
    andrò del tutto fuori tema, pardon: mi hai fatto tornare voglia di scrivere in pubblico e mo te lo cucchi 😛

    si, il paradosso di Zenone possiamo dire fosse meramente linguistico dal momento che la matematica è un linguaggio.
    ai tempi di Zenone mancava nel linguaggio matematico molto dell’alfabeto e delle grammatiche necessari per descrivere e smascherare il paradosso: argomentare sugli infiniti portava a situazioni assurde come Achille che non raggiunge la lenta tartaruga, mantenendo apparentemente sempre uno svantaggio sulla concorrente se pur infinitesimo.
    l’equivoco nasce dall’impostazione logica del paradosso, che per giungere all’assurdo della conclusione si sviluppa in una sommatoria infinita di misure sempre più piccole.
    la matematica greca dell’epoca, ancora utilitaristicamente legata ad aritmetica e geometria, non aveva acquisito quella rigorosa impalcatura “linguistica” che permette di definire con chiarezza i concetti razionali di infinito e di infinitesimo – anche perchè lo zero approdò in Europa una dozzina di secoli dopo, dall’India tramite gli arabi. in verità le primissime nozioni storiche di zero e infinito pare siano presenti già nei Veda del primo millennio a.c., oltre che dall’altra parte del globo nella cultura Maya: in ogni caso in quell’epoca il linguaggio matematico ancora non aveva strumenti sufficienti per scalare queste montagna.

    il problema è che i greci ritenevano che una somma infinita non poteva che dare come risultato l’infinito, secondo logica: la somma di una infinità di periodi temporali per quanto piccoli equivaleva ad un tempo infinitamente lungo.
    eppure adottando un’impalcatura matematica sufficientemente raffinata – la nozione di serie aritmetica – si smaschera l’equivoco: Achille non raggiunge mai la tartaruga perchè la serie che rappresenta questa competizione podistica è convergente. e converge esattamente nel punto X in cui Achille raggiungerebbe la tartaruga, nel preciso istante temporale Tx. Ma quell’instante non arriva mai se ad ogni step della successione il periodo analizzato viene ridimensionato a un decimo del precedente.
    non è colpa di Achille se non raggiunge la tartaruga: è la descrizione del paradosso attraverso una matematica troppo spicciola a tagliargli le gambe 🙂
    non raggiunge la tartaruga nel punto X solo perchè per definizione non gli si permette di giungere all’istante Tx: dividendo progressivamente per 10 la variabile temporale per tentare di “fotografare” con precisione il sorpasso, si ottiene che questo non si completa nella serie.
    ma se si evitano i confini più prossimi all’evento sorpasso, nel punto X all’istante Tx, ovvero se si descrive la corsa mantenendo lo stesso livello di “zoom” – la stessa prospettiva di scala – sia quando Achille in partenza è lontano dalla tartaruga sia quando le è prossimo, si giunge agevolmente ad un altro risultato: dopo 2 secondi l’ha già superata, tra i 10 ed i 20 metri dalla partenza.
    ma anche dopo 1 secondo e mezzo l’ha già superata, tra i 10 ed i 15 metri dalla partenza.
    con una equazione lineare non possiamo calcolare esattamente il punto ed il momento del sorpasso, per quello è necessario calcolare la serie.

    tante parole probabilmente già sentite solo per introdurre una riflessione.
    se vuoi definire con precisione la posizione di qualcosa in moto ti devi “avvicinare” all’oggetto ma così perdi cognizione della sua velocità; viceversa se poni l’attenzione sulla velocità devi porti in una prospettiva differente da cui non si colgono i dettagli, come la posizione precisa dell’oggetto in un determinato istante.
    l’analogia con il principio d’indeterminazione di Heisenberg è servita: conoscendo la massa di una particella, se ne misuri la posizione ti precludi la possibilità di conoscerne la velocità e viceversa.

