una patria di nome Mediaset e un patriota di nome Berlusconi – 560

questo non era in origine un post, ma un commento all’amico gaberricci; mi ha chiesto di dargli visibilità in questa forma e con l’occasione integro qualcosa: il tema è la definizione di patriota data di Berlusconi recentemente dalla Meloni.

Ma su quale base l’ha detto? mi ha chiesto.

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ognuno di noi, perfino istintivamente, fa molta fatica a farsi venire in mente in che cosa Berlusconi sarebbe stato particolarmente patriottico nei lunghi anni nei quali ha governato (1994-95; 2001-2006; 2008-2011) e nell’ancora più lungo e ininterrotto periodo nel quale ha comunque condizionato la politica italiana, dalla discesa in campo del 1993.

questo non è stato neppure veramente interrotto dalla condanna nel 2013 a quattro anni di carcere per una massiccia evasione fiscale che gli permise di creare fondi neri per 300 milioni di euro, risparmiando 100 milioni di tasse, finiti sui conti correnti dei suoi familiari, con artifici di bilancio nella sua società Mediaset.

la causa era durata più di dieci anni, la pena effettiva scontata fu di un anno ai servizi sociali; venne poi anche espulso dal Senato per indegnità, secondo la legge Severino.

e tuttavia la vicenda è sufficiente per dire che tra Mediaset e lo stato italiano, Berlusconi ha scelto Mediaset, e dunque questa è la sua vera patria.

del resto se quando entrò in politica Berlusconi aveva accumulato 5mila miliardi di lire di debiti nella moneta del tempo e oggi si ritrova un patrimonio dichiarato di 7 miliardi di euro, questo dovrebbe essere sufficiente per stabilire da che parte batte il suo cuore.

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peggio, Berlusconi ha perfino reso ovvia e naturale l’idea che ogni politico agisca per il suo tornaconto personale: una cosa considerata semplicemente mostruosa, prima della sua discesa in campo, nella vecchia Italia democristiana.

– e qui, divago un attimo, il suo allievo meglio riuscito si è rivelato Renzi (che è riuscito perfino a diventare segretario del Partito Democratico) e che oggi ostenta addirittura come simbolo di successo e motivo di vanto il suo affarismo personale al servizio dell’Arabia Saudita e altri emiri.

ma di arabi ben si intende Renzi che nel 2016 rilevò in leasing dagli Emirati Arabi Uniti per 168 milioni di euro un vecchio aereo Air Force di 300 posti, che era stato acquistato dagli arabi per 6,4 milioni di euro, ed oggi è un rottame abbandonato, che non è mai stato usato; avrà ben diritto a qualche gratitudine.

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ma, tornando al Berlusconi patriota di Mediaset, è logico chiedersi come possa la Meloni considerarlo un patriota dell’Italia e la risposta sta già scritta nel suo libro autobiografico, un grande successo editoriale, che io non ho letto, ma trovo citato in un articolo dell’Huffington Post.

qui la Meloni riprende l’interpretazione che Berlusconi stesso ha dato della sua caduta nel 2011, avvenuta nel quadro di una violenta manovra speculativa internazionale volta a far collassare il paese, portando alle stelle gli interessi da pagare sui prestiti indispensabili che ci venivano concessi per garantire stipendi statali e pensioni, e che non era in grado contrastare, lasciandoli arrivare fino al 7%.

in quelle settimane, drammatiche allora come oggi i mesi in cui la pandemia covid tocca le sue punte peggiori, Berlusconi era impegnato a litigare col suo ministro delle Finanze, Tremonti, poiché rifiutava gli interventi necessari; e contro la sua inerzia si mossero l’Europa e la Banca Centrale Europea con un duro ultimatum all’Italia: una dichiarazione di fallimento dello stato italiano, una crisi di tipo argentino, per intenderci, avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per l’euro e per l’intera economia europea; logico che l’allarme fosse alle stelle.

del resto va collocata in questo stesso quadro la concomitante crisi del regime libico di Gheddafi, strettamente legato all’Italia berlusconiana, sulla base del Trattato di Bengasi, sottoscritto da Berlusconi nel 2008, col quale l’Italia si impegnava a versare alla Libia 5mila miliardi di euro come risarcimento per l’occupazione coloniale.

alla fine però Berlusconi dovette prendere atto che l’8 novembre non aveva più la maggioranza alla Camera: l’opposizione si era astenuta dalla seduta e lui dispose dell’approvazione di 308 presenti, rispetto ad una maggioranza parlamentare di 316, e quindi il 12 novembre si dimise, sostituito immediatamente da Monti.