    è intuitivo comprenderne il senso con le conoscenze fisiche attuali, dal momento che l’osservazione è essa stessa interazione: per cogliere la posizione di una particella in un certo istante questa viene perturbata nel suo moto dallo strumento di misura, così pure per coglierne il moto l’interazione perturba la posizione (posizione e movimento sono grandezza coniugate).
    aggiungerei: l’osservazione perturba non solo l’oggetto osservato ma l’intero quadro d’insieme, se è vero che tutto interagisce con tutto. man mano che si penetra nei dettagli di stato in un sistema l’osservatore perde di vista le interazioni complessive del sistema stesso.
    è intuitivo anche a livello speculativo, guardando senza strumenti particolari il mondo macroscopico comune a tutti noi: è molto più facile misurare la posizione di un oggetto fermo piuttosto che di un oggetto in movimento.

    ma ciò che trovo più affascinante è il passo successivo.
    Zenone era un discepolo di Parmenide ed il paradosso di Achille così come i suoi altri, miravano a sostenere l’impalcatura filosofica del maestro – l’essere unico, immobile, immutabile – screditando le correnti rivali che sostenevano invece il divenire e la pluralità, Eraclito ed i pitagorici (in seguito gli atomisti).
    quale modo miglior per sbugiardare la dottrina del divenire se non minandola alle fondamenta, dimostrando con un ragionamento logico ridotto all’assurdo che il movimento non è concepibile e dunque non è, non esiste?
    per Parmenide e Zenone il divenire è mera apparenza mentre l’essere – unica verità – va “oltre” l’orizzonte fenomenico, oserei parlare di metafisica.
    a porla sul piano spirituale da una parte c’è una visione panteistica (l’immanenza del divino nella pluralità dell’essere), dall’altra una visione ontologica estremizzata che diventa l’anticamera del dualismo (la fallace percezione fenomenica contrapposta all’essere/verità/logos/dio).

    la meccanica quantistica con l’enunciazione dell’equazione di Schrodinger ha posto l’uomo di fronte ad un grosso enigma interpretativo: si è giunti ad un modello matematico che calzava benissimo con l’osservazione sperimentale del mondo microscopico, ma non si comprendeva affatto cosa potesse significasse nel linguaggio (e nel senso) comune tale enunciato.
    l’interpretazione che ha preso il sopravvento è quella di Copenaghen, e non è l’unica convincente.
    un’altra teoria altrettanto valida ma difficile da digerire, è passata sottotraccia per decenni e torna in auge nel nuovo millennio: parlo dell’interpretazione a molti mondi, che elimina dalla narrazione il collasso della funzione d’onda ma comporta un inimmaginabile moltiplicarsi di infiniti universi.
    è buffo pensare che Einstein, con la sua celebre affermazione “Dio non gioca a dadi” detta per criticare l’interpretazione di Copenaghen, ha proprio cercato di smentire quella che 50 anni dopo sarebbe diventata (a mio avviso) la strada che lascia più porte aperte al dualismo tipico della nostra cultura: dal momento che ammette l’esistenza di un unico universo generato dal big bang, il principio di tutto che ad oggi non si sa ancora da cosa sia scaturito. ma il punto non sta tanto nella singolarità del big bang quanto nel cosidetto “fine tuning”, ossia la probabilità incredibilmente bassa che la “nostra” forma di realtà fisica emerga dalle innumerevoli combinazione possibili delle costanti universali. il caso vuole che soltanto valori molto prossimi alle nostre effettive costanti – misurate sperimentalmente – permettono l’esistenza non solo della vita ma della materia in toto, con l’aggregazione in atomi, molecole e così via. se anche una sola delle costanti universali assumesse un valore differente, non esisterebbe la materia per nulla o non esisterebbe nella forma che conosciamo.
    è questo l’indizio fondamentale che mi fa propendere per l’ipotesi dei molti mondi, del multiverso, per quanto questo litighi con Occam e Popper.
    così non fosse sarebbe però seducente concludere che il nostro unico universo sia “costruito ad hoc”, da qualcosa di talmente estraneo a noi da poterlo accostarlo al divino (potrebbe anche risolversi tutto in una simulazione, un programma virtuale generato da chissà quale intelligenza aliena: sarebbe così diverso in fin dei conti?).
    nemmeno l’ipotesi del multiverso ci svela alcunchè sulla sua origine però ne semplifica lo “svolgimento” in accordo con l’equazione di Schrodinger, dal momento che tutto quello che potrebbe esistere ma non si verifica nel nostro universo, esiste in almeno uno degli altri infiniti universi. in tal modo si perde la singolarità dei numeri magici – quelle costanti universali a cui dobbiamo la vita – dal momento che esisterebbero infiniti universi con qualsiasi infinita combinazione di variabili, vita o non vita, materia o non materia. non c’è alcun fine tuning adottando questa interpretazione allargata del reale.
    diciamo che trovo l’interpretazione di Copenaghen un filino antropocentrica, volontariamente limitata.