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tutto regolare, allora?

ma Berlusconi ha subito preparato una narrazione alternativa, presentandola come un colpo di stato contro di lui.

eppure il cuordileone si dimise spontaneamente, appena la speculazione internazionale si gettò anche sulle azioni Mediaset, facendone crollare il valore, oltre che sui nostri Buoni del Tesoro; lui stesso indicò Monti come capo del governo al Presidente della Repubblica, perché gli facesse da foglia di fico, e votò la fiducia e tutti i suoi provvedimenti.

comunque, nella narrazione mitomane della destra italiana tutto questo non conta, e la Meloni raccoglie questa leggenda, naturalmente.

lei interpreta l’accaduto di dieci anni fa così: “Il governo di centrodestra di Berlusconi andava tolto di mezzo. […] Perché aveva a cuore la difesa dell’interesse nazionale, rifiutava la subalternità rispetto a Francia e Germania, si comportava da ciò che era, cioè il governo di una nazione fondatrice dell’Unione europea, una delle principali potenze economiche mondiali, con un ruolo geopolitico strategico che andava valorizzato”.

per chi se lo fosse dimenticato, in quegli stessi mesi Berlusconi aveva dovuto mollare clamorosamente l’alleato Gheddafi, messo sotto attacco soprattutto dalla Francia, dimostrandosi assolutamente incapace di un’azione politica per difendere gli interessi ENI in Libia; e Sarkozy in quell’occasione compiva anche un assassinio per interessi personali, dato che la sua rielezione era stata abbondantemente finanziata da Gheddafi stesso e ha voluto togliere di mezzo un testimone scomodo.

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questa è l’idea dell’interesse nazionale che ha la destra italiana, di cui la Meloni è oggi la leader più attendibile: conflittuale in Europa, ma senza grandi strumenti operativi (il bis di Mussolini nella seconda guerra mondiale, in fondo, in altro contesto).

ma colgo la palla al balzo per mettere a punto qualche altra riflessione, citando ancora la Meloni dalle conclusioni del suo recente convegno al quale sono andati ad omaggiarla tutti i leader politici, compreso Letta che lei ha poi sbeffeggiato per questo: chapeau!

“La pacchia è finita: nelle prossime elezioni del Quirinale il centrodestra ha i numeri per essere determinante e noi vogliamo un presidente eletto per fare gli interessi nazionali e non del PD. Non accetteremo compromessi, vogliamo un patriota. Il Pd cerca un presidente della Repubblica che sia gradito ai francesi, io rimango di sasso, ma tragicamente non mi stupisce, perché la sinistra ha fatto il procacciatore degli interessi per il governo francese in maniera tragicamente palese. Palazzo Chigi è di fatto l’ufficio stampa dell’Eliseo e Letta è il Rocco Casalino di Macron. Ma vi rendete conto? Questo è l’europeismo a cui dovremmo piegarci? No grazie”.

un calcio in culo direttamente all’accordo di collaborazione con la Francia che ha rilanciato il nostro peso in Europa nel dopo Merkel: in nome di quale alternativa? forse neppure l’alleanza con l’Ungheria e la Polonia o le destre balcaniche: non si sa…

come se fosse possibile contare qualcosa a livello internazionale al di fuori di un quadro di alleanze.

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chiudo su questo, ma ridò la parola alla Meloni a proposito del Pnrr:
“Ci hanno detto che sarebbero piovuti miliardi dall’Europa ma hanno mentito. Sono risorse spalmate in diversi anni, concentrate sugli investimenti, mentre nell’immediato ci potrebbe essere anche una contrazione dell’export e consumi. […] Queste risorse sono molte ma sono a debito e non possiamo permetterci di continuare a indebitare i nostri figli” – e poi prosegue perdendo il filo logico del discorso: “per soldi che non arrivano in tempo dove dovevano arrivate o per farli gestire da stranieri”.

sono parole abbastanza deliranti, anche se ha sicuramente ragione nella riflessione sul debito, almeno in parte.

l’indebitamento progressivo del paese è la strada che vede concordi TUTTE le forze politiche del paese, e non a caso c’è un governo di unità nazionale per portare avanti questa politica, che sottomette sempre di più il paese alla finanza.

il coraggio di una autentica svolta non c’è, la perdita del consenso sarebbe assicurata; e nemmeno la Meloni la sostiene; anzi protesta contro la novità che per la prima volta sembra che il debito possa essere destinato ad investimenti per migliorare il sistema paese e non ai consumi individuali, secondo la linea portata avanti dai 5Stelle.

e quindi conferma di fare parte integralmente di questo sistema politico, anche se in apparenza protesta contro l’indebitamento: lei cavalca la demagogia universale dell’indebitiamoci per consumare di più.

del resto anche Letta, in una recente intervista alla Stampa (mi pare, se non sbaglio il quotidiano) ha definito il RILANCIO DEI CONSUMI come il principale obiettivo economico del Partito Democratico: rilancio dei consumi, non investimenti…

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ma, allora, come non restare un irriducibile novecentesco nemico sessantottino del consumismo?

del resto allora, al posto di Letta e del Partito Democratico, c’erano il Partito Comunista e Berlinguer, che prendeva un terzo dei voti in nome dell’austerità.

4 commenti

    • si può chiedere ad un cocainomane perché ha bisogno di ancora più coca?

      il consumismo è la cocaina che tiene in piedi la nostra economia.

      toglile la dose crescente dei consumi ed andrà in crisi di astinenza.

      e oramai si assiste al rovesciamento di tutti i valori: il fondamento della vita sociale non sono più i consumi in funzione dell’uomo, ma è l’uomo che deve vivere in funzione dei consumi.

      chi non consuma non contribuisce all’economia e quindi chissà se neppure è degno di vivere.

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