    tornando ai greci: anche loro, pur partendo da basi speculative “primitive” sono arrivati a conclusioni filosofiche sorprendentemente analoghe alle nostre, che sono frutto di secoli di rigorosa ricerca e di uno smisurato sviluppo tecnologico.
    allora c’erano i pitagorici che credevano nei numeri come unica essenza del mondo reale; oggi rispettabili scienziati credono che il multiverso si risolva in puro linguaggio matematico e niente più, oppure in una sorta di simulazione informatica.
    allora c’erano gli eleatici che rifiutavano di considerare come reale la molteplicità caotica dei fenomeni e si rifugiavano nel logos; oggi rispettabili scienziati scartano l’ipotesi non falsificabile del multiverso e ritengono che tutto derivi da poche leggi che definiscono ogni aspetto dell’universo sperimentalmente misurabile. eliminando anche le variabili aleatorie della meccanica quantistica, se possibile.
    c’è chi propende filosoficamente per il caos e chi per l’ordine: in ogni caso il linguaggio è sempre alla base di tutto. informazione, processi informativi.

    quanto la ricerca fisica e la scienza in generale ci portano a conoscere veramente la realtà, e quanto è il nostro pensiero a condizionare i metodi e in ultima istanza l’interpetazione dei risultati della ricerca? non è curioso come nella storia del pensiero umano certe concezioni filosofiche sulla fisica del mondo abbiano anticipato di secoli, per non dire millenni, i risultati della ricerca iper-tecnologica contemporanea?

    ultimo inciso, che non posso tralasciare a questo punto.
    nel sistema di riferimento universo (o multiverso che sia) definire anche solo una posizione nello spazio tempo implica 4 variabili, le quali più si cerca di definirle con precisione e più tendono all’infinito in senso di informazione, quantità di “bit” oppure lunghezza della “parola” matematica, come preferisci.
    le equazioni che regolano l’universo sconfinato possono essere straordinariamente stringate espresse in linguaggio matematico, ma nel calcolo del moto/divenire non possono prescindere da una descrizione complessiva di stato. la quale implica una mole di informazioni assolutamente sbalorditiva, che di primo acchito fa sorridere nel momento in cui si ipotizzano universi simulati, o virtuali.
    anch’io la pensavo così fino alla scoperta della forza di un interessantissimo strumento matematico che mi apre a nuovi orizzonti: il frattale.
    conoscevo già i frattali – chi non ha mai visto qualcuna di quelle bellissime figure geometriche? – ma non li avevo mai approfonditi e non ero a conoscenza di una caratteristica sostanziale che si portano dietro. a differenza di una “normale” equazione fisica, che descrive esclusivamente l’interazione e non prescinde dal ricevere uno stato come input di calcolo, il frattale invece è autogenerante e descrive completamente sè stesso senza bisogno di alcun input, fin nei suoi dettagli infinitesimali.
    i frattali sono infatti funzioni ricorsive: più si osservano da vicino più si aprono in nuove figure più o meno regolari, senza fine, portandosi intrinsecamente dietro universi di informazione. se le leggi fisiche classiche descrivono l’interazione che avviene tra stati, i frattali sono veri e propri contenitori di infiniti stati.
    arrivando al dunque e banalizzando molto il discorso, il nostro universo potrebbe essre descritto completamente da un qualche specifico costrutto frattale – in tutte le sue variabili, dalle sue sconfinate immensità fin negli infinitesimi dello spaziotempo – e riportarlo nella sua interezza con una formula matematica, su di un foglio A4 ad esempio.
    giusto per giocare un poco con i frattali riporto un semplice simulatore online: usefuljs.net/fractals
    ecco ho finito 🙂

    rispondo però anche nel merito del tuo post, sul tuo punto 3:
    è molto probabile che le attribuzioni delle zone di rischio siano sbagliate, ma non tanto per la “vecchiezza” dei dati utilizzati che francamente non mi sono chiari anche perchè non ho approfondito.
    di sicuro per alimentare modelli previsionali utili vanno inseriti sia i dati aggiornati che quelli più vecchi. in statistica un dato in più è meglio che uno in meno, se è un’informazione attendibile che non produce rumore.
    quindi non mi sorprende che si prendano in esame i dati vecchi ammesso siano stati utilizzati anche quelli più recenti (da capire quanto recenti).

    anche a me piace il metodo razionale con cui hanno definito la suddivisione delle zone di rischio, riscontrabile computando i dati con una formula matematica. inutile entrare nel merito dei migliori indicatori/parametri sanitari e le formule da utilizzare, è compito degli specialisti.
    diciamo che è perfetta l’idea di usare un algoritmo – confidando che sia stato ben modellato dagli esperti – ma ci vuole anche un altro passaggio fondamentale affinchè l’algoritmo produca risultati utili e non inutili o peggio deleteri: bisogna che siano forniti al calcolo dati attendibili e completi.
    e qui mi pare che navighiamo in un mare di lacrime, forse per oggettiva difficoltà tecnica ma ritengo anche per oggettiva incompetenza e carenza infrastrutturale (in alcuni casi forse pure per taroccamenti volontari).
    siamo nel 2020 ed alcuni distretti sanitari inviano i dati attraverso fax, ripeto FAX! perchè non piccioni viagggiatori? o segnali di fumo?
    purtroppo non ne sono stupito, conoscendo abbastanza bene il digital divide che contraddistingue il nostro paese. non solo tra privati cittadini, professionisti e PMI, il digital divide è disgustosamente presente nelle stesse PA, che dovrebbero essere state telematizzate e standardizzate non da anni ma da decenni! com’è successo per qualsiasi paese odierno evoluto, anche quelli che non troppo tempo fa chiamavamo secondo mondo.
    forse fa comodo che le informazioni in italia rimangano oscure, difficili da reperire, forse fa comodo che impiegati, funzionari e dirigenti statali rimangano delle capre informatiche? oppure i sapientoni che ci governano a rotazione da decenni non si sono mai accorti dell’importanza dello strumento informatico e non hanno mai investito seriamente su infrastrutture e formazione, nemmeno negli apparati statali più critici? ho la netta impressione che molti impiegati IT (e loro superiori) nelle PA siano seriamente incapaci e/o menefreghisti e quelle aziende private che lavorano per loro – aka chi ha i giusti contatti – si sfregano le mani: soldi facili per progetti sviluppati sulla base di specifiche ridicole o assenti, progetti che quasi nessuno controlla fino al completamento, quando cittadini e aziende si ritrovano online servizi indecenti e buggati (discorso analogo anche per le telematizzazioni interne ad uso degli uffici statali).
    probabilmente solo l’agenzia delle entrate ed i corpi militari hanno un apparato informatico efficiente, e forse anche li mi illudo…

    gioia e giubilio 🙂

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    • saluto il tuo ritorno ufficiale da queste parti, caro Krammer, che in un commento solo, hai scritto tre o quattro post diversi.

      provo a distinguerli:

      1. il primo è una bella analisi degli effetti prodotti nel pensiero greco antico dalla mancanza della nozione dello zero come numero e dalla conseguente assenza del concetto del calcolo infinitesimale.
      il paradosso è che nella Filosofia insegnata nei nostri licei il paradosso di Zenone passa ancora per irrisolto, anche se poi i ragazzi studiano le basi del calcolo infinitesimale che lo smentisce, almeno nello scientifico. ma le due discipline non si coordinano fra loro.
      ho voluto solo accennare al problema, con qualche battuta, ma la trattazione che ne hai fatto è illuminante, per chi volesse approfondire l’argomento, e si muove sulla stessa linea di pensiero che io avevo appena sfiorato.

      2. il secondo (anche se nell’esposizione appare come terzo) è la connessione del paradosso di Zenone con l’idealismo greco antico: lezione di filosofia perfetta. sei stato sintetico, ma molto chiaro.
      lo scopo del paradosso era quello di dimostrare il carattere meramente apparente del movimento e la sua mancanza di sostanzialità; la negazione del movimento come reale porta all’affermazione dell’assolutezza dell’Essere.
      ma l’Essere assoluto si fonda su una carenza linguistica, deriva da un linguaggio non sufficientemente rigoroso: non matematicamente, ma neppure filosoficamente.

      3. il terzo punto (anche se nella tua esposizione appare come secondo) è il più originale, ma anche il più difficile. ed è un nuovo modo di considerare la situazione descritta da Zenone alla luce della meccanica quantistica: come facciamo a dire davvero che Achille non supera la tartaruga se la fisica quantistica ci dice che, se conosciamo la velocità di Achille, non possiamo conoscerne bene la posizione e se conosciamo bene la posizione, non possiamo conoscere altrettanto bene la velocità?
      e come possiamo rispondere al quesito se l’osservazione stessa agisce sul fenomeno osservato e lo modifica?
      osservazione geniale la tua.

      4. il quarto punto riprende la problematica posta dalla fisica quantistica e si concentra in particolare sull’ipotesi del multiverso.
      io vorrei integrarla soltanto con una osservazione personale: non si sottolinea mai abbastanza che l’ipotesi della moltiplicazione continua di nuovi universi ha senso solamente se si ammette che tutti gli universi, compreso il nostro, sono in se stessi solamente potenziali.
      e il nostro universo potenziale è il solo che appare reale perché é il solo nel quale si costituisce un linguaggio capace di dargli realtà o almeno la realtà che noi possiamo percepire.

      5. il quinto punto introduce il concetto di frattale; qui, ma in tutto il tuo commento, hai introdotto spunti di riflessione veramente importanti; è da qualche tempo che non rifletto più a fondo su questi problemi (anche l’ultimo libro di Rovelli, Helgoland, mi ha un po’ deluso e non mi ha stimolato nuove riflessioni; ma sono sicuro che, se riprenderai a scrivere e commentare qui, la mia mente tornerà ad aprirsi a questi problemi affascinanti.

      poi c’è da rispondere alle tue osservazioni di merito: neppure io ho visto i 21 criteri che vengono usati per valutare le fasce di rischio delle varie zone. mi pare però di avere capito che vengono considerate almeno in parte anche le tendenze future dell’epidemia, come sono ipotizzabili, e questo vada a correzione parziale delle critiche avanzate qui sopra.
      il vero problema quindi non è certamente l’uso di dati del passato, ma di dati non aggiornati, ma soprattutto poco credibili, sia per il ritardo e la disorganizzazione nella verifica dei dati, sia perché in alcuni casi vengono forniti da alcune Regioni deliberatamente falsificati – tanto che sta indagando sulla cosa perfino la magistratura.
      è difficile da credere, ma è così!
      a questo punto critiche più sofisticate sono addirittura un lusso fuori posto…

      utilissimo il tuo quadro finale sul digitale divide italiano…

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  2. Avevo scritto un lungo commento che WordPress ha ben pensato di cancellare; lo riassumo brevemente sperando di non essere troppo oscuro: mi sembra di star vivendo i tempi in cui Chamberlain e Daladier, pur di scongiurare una nuova guerra, lasciavano fare ad Hitler tutto quello che voleva; ed alla fine la guerra arrivò, e fu drammatica, e lunga, ed inumana più delle altre. Ecco, in questo momento si sta dimostrando in tutta la sua evidenza quanto insipiente sia stata la scelta di imporre un lockdown indiscriminato e militaresco la prima volta: viviamo in un momento in cui tutto ciò che le persone (che generalmente hanno un’istruzione scientifica molto bassa) vogliono sentirsi dire è “non ci sarà un nuovo lockdown”. E intanto Hitler si è mangiato i Sudeti e punta a tutta la Cevoslovacchia…

    P.S.: uno dei mantra del mio lavoro è “l’emergenza non va inseguita ma prevenuta”…

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    • sono veramente dispiaciuto per la perdita del commento, che sarebbe stato interessante certamente; la riedizione ridotta è comunque chiara.

      siamo d’accordo sulla conclusione, che è il punto fondamentale.

      siamo d’accordo anche sul fatto che il primo lockdown è stato sbagliato, perché uguale per tutte le situazioni diverse (ma non bisognava scontentare la Lombardia, dove era effettivamente adeguato…).

      l’esempio (militaresco?) dell’atteggiamento verso Hitler nel 38-39 è azzeccatissimo e rende visivamente il dramma attuale.

      il lockdown attuale nelle zone rosse isola soltanto adolescenti e anziani, e lascia in movimento tutti gli altri perché lavorano; ed è ancora generalista, ma adesso a livello regionale.

      ci differenziamo, più che altro anagraficamente, credo, nelle riflessioni sulle norme; anche io penso in generale che persuadere sia meglio che comandare, ma nelle emergenze l’incertezza del risultato o la lentezza nell’ottenerlo può essere fatale.
      gli esseri umani – sotto qualunque cielo, vedi le elezioni americani – sono nella loro maggioranza potenziali criminali egoisti e prepotenti; la civiltà riposa sulla legge, perché è costrizione; poeti e solidali sono solo un’eccezione.
      non dovremmo dimenticare mai che la civiltà è contronatura.

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        • non era stupido imporre il rispetto delle norme; erano sbagliate, forse anche stupide, le norme.

          però ci sono situazioni di pericolo estremo in cui vanno rispettate anche le norme sbagliate, perché non rispettarle è ancora peggio: Socrate e la cicuta; Antigone che accetta la condanna a morte dopo avere violato una legge ingiusta in nome di una legge più alta – ne abbiamo già parlato…
          e come Socrate, anche Oscar Wilde, che non era un filosofo, ma soltanto un esteta, rifiuta di sottrarsi con la fuga possibile e in fondo auspicata alla condanna per una sentenza che gli appare ingiusta: i due anni di carcere duro che mineranno la sua salute.
          sbagliavano tutti?

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          • Non lo so. Quelle norme potrebbero aver contribuito al contagio allora (leggi mascherina come panacea), ed oggi potrebbero spingere molti (per meccanismi psicologici comprensibili) ad essere troppo superficiali. Era giusto rispettarle? L’albero si giudica dai frutti.

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            • condivido le osservazioni sui pericoli indiretti dell’uso della mascherina, ma credo che i vantaggi diretti prevalgano.

              e questo serve da introduzione al problema generale su cui manteniamo punti di vista distinti: se sei su una nave che affonda non puoi salvarti da solo e non devi metterti a fare confusione, anche se hai ragione. la coesione del gruppo è più importante della tua ragione personale.

              porto la mascherina, anche se so che serve a poco, perché si è deciso di portarla, ed è più importante che io confermi la scelta prudenziale del gruppo; se la contestassi praticamente, la mia disobbedienza darebbe forza al negazionismo.
              non esistono scelte perfette: dobbiamo sempre paragonare il positivo al negativo.
              la disobbedienza è certamente legittima, ma solo quando il negativo mette in discussione diritti fondamentali e irrinunciabili.
              il dissenso argomentato, invece, è sempre legittimo e positivo.

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                • ci mancherebbe anche che non lo fosse! stiamo a discutere per questo, credo, che ciascuno di noi due ha delle ragioni e sa argomentarle.
                  poi per fortuna io non ho nessuna autorità particolare e rispetto a te il dissenziente sono io, in un piede di parità assoluta.

                  (non ho capito la prima frase a che cosa esattamente si riferisce…).

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                    • ma chi di noi sta dicendo che non c’è posizione laterale? io o tu? 🙂

                      io dico che si deve stare nel gruppo, senza rinunciare alla critica, ma la critica non è immediatamente disobbedienza – salvo situazioni davvero eccezionali.

                      se il gruppo sbaglia, in ogni caso le conseguenze ricadono anche su di te: non puoi tirarti fuori; e, per andare avanti, devi per forza farti carico anche delle scelte sbagliate che non condividevi e hai criticato.

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                    • E da questo non hai derivato che allora bisogna obbedire anche alle leggi ingiuste, per mantenere l’unità del gruppo? E questo non si traduce nel fatto che devi stare per forza “o col governo o coi complottisti”, senza possibilità di altro posizionamento?

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                    • ora capisco che è un rimprovero che muovi a me e non una affermazione tua. ma appunto io sostengo che in certe situazioni critiche una posizione laterale dal punto di vista dei comportamenti non è possibile.

                      è possibile mettere in luce i pericoli della troppa fiducia nelle mascherine, come hai fatto giustamente tu; ma da questo non deriva la decisione laterale o (uni)laterale di non portarle.
                      nei comportamenti io sto dicendo che la posizione laterale non è possibile e anche se ci fosse, sarebbe inutile, o dannosa. è possibile solo nelle argomentazioni.

                      comunque l’obbedienza alle leggi ingiuste non è assoluta – occorre chiarirlo bene, altrimenti dove li mettiamo l’antifascismo e la Resistenza?
                      ma questa non è una posizione laterale, allora: è pura e diretta opposizione.

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  3. Sulle Regioni siamo d’accordo da tempo, qualche sindaco pure (anche questo di entrambe le parti) si è accodato. Conte stasera ha illustrato le misure, in sostanza in Lombardia siamo tornati in lockdown, bisognava farlo quindici giorni fa, e sono convinto si sarebbe fatto senza la cagnara delle Regioni… il Natale non si salverà, e ci arriveremo parecchio ingrassati. Da domani farò scorta di farina lievito e alcool, che la faccenda andrà per le lunghe…

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    • io oggi sono andato a Brescia dal mio barbiere pakistano (a breve la cronaca, eheh) e sono passato anche al supermercato, visto che nel mio comune non c’è.
      considerando verdure e frutta e uova e pollame di produzione propria, il latte munto dal vicino, che arriva direttamente in tavola, e le due anatre congelate nel freezer, dovrei potere sopravvivere fino al 2021…

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